martedì 23 dicembre 2014

Tra gli alberi, la voglia di continuare.Da Belorado ad Ages.27 settembre.

La  giornata si presenta bene, anche oggi sarà un buon tempo per camminare.Quando penso queste cose sto facendo due foto alla piscina che il giorno prima ci ha visti distesi sui lettini come crotali al sole, solo che noi, al posto della coda, facevamo tintinnare i bicchieri di birra.
Abbiamo da poco fatto colazione nel bar dell'albergue, un cornetto decente e un caffè molto meno, poi, tutti insieme, partiamo alla volta di questo nuovo tramonto che ci attende svariati km più ad ovest.Tutti insieme un par di palle aggiungo, dato che dopo poco mi trovo davanti agli altri, incrociando Olga, la spagnola che ha dato la pietra a Luca, che sta aspettando il bus per tornare indietro.Mi dice che non sto andando nella direzione giusta, che devo svoltare a destra e poi a sinistra e mi troverò lungo il cammino.Bene, ecco perchè mi trovo davanti agli altri, semplicemente perchè sono dietro gli altri.Poco male, mi sento bene e non farò fatica a riprenderli ma, nel frattempo, raggiungo Chiara e il suo ginocchio altalenante.Cammina con un bastone di quelli tecnici, uno solo perchè non è il suo, l'ha trovato nell'albergue del giorno prima.Le suggerisco di usarne due e le porgo il mio, quello che mi accompagna dai Pirenei, so che prima o poi dovrò lasciarlo e non posso portarlo a casa come ricordo, causa restrizioni aeree e surplus non indifferente di biglietto.Quindi, se può esser utile a qualcuno, le dico, mi fa piacere, tanto domani dovrei essere a Burgos, meta finale, per quest'anno, del mio cammino.
Dopo qualche Km ci fermiamo, insieme agli altri che ho raggiunto, su una panchina addossata al muro di una vecchia chiesa.Joao fa lo stordito con qualche movimento per sciogliere le gambe e io gli appioppo un paio di foto da ricatto.Per l'occasione faccio anche una pisciatina che tenevo da quando siamo partiti.
Insomma che si fa, ripartiamo?
Si, ripartiamo e i km iniziano a girare lentamente nelle nostre gambe e sotto i nostri piedi, attraversiamo qualche paese e ad Espinosa faccio una foto a una serie di indicazioni su un palo.A Burgos mancano 43 km, a Santiago 531, a Finisterre altri 90 in più.Mi mette, per un attimo, tristezza, quello che sembra una grande distanza, quei 43 km che durante la vita di tutti i giorni si farebbero in auto, che ci si metterebbe una mezz'ora scarsa e magari annoiandosi sperando che finiscano presto, qua sono invece un solo giorno e mezzo di cammino.Un misero altro giorno e mezzo di queste emozioni.Quando guardo il cartello, dopo la foto, vorrei che spostassero le città per allungare ancora questo tempo che invece non annoia mai.Mi chiama Luca e io riprendo a muovere ritmicamente i piedi allontanandomi dal cartello e da quel desiderio.Ancora km durante i quali passiamo davanti alle rovine di quello che era un monastero.Ora rimane solo una sorta di costruzione quadrata che sembra un mozzicone di dente in pietra e della grandezza di un'appartamento da scapoli, dove la tradizione vuole sia sepolto il fondatore di Burgos, tale Conte Diego Rodriguez Porcelos.Beh, non sarà come la Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare ma, come dice il nome, avrà fatto la sua porca figura all'epoca.
Foto di rito anche qui e poi, dopo poco, riattraversiamo per la seconda volta la statale, questa volta seguendola fino a Villafranca Montes de Oca.
Pausa, ovviamente.
In un piccolo alimentari prendo una busta di biscotti fatti a mano poi, nel bar a fianco, dopo un'attesa di circa dieci minuti, causa movimenti da moviola di Biscardi del gestore, riesco a mangiare anche una sorta di cornetto e a bere una sciacquatura tipo vecchia moka.Jo, dal canto suo, non riesce a far di meglio che prendere un caffè con latte (in spagna va molto sta cosa, sarà per mascherare la schifezza del caffè) e un bel pezzo di frittata.
Jo, porcadiquellavaccaputtana, ma come te lo devo dire che non si prende un similcappuccino con roba salata e cucinata?
Ride mentre lo mando a fanculo e scuoto la testa soffocando un conato al pensiero del gusto di una frittata con caffè e latte.
Molto bene, è ora di riprendere il giro giusto e dico agli altri che intanto vado avanti.Dopo una cinquantina di metri mi volto a gridare come solo un italiano sa fare, rivolgendomi a Luca di prendere i biscotti che ho dimenticato sul tavolo, tanto per cambiare.
Lui mi fa un cenno di assenso e qualcosa tipo che li legherà al suo zaino, io annuisco anche se qualcosa, nella sua risposta, mi stona un po'.
Da questo paese si esce passando a fianco di una vecchia chiesa, per poi imboccare una strada sterrata che sale immediatamente.Minchia, ci hanno riportato sui Pirenei e non me ne sono accorto?
No ma sono monti ugualmente, sono i Montes De Oca e da qui per 12 km non ci sarà nulla dove approvvigionarsi.Però è bello, sembra davvero di riprendere da poco prima di Roncisvalle e l'isolamento è quasi totale tra questi boschi di querce lecci e rovere, insieme all'erica e ai ginepri.
Pare che nei secoli passati questi posti siano stati tra i più pericolosi da attraversare durante il cammino, per via dei lupi e dei briganti che assalivano i pellegrini.Mi fa quasi sorridere quando ci si lamenta per una contrattura o una tendinite quando, all'epoca, dovevi fare come la gazzella con il leone in Africa, ogni mattina era una scommessa da vincere, altrimenti ci sarebbe stato ben poco da giocarsi la mattina dopo.
Con questi fugaci pensieri, tra video, foto e una chiacchierata con me stesso, arrivo a un punto panoramico.Uno sguardo a quello che viene offerto dalla natura, un Buen Camino a una coppia e poi riprendo questa salita che sembra addolcirsi leggermente, fino ad arrivare, con un paio di saliscendi, al monumento ai caduti della guerra civile spagnola.
Ci passo accanto in rispettoso silenzio, scattando una foto come memoria di quello che può essere l'uomo quando non è uomo.
Il tragitto continua su questo tratto sterrato che, a un certo punto, si infila in una pineta enorme diventando, lei stessa, larga almeno quanto un'autostrada.Una striscia di terra tra un mare d'alberi.Il sole picchia forte e cerco l'ombra protettiva dei rami per camminare quando, ad un tratto, a poca distanza, un'auto che spara musica nel silenzio dei pini e un ombrellone con un tavolo sotto appaiono come un mezzo miraggio.
Ollallà, anche la tipa che c'è non è affatto male.Mi darà una sedia dove sistemarmi a bere una birra che pago quanto voglio, dato che tutto quello che c'è sul tavolo è a donativo.Acqua, caffè, frutta e quello che serve per andare avanti in questo cammino.Ci rimango una mezz'ora buona, forse più, a chiacchierare con la spagnola che mi dice di aver scelto questo lavoro perchè le dà libertà.Mi suggerisce una strada alternativa per la tappa del giorno dopo e, dopo qualche battuta, afferma, sorridendo, che bisogna stare in guardia dagli Italiani e dai loro modi di fare.Impiego così questo tempo di descanso (riposo in spagnolo, qualcosa l'ho imparata) finchè da Est non vedo arrivare sia Luca che Jo, abbastanza bruciati dal sole e dall'allegria del rasta di due giorni prima.
Mi ricordo anche dei biscotti che avevo dimenticato e, quando Luca mi fa cenno di guardare dietro al suo zaino, capisco perchè la sua risposta mi stonava.Erano biscotti friabili, molto friabili e, nel ritmo del camminare, hanno oscillato troppo.Ora sono lontani parenti di quel che erano, praticamente una polvere di biscotto spappolato dentro una busta di plastica.
Grazie sempre alla mia MV, se potesse farsi un selfie sarebbe con un sorriso da cazzo stampato sul volto.
Insieme agli altri due riprendiamo a camminare finchè questa strada forestale non ci conduce a San Juan De Ortega, dove si potrebbe anche finire la tappa, ma pare che ci sia solo acqua fredda in questo monastero e noi, da fottuti figli dell'occidente, preferiamo tirare avanti fino ad Ages.Ma prima faccio una sosta per ascoltare il francese che abbiamo conosciuto a Los Arcos, quello dell'Inno del corpo sciolto e altre greatest hits mondiali stipate in un tablet.Parte un Bella Ciao che mi riporta, per un istante, alla sera passata a SJPDP.
Finisce l'esibizione e, questo francese che sembra sempre apparire dal nulla durante il cammino, sparirà dalla mia vista per sempre.
Arrivo ad Ages da solo, con il genovese e l'irlandese rimasti indietro a gozzovigliare ancora.Il paese è uno sputo più piccolo di Ventosa, spero solo che ci siano posti, anche perchè il tempo mette nuvole che ingrigiscono tutto insieme a un vento abbastanza fastidioso.
Paul e Joao mi tolgono questo dubbio quando li raggiungo in uno dei tre albergue.Il nostro ha un ingresso che sembra quello di una stalla e la stessa ruralità, ma la camerata è perfetta con solo sei posti per noi cinque, anche se un po' piccola.Una doccia calda lava via un po' di stanchezza poi, rivestito e sbarbato, vado ad attendere i due ritardatari all'entrata del paese.Quando sono a pochi metri da me mi dicono che sembravo un cartello di benvenuto ai pellegrini, tanto stavo immobile a guardarli scendere verso l'abitato.
Durante quel tempo che ci separa dalla cena, mi metto a far due chiacchiere con l'altro gruppo d'italiani i cui volti iniziano a diventare familiari.Bevo un paio di birre con Jacopo e Alessandra mi fa ascoltare una canzone con gli auricolari.Chiudi gli occhi e viaggia, mi suggerisce Jacopo.
Viaggio così bene che devono scrollarmi per farmi alzare dalla sedia dove ero seduto, fuori l'ingresso da uno degli albergue, come fossi una comare del posto a farsi gli affari di tutti.
Dato che non c'è cucina disponibile, andiamo a mangiare nella trattoria dell'albergue, dove facciamo un pasto abbondante e vedo Paul mangiare come un T-rex dopo un ramadan.Andrà a letto subito dopo, con qualche linea di febbre che lo fa chiudere più di quanto non lo sia di suo.
Anche Jo lo segue dopo poco, mentre io,Genova e Portogallo rimaniamo seduti fuori, nella notte spagnola, a cantare accompagnati da una chitarra trovata nell'albergue e suonata da Joao.
Altro giro di birra e poi, infilati nel silenzio di queste vie di paese, ci dirigiamo ai giacigli.Segue una breve disquisizione su chi dorme sopra e chi sotto tra Joao e Luca poi, finalmente, ci lasciamo cadere in un sonno sperduto tra le campagne di una Spagna che domani, mi vedrà camminare per l'ultimo giorno.


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venerdì 5 dicembre 2014

Poche parole, molti passi.Da Santo Domingo della Calzada a Belorado.26 settembre.

Altro giro altra corsa, o meglio, altro giorno altra camminata.
Mi sveglio con questo pensiero, anche se non ho la più pallida idea di dove dobbiamo arrivare oggi.
La fonte di allegria della sera prima mi ha spento il cervello appena poggiata la testa sul cuscino e il resto nel sacco a pelo.Irlanda e Genova continueranno anche durante le prossime tappe a usufruire del dono di madre natura, difatti arriveranno sempre per ultimi, io mi astengo durante il camminare, già so che sarebbe un ottimo modo per ritrovarmi almeno una ventina di km fuori dalla via.
In ogni caso, apprendo che oggi vedremo il sole tramontare a Belorado (anticipo che lo faremo in un ottimo modo).
Gambe in spalla quindi e dritti verso Ovest, lungo l'uscita del paese costeggiando la statale che sembra seguirci finché non si stanca, andandosene poi per i fatti suoi, lasciandoci alla terra vera e ai suoi suoni.
Cammino da solo, mischiandomi con visi e passi che non ho mai visto prima.Il motivo è semplice, la notte in più di Logrono ha permesso a chi è partito dopo di noi di raggiungerci. Continuiamo ad andare, in questo falsopiano che lentamente ci condurrà a Burgos e, in questa tappa, lasciamo la Roja per entrare nella Castiglia/Leon, un'altra regione, un'altra faccia di questa camminata di quasi 900 km.
Conosco Carmen, una tipa spagnola che accosto al Flamenco, non so perché, forse per i suoi capelli corvini e lunghi, di certo non per la sua felpa marchiata Ferrari.Cammina piano per via di un problema al ginocchio e, dopo nemmeno un km allungo lasciandola al suo tempo.Da un paio di giorni ho l'umore ballerino, presumo per il fatto che non mi rimanga molto prima di rientrare in Italia e percepisco un filo di malinconia quando ci penso, questa esperienza vorrei non finisse mai.
In ogni caso, pensa qui pensa là, passiamo nel frattempo qualche villaggio di questa tappa e, a Castildelgado, ci ritroviamo con gli altri per una pausa, inoltre apprendo da altri italiani che a Belorado c'è un albergue con piscina.Mecojons, il vero spirito del cammino si fa quattro grasse risate alla nostra decisione assoluta di pernottare lì.
Però dai, per una volta si può fare.
Dopo una colazione riprendo il filo di una strada che muta piano il suo contorno. Non più vigneti infiniti ma campi di grano misti a una buona solitudine. In un posto, di cui non ho letto il nome e quindi la mia MV è giustificata, trovo un albergue molto accogliente, peccato non sia dove vogliamo fermarci, altrimenti fanculo pure alla piscina. È tenuto da una coppia sulla mezza età, donativo in tutto, tanto che puoi prendere frutta e bevande senza pagare.Una tipa italiana mi suggerisce di farmi un giro anche al piano di sopra, per dare uno sguardo alle camerate. Sono deliziose con i loro quattro letti a castello, gli scalini piastrellati di un rosso ocra, l'aria pulita da ogni rumore.Ne abbiamo persi altri, penso mentre faccio due foto, di posti così. Albergue poco conosciuti, situati in villaggi o piccoli paesi che stanno, in genere, in mezzo ai canonici km delle tappe.
Mi guardo intorno, da solo, misurando a vista quelle stanze vuote, con la sensazione strana di dover rifare, prima o poi, tutto il cammino dalla partenza, che sarebbe come rileggere un libro con più attenzione, scovando nuovi angoli di lettura.
Mi scrollo di dosso questo pensiero appoggiato sui se e sui ma per scendere e recuperare zaino, bastone e bottiglia.
Prima di andare lascio due euro per un caffè, ma in fondo credo di farlo come piccola riconoscenza per quel momento al piano superiore.
Esco da quell'angolo di pace per tuffarmi di nuovo sotto un sole che ti piove addosso per quanto scalda.
Dalla fine del paese in poi conoscerò altre due orientali, ma dimenticherò subito il loro nome quando riprendo un passo solitario e silenzioso che mi porterà, per la prima volta, ad arrivare prima degli altri nel primo albergue di Belorado, quello con la piscina per intenderci.
Prenoto e pago per tutti, poi il tipo dice a un altro di accompagnarmi alla mia camerata, situata in un edificio lungo e stretto, dove i bagni sono separati e i letti abbastanza comodi.Vicino a quelli che ho prenotato c'è un tizio tedesco che conobbi a Estella.Una faccia simpatica e rubiconda, un saluto contento da parte di entrambi poi, dopo quella sosta non lo rivedrò più.
Arrivano gli altri che io mi son già fatto un paio di birre con Jacopo, Alessandra, Chiara e Gloria.Fanno parte di quel gruppo di italiani che ci han suggerito questo posto e sono partiti tutti da soli, non conoscendosi, per trovarsi all'aeroporto di Bergamo.
Jacopo e Alessandra hanno iniziato la loro storia così, su un volo che portava alle pendici dei Pirenei.
E insomma, nel frattempo gli altri si sono sistemati quindi con Luca e Jo decidiamo che un pomeriggio in piscina senza altre birre, non è un pomeriggio speso bene.Quindi vai di bionda e anche di quell'allegria rimasta dalla sera prima, con cui coinvolgiamo anche un tedesco di quelli che sembrano usciti dalla Wermacht, tanto ha i capelli a spazzola e gli occhi di ghiaccio.Con lui non intavolo nessun discorso calcistico, ha appena vinto i mondiali, e poi dopo l'allegria si presenta con quattro birre medie da scolare sui lettini sdraiati al sole.
In tutto questo, come sarà l'acqua?
Presto detto, la prossima glaciazione potrebbe iniziare da qui.
Però fa bene alle gambe e ai tendini , quindi provarla avendo cura di fare prima testamento.
Quando il sole si abbassa verso l'orizzonte, lascio tutti per andare a fare una doccia e due stracci di bucato, scoprendo che Paul e João si sono spazzolati tutti i miei biscotti presi la mattina e, quella stessa mattina snobbati da tutti.
Ho una fame da cavernicolo, ma voglio zuccheri, l'allegria ha questo effetto collaterale.
Raggiungo l'ora di cena con la brama da miraggio nel deserto, ma João fa un buon piatto portoghese,  che riempie molto e di cui non ho chiesto nemmeno il nome, tanto non l'avrei ricordato.
Dopo un caffè al bar nell'albergue, lascio Luca a parlare con quella signora spagnola, Olga, fumatrice incallita conosciuta la prima volta durante la terza tappa, quella che ci avrebbe portato a Pamplona.
Gli lascia una pietra viola, che lei avrebbe voluto portare all'Oceano, ma pensa che sia giusto darla a lui, soprattutto dopo che ha descritto l'amico di Luca morto per cirrosi senza averlo mai visto.
Lei sa. Cosi mi dice Luca, mostrandomi la pietra che, da quel giorno in poi, è rimasta nella sua mano durante il cammino.
A letto cerco di sedurre la mia MV cercando di ricordare tutto quello che ho vissuto finora, ma la stanchezza è sua alleata, l'ultimo pensiero è quello che ho ancora due giorni per camminare prima di raggiungere Burgos.


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mercoledì 19 novembre 2014

O' sole mio mette allegria, ma la natura ancora di più. Da Ventosa a Santo Domingo della Calzada.25 settembre.

Il risveglio della mattina è accompagnato da un insolito silenzio, è la prima volta che dormiamo in un posto con così pochi letti.
I due francesi vanno via che noi ci stiamo ancora stiracchiando e non sentire nemmeno una voce femminile mi suona strano.
Oggi dovremo fare i km che non abbiamo percorso ieri, quindi si rispetta la guida e dobbiamo arrivare a Santo Domingo della Calzada, ovvero circa trentamila metri più ad ovest.
Bene, il cielo è limpido nella sua aurora ma l'umidità si fa sentire e i diciotto euro a testa spesi per non dormire all'aperto hanno una valenza maggiore.
Faccio un paio di foto quando usciamo, il sole se ne sta ancora basso sull'orizzonte e sembra un piccolo buco bianco nell'infinito rosa sfumato del mattino.
Andiamo al bar del giorno prima e, sorpresa, bevo un caffè ottimo e cremoso, mi complimento con il tizio e poi esco fuori a fumare una sigaretta con Luca e Jo. Su uno dei tavoli esterni facciamo le prime chiacchiere con un coreano che abbiamo visto spesso nei giorni passati. Un tipo simpatico, con uno zaino particolare che sembra da alta montagna, almeno per quello che uno nato sul mare può capire di alta montagna.
Quando siamo tutti pronti, lasciamo il coreano ancora seduto e, con varie strette di mano, lo salutiamo.
Costeggiamo per un po' la strada asfaltata, poi ci inoltriamo nella più familiare e naturale pista in terra, facendo una sosta per delle foto idiote.
Avete presente quei cartonati che uno si mette dietro e di suo ha solo la faccia mentre il resto è dipinto o stampato sul cartonato stesso?
Ecco, in genere c'è dei supereroi o, nei parchi a tema, di qualche personaggio inerente. Qua invece c'è un pellegrino medioevale, con tanto di bisaccia da cui sgorga vino, nell'intento di bere, ovvio è pubblicità per una cantina del luogo.Luca e Jo in effetti sarebbero dei perfetti testimonial quando, a turno, li inquadro per la foto.
Dopo nemmeno altra mezz'ora di cammino,circondati da vigneti e sopraffatti da un cielo il cui azzurro è sempre più intenso, raggiungiamo uno degli ormai noti furgoncini tipo porchetta ma che di porchetta non sono.
Ollallà, e cosa sta fumando il tizio che lo gestisce? A Luca e Jo si illuminano gli occhi, i miei invece sono tipo luci stroboscopiche.
E insomma eh...e quindi... beh ti tratti bene per essere in una sperduta pista di terra battuta dai trattori sotto il sole.
Credo che i nostri sguardi traducano in morse quello che stiamo pensando, tanto che il tipo condivide con noi la sua"allegria".
Ed è contagiosa, maremma cane se lo è.
Sopratutto quando siamo raggiunti da un gruppetto di giapponesi e uno di loro canta con convinzione e sentimento una parte, la più difficile, di O'sole mio.
Esplosione di applausi, brindisi vari con caffè birra e acqua e poi si riparte.
Raggiungiamo Najera, ipotetica meta di ieri, dopo esser passati per il Poyo di Rolando, una collina che dà il nome alla leggenda omonima.
Mi/vi risparmio la scrittura/ricerca: Il poyo di Rolando
l'ingresso in città è preceduto da una via periferica dove prendiamo da mangiare in un supermarket, poi la stessa via ci conduce verso un ponte pedonale sotto il quale, sdraiati sull'erba fresca, consumiamo i nostri panini cullati dal mormorio del fiume davanti a noi.
Molto pericoloso, la pennica, quella subdola maschera della pigrizia postprandiale, è sempre in agguato, quindi alzarsi e attraversare il ponte per proseguire.
Alle spalle di questo paese c'è uno scialle di colline rosse come ocra che sembrano il set per un film di Sergio Leone, tanto da farmi fischiettare l'aria di '"Per un pugno di dollari".
Mentre mi diletto e camminiamo verso l'uscita di Najera, una tipa quantomeno singolare mi si avvicina e chiede dove sta un supermarket.
Le do qualche indicazione poi, dato che si presenta come una irlandese, lascio la palla a Jo, qualcosa mi stona di questa tizia.
In effetti è lei ad essere stonata, ma ce ne accorgiamo dopo, quando abbiamo già accettato di farla camminare con noi.
Non smetterà mai di parlare fino all'arrivo a Santo Domingo della Calzada, ma io me ne starò alla larga facendo gran parte del tratto da solo, andando avanti incastrato nei miei viaggi mentali.
Ad un certo punto Jo trova la scusa per mollarla agli altri, dicendole che deve aspettarmi visto che mi sono fermato causa pipì molto lunga.
Quando lo raggiungo mi guarda quasi pregandomi di non lasciarlo ancora con lei.
In tutto questo passiamo davanti a una sorta di palo, leggendo poi la guida scoprirò che era usato per legarvi poco simpaticamente i condannati a morte nei secoli scorsi.
Quindi per un tratto siamo io e Jo, mentre Paul e Luca si cibano le chiacchiere senza senso della tipa. Pare che volesse anche occupare la Casa Bianca con la bandiera irlandese.
Con Jo ci fermiamo per una pausa in un tratto campestre ricco di incroci e deviazioni a volte fuorvianti, lo facciamo all'ombra di un unico albero davanti a balle dorate ammassate una sull'altra che sembrano condomìni di fieno.
Ne approfitto per farmi un paio di foto, intanto João lo vediamo avanti, un minuscolo movimento all'orizzonte s'una strada che, in lontananza, diventa un filo sempre più sottile.
Paul e Luca sono dietro con la stordita, ma non tardano molto ad arrivare, e quando lo fanno io riparto.Ho questo difetto, se non sono in sintonia con una persona è lampante come un faro nella notte, non posso farci nulla.
Mi confermeranno poi che hanno valutato qualsiasi soluzione per levarsela di torno, compresa quella di farla fuori e gettarla in un fosso, ma non sarebbe stato nello spirito del Cammino.
Insomma, alla fine arriviamo alla meta giornaliera, con João che ha preso i posti per tutti, io piazzato secondo e gli altri a seguire dopo una mezz'ora.
Faccio un giro per l'albergue che è un'ottima struttura, dotato di più piani, con bagni separati per le donne e gli uomini, una grande cucina e un bel giardino dove si può fare il bucato e rilassarsi.
A proposito della cucina, guarda un po' chi c'è. Già, proprio Adrian, il cuoco della sera prima che stasera farà da mangiare per una trentina di persone, a pagamento però.
Praticamente lui tira su i soldi in questo modo, ha un cartello attaccato allo zaino che recita più o meno così.
"Sono un cuoco, se vuoi posso cucinare per te che sei pellegrino"
Si parte dall'aperitivo fino al dolce, per la somma di dieci euro a persona, chiaramente l'acquisto delle cibarie è compreso.
Fatti due conti, questo tipo si è guadagnato quella sera più di duecento euro, niente male per fare una cosa di cui si ha passione.
Noi ci cuciniamo da soli, a far la spesa vanno João e Paul, mentre Luca e Jo escono a cercare quell'allegria della mattina.
Ovviamente entrambe le missioni vanno a buon fine, e so che sarà una serata impegnativa questa.
Praticamente io non esco dall'albergue, tra una lavata di magliette e una mezza pennica attendo buono buono che sia ora di cucinare.
Alle 22 la cucina deve esser lasciata pulita e si chiude ma, questa sera, Adrian ha monopolizzato fornelli, forno, bombola del gas e accendini, quindi facciamo un po' tardi, però l'hospitalero vista la situazione ci lascia finire ben oltre l'orario canonico. Tra l'altro Luca e Jo hanno appuntamento con un rasta proprio a quell'ora, quindi mettiamo in scena una pantomima per farli uscire a quell'ora.Praticamente Jo fa finta di aver dimenticato il telefono in un bar, in seguito, molto in seguito, questo avverrà realmente.
L'irlandese è così calato nella parte che inizia a recitare quando siamo ancora in tre, oh Jo guarda che non devi convincere noi, aspetta un attimo.
Ad ogni modo la cosa funziona, così dopo aver mangiato e fatto i piatti scendiamo nel giardino a provare l'allegria del rasta.
Troviamo anche il "franzoso" cuoco, con il quale diventiamo cinque coppie di polmoni, e meno male aggiungo.
Questa non è allegria, è devastazione, ma di quelle buone, tant'è che con il cuoco inizio un discorso in inglese che non so nemmeno io dove mi ha portato, però rimango meravigliato da quanto ho usato bene la lingua di Albione.Al punto di obbligare la mia memoria vanga a non dimenticare la mia performance.Oh, son soddisfazioni eh.Ancora adesso rammento quella capacità di percepire ogni cassetto del mio cervello aprirsi alla mia necessità, non ho sbagliato un verbo o una parola.
Il problema arriva quando decido di salire e tornare al secondo piano nella camerata con Jo che segue la luce del mio cellulare come un cane molecolare e che, nonostante questo, dà una tibiata antologica su uno scalino.
Soffoco una risata che avrebbe effetti devastanti sul sonno degli altri, e con altri intendo almeno mezzo isolato intorno all'albergue, poi, prima di cadere nel nulla del sonno, sorrido soddisfatto per le ultime parole che ho detto ad Adrian prima di andare.
"Oh franzoso, ti saluta Materazzi"

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martedì 11 novembre 2014

"E se fossi suo figlio?".Da Logrono a Ventosa. 24 settembre.

Stamattina ce la prendiamo comoda, quando mi alzo saranno le otto scarse e Luca è ancora un tutt'uno con il sacco a pelo.
Mi preparo e sistemo lo zaino, poi vado nella camerata dove Gracia e Alicia stanno ancora dormendo. Cerco di non svegliarle quando le bacio per salutarle, invano.
La maggiore, Gracia, apre due bei occhi scuri che diventano subito umidi, non vorrebbe che partissimo ma anche lei deve tornare a lavoro nella sua città, Valencia.Mi abbraccia forte, poi tocca alla sorella scendere dal letto e sussurrarmi parole buone.Dico agli altri che li aspetto fuori, anche Federika partirà oggi per far ritorno a Berlino e insieme scendiamo le scale per farci una sigaretta all'aperto.
I ritardatari saranno Luca e Jo, con quest'ultimo non messo benissimo sui polpacci, nel frattempo il portoghese e il catalano raggiungono me e la berlinese insieme alle due sorelle.
Attendo qualche altro minuto, poi informo João che intanto andrò avanti.Abbraccio le tre donne senza mostrare una commozione che invece sento salimi fino alla gola.Non è un addio, da qualche parte, in qualche tempo futuro, ci rivedremo.
M'incammino senza voltarmi, dopo una ventina di metri sento Federika che mi saluta nel modo in cui mi ha chiamato la prima volta, Feibi, aggiungendo "no pain, no gain".Senza sofferenza non c'è ricompensa, una delle prime cose che le dissi mentre camminavamo.
Devo girarmi e aprire le braccia, dopo aver mandato un bacio in quest'aria spagnola poi, quello che vedranno, sarà solo uno zaino con le gambe che si allontana.
L'uscita dalla città non è semplicissima, devo chiedere almeno tre o quattro volte prima di vedere qualche freccia o conchiglia. Non è semplice ma porta verso un parco appoggiato intorno a un lago, faccio foto a papere, anatre e cigni, attraverso un breve tratto che sembra un bayou della Louisiana, con rami d'alberi inzuppati nell'acqua e gracidare di rane sparso nell'aria, infine raggiungo una sorta di chalet dove mi fermo per un'oretta buona.
Oggi il mio umore è altalenante, per questo ho deciso di fare questo primo tratto da solo.
Ad ogni modo, dopo una buona colazione, una visita al bagno e una sigaretta, mentre attendo che il mio telefono mandi un video a Simona, conosco un signore di circa ottant'anni.
Se ne sta seduto sulla veranda esterna dello chalet, quando gli passo vicino mi augura Buen camino, così è inevitabile fare due chiacchiere.
Si presenta dicendo che il suo nome non è usuale, si chiama Amable, e continua affermando che cerca di portarlo con giusta causa, parlando e passando il tempo con i pellegrini che fanno pausa li.
Non ricordo di dove fosse, ma si è trasferito a Logrono parecchi anni fa e non si è più mosso, anche perché la moglie non ama mettere il naso oltre qualche km di distanza.Il suo Cammino è li, fermo nel movimento degli altri, lo assapora in questo modo, chiedendo da dove si è partiti, che tempo si è trovato, dove si intende arrivare e da quale parte del mondo si proviene.
Voglio farmi una foto con questo nonno, a cui somiglio un po' per via del candore delle nostre barbe, accetta con piacere, poi faccio per salutarlo e rimettere le mie cose nello zaino quando arrivano gli altri quattro.
Ok, ora camminiamo insieme, nonno Amabile mi ha dato la giusta positività.
Rimetto giù lo zaino, tra un bocadillo e qualche foto che Jo vuole con me passiamo altro tempo su questa riva di lago sotto un sole quasi estivo.Conosco anche un altro irlandese sopra i settanta che si fa sciogliere un gelato in mano per quanto parla.Mi racconta di suo padre, che è stato in non so bene quale campo di battaglia nella seconda guerra mondiale, e mi fa ricordare mio nonno che se l'è fatta in Grecia, e di uno zio di mio padre, di cui ho ancora le lettere spedite dai campi di prigionia alla moglie.
Queste chiacchiere mi fanno sentire fortunato ed è con questo spirito che riprendo lo zaino invitando gli altri ad andare.Oggi dovremmo fare una trentina di km e siamo praticamente appena usciti da Logrono.
Ricominciamo tutti con qualcosa nello stomaco e affrontiamo una pendenza niente male, poi ci avviciniamo a Navarrete costeggiando una rete metallica a lato dell'autostrada, piena di croci in legno lasciate da chi ci ha preceduto. Io e Jo siamo poco più avanti degli altri, ne approfitto per riprendere la storia che mi raccontò quella notte a Pamplona.Voglio sapere di più, la Storia, perché anche quella lo è, mi attira da sempre e la sua, di storia, ha tutta l'aria di poter essere una parte del mio diario di viaggio.
Prima di iniziare con le domande gli chiedo se potrò scrivere quello che mi ha detto e dirà, è una forma di rispetto che avrò con tutti coloro i quali mi racconteranno una parte della loro vita.Come tutti,mi dirà di si ma stando attento al modo.Alcune ferite, per un popolo, è difficile si rimarginino.
Mi racconta dei suoi anni dai 15 ai 18, di come sia stato partecipe di quella protesta e in che maniera, di quando è stato arrestato e dei tre anni di galera.Delle botte subite ogni giorno nelle carceri di Belfast, e del suo silenzio.La mia memoria fa gli straordinari, non posso dimenticare una testimonianza del genere, seppur assimilata in inglese.
Ancora oggi, ho negli occhi quelle centinaia di metri dove abbiamo camminato e parlato.
Interrompiamo le chiacchiere quando gli altri, allungando il passo, ci raggiungono e, insieme, raggiungiamo i resti di un hospital per pellegrini del 1100.La località si chiama San Juan de Acre, poco dopo entriamo in Navarrete.
Visitiamo la chiesa del paese poi, a causa di due polpacci ormai rossi come ferro in una fornace, portiamo Jo in presidio medico.
Paul fa da traduttore e Jo viene portato in una stanza dove avrà due iniezioni.Quando usciamo dal posto, decidiamo di buttarci su un prato a mangiare qualcosa.Sono quasi le sedici quando riprendiamo, Jo sta meglio ma non alla grande, Luca ha sempre male ai tendini e io dico sempre cazzate lungo il cammino.
Usciamo dal paese passando a fianco al cimitero dove fuori, seduti su una panchina, c'è una coppia che abbiamo già incrociato nei giorni passati.Lui ha appena preso una chitarra e João ci fa ascoltare un fado portoghese, dopo averli ringraziati e fatto un video c'incamminiamo ancora.
Ci rendiamo conto che si sta facendo tardi e i due "malati" non possono andare più veloce, così decidiamo di non raggiungere Najera ma fermarci a Ventosa.
Buco di nemmeno 100 anime, è un paesino dove c'è un unico albergue che raggiungiamo verso le 18.Io entro un attimo, poi lascio parlare João e Paul con chi lo conduce, attendendo fuori insieme a Jo e Luca stravaccati in strada.Sono esausti e la notizia che ci arriva non migliora le cose.
Tutto pieno dicono il portoghese e il catalano.
Ok, andiamo a comprare qualcosa da mangiare, faccio io, ma no, l'unico posto dove vendono qualcosa è questo albergue e non può venderci nulla se non abbiamo il posto letto.
Cazzo cazzo cazzo! Non abbiamo da dormire e nemmeno da mangiare? Ma che minchia vuol dire?
Calma, ci vuole calma, dico a João se può andare a sentire il parroco della chiesa, magari è parente di quello a Bayonne e ci aiuta.
Ok il portoghese parte e torna dopo una decina di minuti.Una cattiva e una che può(attenzione, può) esser buona, ci dice a proposito delle notizie che porta.Dai, iniziamo con l'amaro, sputa João!
Il prete non c'è, viene una volta a settimana, dice.No dai, è una presa per il culo vero?Cioè qua oltre a non avere un alimentari e far la spesa la mattina dall'ambulante che alle nove ne va, hanno pure il prete a turni?
Chiaro che oggi non c'è, bene andiamo con l'altra, ovvero una tipa che affitta una casa privata, cinque persone 90 eurozzi.
Ma siamo a Ventosa o a Tortuga, chiedo io facendo riferimento a un'eventuale benda su un occhio tipica dei pirati, a causa del prezzo.
Qui inizia un conciliabolo se accettare o meno il ricatto e Luca,chiaramente, propone subito di dormire fuori.
Fuori eh, bello, di sicuro con un certo romanticismo peones, e anche da pellegrini maledetti, ma vaffanculo c'è un'umidità che domattina dovremo usare le istruzioni per rimontarci le ossa.
Esprimo così il mio pensiero a riguardo, e poi fuori dove, che nemmeno una stalla vediamo in giro.
Arriviamo al punto che la questione merita di esser dibattuta davanti a una birra, così andiamo nell'unico bar del paese, dove tra l'altro c'è il contatto con la pirata.
Jo, davanti alla bevanda bionda dice che paga tutto lui, noi ci opponiamo fermamente, poi la votazione decide che prendiamo la casa.Ora resta la questione cibarie.
Il bar fa da mangiare, ovvio, ma spendere altri dieci euro a persona ci riesce dura.Porto Paul con me, a cercare qualche autoctono che ci faccia da tassista fino al paese precedente, così da far spesa e dare qualcosa per il disturbo.Niente, nemmeno in Io Sono Leggenda c'è questa difficoltà, ma siamo a Ventosa, paese di cento anime in estate.
No,nel caso qualcuno non lo ricordi.
Torniamo dentro senza buone notizie poi, a me, il concetto di essere discriminato in questa esperienza non va giù, ma proprio per niente.
Guardo gli altri e dico loro che torno all'albergue per chiedere spiegazioni, di aspettarmi per andare nella (presumibile) topaia che ci hanno affittato.
Lungo il breve tratto monto la famosa faccia da culo, quella che in certe occasioni viene utile.
Entro nell'albergue e trovo i due coniugi proprietari e la tizia di mezza età che presumo lavori lì. Parlo con lei, in inglese le chiedo di voler comprendere il perché, senza tono polemico ma con gentilezza.Risponde che per legge non si può, che comunque devo chiedere all'uomo presente. Uso un italiano lento e frammenti di uno spagnolo acquisito in questi giorni, ovvero il nulla.
Mi risponde che non può vendermi da mangiare perché non ha licenza, e fa capire che in paese potrebbero fare una spiata al fisco.Da buon italiano comprendo che la spiata potrebbe venire solo da chi guadagna dando da mangiare ai pellegrini, ok tutto chiaro.
Al primo tentativo, dove propongo di uscire con la merce nascosta o di passare con il favore delle tenebre, mi va male, anche paventando la leggendaria omertà italica.
Mhh, ok dov'è la faccia da culo? Eccola qua, riprovo e stavolta mi gioco il jolly come in Giochi senza Frontiere.
Guardo il tizio baffuto che continua a scuotere la testa in un diniego poi, quando parlo, ferma il suo mantra negativo.
"Ma se io fossi suo figlio, e avessi fame, sarebbe contento se mi negassero la possibilità di acquistare del cibo?"
Questo volevo dire ma, alla parola fame, lui comprende il senso e,con le mani poggiate sui fianchi, fissandomi, dice "prendi quello che vuoi, va bene".
Torno di corsa al bar, raccatto Luca e il mio zaino, faccio cenno agli altri che va tutto bene, loro mi guardano come se avessi le squame sulla pelle e il naso da ornitorinco, andiamo di nuovo dal tizio, prendiamo pasta, sugo pronto e pane, il tipo ci fa anche lo sconto, lo abbraccio come si abbraccia un padre e vedo i suoi occhi inumidirsi, nascondo il cibo nello zaino come un trafficante colombiano e, finalmente facciamo ritorno al bar.
Il tutto in sette minuti scarsi.
Al tavolo, gli altri tre attendono perplessi una spiegazione, io taglio corto dicendo a João e Paul di attivarsi per la casa, qua ci sono troppe orecchie indiscrete e l'inglese lo possono capire.
Con Jo e Luca rimaniamo a finirci la birra e dopo una ventina di minuti andiamo anche noi alla probabile topaia.Spero solo che almeno ci sia una cucina decente e pulita, se poi dovremo dormire in terra, amen, almeno abbiamo un tetto sulla testa.
Mentre elucubro in questo tardo pomeriggio spagnolo, João mi fa una telefonata. Hanno incontrato due ragazzi francesi che dormono fuori e ha detto loro che possono accamparsi nella topaia. Ovviamente dico che va bene, e incontriamo questi due "franzosi" lungo la strada che vanno a prendere qualcosa da mangiare dal baffo.Uno di questi due può acquistare, dato che ha il posto letto nell'albergue.
Ok, ci vediamo tra poco,faccio io, e intanto João ci viene incontro con un sorriso che sembra finto. Bene, la casa non è una topaia ma bellissima, ha due bagni, una cucina enorme e letti comodi, un giardino con amaca su cui si affaccia una vetrata che racchiude una sala dove mangeremo, pavimenti in parquet e muri a vista come le travi sul soffitto, un grammofono, libri e un arredamento davvero bello completano il tutto.
Che culo!
E uno dei due francesi cosa fa nella vita?Il cuoco!
Doppio culo, indubbiamente.
O è il Cammino a premiare la positività?
Risposte che ora non ci interessano, siamo contenti, facciamo una doccia rigenerante e Adrian, il cuoco, intanto cucina, c'è anche un'argentina a cena con noi, ma lei dormirà in albergue.Per ospitalità, durante la cena, ascolteremo in sottofondo i Gotan Project.
Passiamo una serata rilassante, a me vengono in mente Francesca, Gracia, Alicia e Federika, sarebbe stato perfetto con loro, anche se a noi maschietti sarebbe toccato dormire in terra, ma ci sono coperte in abbondanza e, se avessi potuto, avrei preferito così.
Mi viene in mente anche Mike, e Gilberto, e Sua e Pierpaolo, persone che mi hanno dato della buona energia, da cui ho ricevuto più di quello che mi sarei aspettato, che sebbene abbiano il loro cammino, egoisticamente vorrei camminassero ancora con noi.
Laviamo i piatti e poi ci fiondiamo nei letti, almeno chi può.
Prima di farlo, mi fumo una sigaretta davanti a una notte fresca e stellata.C'è un silenzio surreale e il fumo che espiro è l'unica forma di nuvola nell'aria ferma.
In quel momento, mi trovo a sorridere al buio per quello che sto vivendo.

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martedì 4 novembre 2014

La notte in più. Logrono.23 settembre.

Giù dal letto, che la caserma deve esser pronta per gli altri che verranno oggi.
Mi alzo con questo pensiero, sentendo gli ordini abbaiati in stile Sturmtruppen dalle gentili signore dell'albergue.Il secondo pensiero è non ripetibile,in quanto causato dal mio tendine destro quando appoggio il piede a terra.Ma sarà una buona giornata mi dico e, in quel momento, non so quanto avrò ragione.
Muy bien hombre, diamoci una sistemata e raggiungiamo gli altri di sotto.
Li trovo già pronti per trasferirsi nell'albergue dove sono Gracia e la sorella, ha un codice a cifre fuori dall'ingresso e gongoliamo al pensiero che stasera non abbiamo orario di rientro.Quello che si dice "true pilgrim style".
Un caffè veloce e poi via a prender posto, facendo le cose con calma, preparando già il letto per una pennica pomeridiana, confabulare sul da farsi e poi andare a fare una vera colazione.
Le due sorelle io, Luca e João ci troviamo così in un bar, gli altri, esclusa Francesca che è partita per Najera, la prossima tappa, sono a riposare.Jo ha anche un bel paio di polpacci rossi, merito di punture d'insetto a cui è allergico.
Approfitto della colazione per mandar giù una pasticca d'ibuprofene per il mio tendine poi, dopo aver fatto la spesa e tornati, aggiungerò una spalmata del miracoloso balsamo di tigre.
Ogni volta che si entra in un albergue, tra i vari odori c'è anche questo, pungente e che permea di sottofondo tutto il resto.
Ok, sono nemmeno le 12, al supermercato ho comprato anche una saponetta e lamette da barba, quindi andare a lavare due stracci e radersi per una ventina di minuti.Le lamette sono penose, d'altronde per 0,85 centesimi ( confezione da dieci pezzi) è già tanto che non mi si smontino in mano.
E ora che faccio? Esco a fare un giro o mi imbusto?
Buona la prima, cosi mi trovo per il centro città a visitare una chiesa e a fare foto come un turista qualsiasi, però con maglietta tecnica, calzoni corti e infradito.
Impegnato, come un giapponese davanti al colosseo, sento squillare il telefono, la berlinese mi sta chiamando e ci diamo appuntamento per uno spuntino prima di pranzo in un bar della piazza dove c'è sempre vita.
Detto fatto e siamo seduti in attesa di un caffè un cappuccino e una brioche.Ho voglia di zuccheri.
Con Federika passiamo quasi un'ora a chiacchierare pigramente e scambiandoci impressioni su questi giorni catapultati in un altro modo di vivere.Le chiedo se vorrebbe continuare, dato che oggi è la sua ultima sera, mi risponde che le dispiace molto lasciare, che avrebbe bisogno di più tempo in effetti.Poi parliamo degli incontri fatti e io accenno a Mike. Le chiedo se l'ha visto, lei è partita da Pamplona, mi risponde di no, d'altronde lui si è fermato un paio di giorni.
Pago il conto dicendole che è un peccato, le sarebbe stato simpatico e concludo che mi farebbe piacere avere sue notizie prima di terminare il mio cammino a Burgos.
Esiste RadioCamino, un tam tam tra i pellegrini che porta le notizie con la stessa velocità dei tuoi passi, spesso chiedi, a qualcuno che hai intravisto, notizie su qualcun'altro e scopri che chiedono anche di te, di come stai fisicamente, a quale distanza ti trovi.È come scrivere una lettera di carta e spedirla con i metodi del  '700, non sai quando e se arriverà, altrettanto per una risposta.
Torniamo che bisogna ancora preparare il pranzo, non c'è fretta e João è andato a fare un salto dove abbiamo dormito ieri sera, causa dimenticanza infradito.Io ne approfitto, lui e Luca son deputati alla cucina, andando sul letto a scribacchiare un po'.Passa nemmeno mezz'ora e il portoghese mi raggiunge in camerata con una faccia seria.Chiede di parlarmi in privato, gli dico che qua siamo io e lui e forse qualcuno su un letto venti o trenta posti più in là, che può parlare.Niente da fare, dobbiamo andare fuori, è importante.
Stanno bombardando il cammino? Qualcuno ha tirato le cuoia?C'è un invasione aliena o semplicemente si è scotta la pasta?
Insomma João, che cazzo è successo per farmi fare due piani di scale e avere una faccia da foca triste?
MAPPORCADIQUELLAPUTTANA!!
GRANDE MIKE!!!
Me lo trovo seduto e gli altri attorno per vedere che faccia avrei fatto a questa sorpresa.
Credo di avere un occhio che piange ridendo e l'altro che ride piangendo.
Sono contentissimo e anche sbalordito, un'ora fa ne stavo parlando e ora questo fottuto svizzero dalla testa dura è qui.
Minchia, la Carrà avrebbe fatto audience con me!
Insomma un dieci minuti dove chiediamo come è andata negli ultimi giorni, quanto si ferma e l'obbligo a mangiare con noi.
Ok, sappiamo che c'è anche Sua, e l'andiamo a salutare nel gulag di ieri sera,Mike dorme in un hotel e João l'ha incontrato mentre lo svizzero accompagnava la coreana.
Tutti felici, tutti contenti ed è un peccato che Francesca abbia lasciato il gruppo, ma il cammino è così, ti offre aperture ogni giorno, sta a te decidere cosa fare.E poi, sempre su questa strada si sta, è probabile rivedersi.
Bene, c'è da organizzare per stasera, ne parliamo a pranzo, decidendo di fare una pennica pomeridiana e poi, verso le 18, incontrarsi per far festa.
La serata sarà fantastica, un continuo di risate e buoni pensieri accompagnati da ottimo vino e bei momenti, come quando abbiamo preso da un ambulante un bracciale per Federika, che ci ha ringraziato con una gran luce negli occhi, o come quando tutti, a turno, hanno scritto un pensiero sulla mia moleskine, nella propria lingua.
Attestati migliori di qualsiasi laurea, non aggiungo altro.
Oppure il pezzo Dirty old town cantato da João e Jo, un omaggio al verde giardino d'Europa, mentre eravamo ancora seduti a cena.
Dopo, tutti a ballare in una delle piazze con concerti dal vivo di gruppi spagnoli. Non ci capisco una beata minchia ma mi diverto e ballo come non accadeva da quindici anni.Arriva birra da mille mani diverse e, quando torniamo all'albergue, lungo la strada son risate sommesse e abbracci sparsi, così, tanto perché si è contenti.
Salutiamo Mike che se ne va nel suo hotel, sappiamo  davvero sarà l'ultima volta visto che non sa ancora se continuare o fermarsi del tutto.Intanto si prenderà due giorni di riposo anche qui, le sue vesciche hanno deciso in questo modo.
Dentro l'albergue c'è un chiostro, chiaramente non andremo a dormire, certo che no, sono solo le tre meno un quarto.Quindi altro giro di sigarette cercando di parlare piano e ridere ancora più basso.
A giudicare da come siamo stati apostrofati alle tre e mezza, da un'italiana che è scesa grazie al nostro vociare, pensiamo che il parlare basso non rientri nelle nostre virtù.
Ce ne andiamo a letto come liceali in un giorno di gita, contenti di quello che abbiamo avuto e di quello che avremo, anche se domani sarà un giorno senza qualcuno.
Mi scopro a pensare che Francesca mancherà. O sarà la sua abilità nel fare lavatrici?
Il giorno dopo sentirò anche la mancanza del suo bagnoschiuma, dato che dimenticherò qui la saponetta comprata oggi.Again.

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giovedì 30 ottobre 2014

Acqua di mattina, vino di sera.Da Los Arcos a Logrono.22 settembre

La mattina è piovosa e ce ne accorgiamo appena svegli dal suono dell'acqua sul tetto.
Una volta preparati, ci ritroviamo all'aperto sotto il porticato dove siamo stati accolti ieri.C'è un distributore automatico di bevande,compresa la sciacquatura di lavatrice spacciata per caffè, intorno al quale si consuma una sparuta colazione mischiata con i preparativi finali di copertura zaini e indumenti con qualcosa di impermeabile.Quelli con i poncho sembrano tante m&m's dai colori più svariati.João non ha nulla per lo zaino, quindi userà una busta nera dell'immondizia e mollette per fissarla.Federika non ha copri pantaloni e risolveremo con buste più piccole ai piedi, fin sopra la caviglia, assicurate con nastro isolante ed elastici.
Sapevo che prima o poi il manuale delle Giovani Marmotte sarebbe tornato utile.
Paul è il più felice, finalmente può usare quell'ombrello a causa del quale l'abbiamo preso per il culo da quando siam partiti.A Luca presto l'impermeabile che mia zia mi ha dato prima di partire, io kway e copripantaloni, nei 99 eurozzi per lo zaino c'era anche la copertura per il medesimo.
Ci siamo tutti?
No, manca Francesca che è già partita con il favore delle tenebre in compagnia del gruppo spagnolo e di Antonio, perciò c'incamminiamo noi cinque uscendo dall'albergue e seguendo, nella penombra plumbea di questa mattinata, le frecce del cammino.Poca strada e il gruppo, almeno per un po', si allarga. Charlotte, un'australiana che ha avuto due boyfriends italiani e il siciliano del riso buonissimo. Tra qualche fico colto dagli alberi e fango che sembra mangiarsi le scarpe, sotto una pioggerellina sottile come capelli, arriviamo a Sansol, dove prendiamo qualcosa da mangiare in un piccolo emporio dove un ragazzo di nemmeno sedici anni serve i pellegrini di passaggio. Luca, che ha naso maggiore per le comodità ci aveva preceduto fermandosi al bar successivo che era decisamente meglio.
Poco male, dopo una breve pausa ripartiamo incrociando altri pellegrini e vediamo Gilberto seduto sotto la pensilina per i bus, ma ci assicura che è solo per fare una pausa al coperto.Gli credo, da come l'ho conosciuto non sarebbe il tipo. Arriviamo a Torres del Rio, dove faccio spesa per il pranzo e visito la chiesa ottagonale del Santo Sepolcro di origine templare. La strada continua e inizia il lamento di Luca a proposito dei suoi tendini, a me non dà ancora molto fastidio, è piuttosto un lievissimo dolore in lontananza.
Cominciamo a sfilacciarci, rimanendo presto io,Luca e Federika, con gli altri che aumentano il passo.Bravi, mi raccomando i letti ragazzi.
Smette di piovere ma le nuvole rimangono fisse in cielo, noi tre continuiamo con il nostro passo che ci permette di far foto, fumare una sigaretta, dare una sorsata d'acqua e goderci questo paesaggio pieno di vigneti e saliscendi.
Dopo una di queste salite sullo sterrato, dietro la curva alla sua sommità, a fianco del sentiero e posti in una radura tra gli alberi, troviamo, per la prima volta da quando è iniziata quest'avventura, una serie impossibile da contare di sassi impilati uno sull'altro.
Piccole piramidi di sommaria fattura con, in cima o a fianco, oggetti di ogni risma lasciati dai passi precedenti.È automatico fermarsi appena si gira la curva e rimanere li per qualche istante a guardare questo posto.
Noi ci rimaniamo molto di più, decidiamo di contribuire alle costruzioni e io prendo tre sassi, uno più grande dell'altro. Alla base il maggiore, che rappresenta la mia età, poi quello mezzano che è Luca, infine l'età di Federika è il terzo. Li accompagniamo con un biglietto e la penna con cui l'abbiamo scritto. Ho anche un fugace pensiero di fare quella cosa promessa al telefono, durante la notte di Pamplona. Quando chiedo consiglio a Federika, mi risponde che se ho un minimo dubbio, allora il posto non è questo.
Ok, accetto, il problema è che di posti giusti ce ne sono molti in questo cammino.Ad ogni modo, quando stiamo terminando le nostre riflessioni e riprendiamo gli zaini, non arriva Jo?
Si, proprio l'irlandese, e questa volta gli dico che, secondo me, è ora di fare un pezzo con noi. Mi guarda per un attimo, poi mi dice ok.Il tempo di fare due presentazioni e il gruppo cambia nuovamente, riprendiamo a camminare con argomenti nuovi, un'altra voce di un coro che, a mio giudizio, non ha mai stonato, sebbene ognuno si sia preso le sue licenze in solitaria.
Affrontiamo altre salite e altre discese, faccio assaggiare a un restio Jo un grappolo d'uva.Non smetterà mai di dirmi grazie, pensava non fosse pronta.In quel pomeriggio sono invitato anche in Irlanda, mi dice che possiamo farcela a piedi tutta quanta.Cazzo, sono contento come un orso nella stagione dei salmoni.
Federika chiede a Jo di cantare qualche canzone irlandese, lui acconsente mentre scaliamo una collina, un'altra pausa per un pezzo di panino, quindi continuiamo verso Viana che raggiungiamo verso l'ora di pranzo.Sembra andare tutto per il meglio, a parte i piccoli acciacchi che abbiamo.Seduti a un bar consumiamo, tra qualche risata in mezzo a un paio di birre, un paio di panini a testa.
Poi accade che  presto il telefono a Luca, come altre volte, ma riceve una notizia che spezza in un attimo l'atmosfera, come se fosse un grissino.
Un suo amico se n'è andato per cirrosi, non ce la a trattenere le lacrime, Federika e Jo mi guardano come se sapessi cosa fare, pensando che io e Luca ci conosciamo da tempo.
Mentre si alza e inizia ad andare, suggerisco di lasciarlo da solo per un po'.Parlando con Jo, che è un altro a cui l'alcool non dispiace, dico che la forza di Luca dovrà essere nel prendere questa notizia come un avviso che il cammino vuole dargli. Stupido?Può darsi, ma cos'altro può fare?Non hai strumenti per portare indietro quello che è accaduto, ma quello che è accaduto può diventare uno strumento per portarti avanti.
Un po' di silenzio per una ventina di minuti, poi raggiungiamo il genovese durante una sosta.Ricominciamo dopo avergli dato, tutti, un abbraccio, c'è da raggiungere la città e, durante gli ultimi km rimarremo indietro io e Luca. Entrambi con un buon dolore, ma il suo era meglio, tanto che si è tolto le scarpe e io zoppico come il cuoco dell'Isola del Tesoro.
Alla fine di una lunga, molto lunga, zona industriale, Federika ci attende sulla sommità di una strada in salita che ci condurrà, dopo un altro paio di km all'albergue.Ci fermiamo però, per qualche minuto, dalla figlia di Felicia, scomparsa nel 2002 e che accoglieva i pellegrini con fichi, acqua fresca e amore.Maria, la figlia, continua a farlo apponendoci anche un suo timbro personale.
Quando arriviamo, gli altri sapevano già dell'accaduto, contribuendo così a risollevare Luca. Il posto scelto non è male, al centro della città che, per tre sere, ospiterà la festa del vino.
È anche il momento di ragionare su una pausa di un giorno, Luca ha male parecchio, io non sto proprio come Usain Bolt prima di un record mondiale, Federika finirà il suo cammino qui, deve tornare a Berlino, Jo non disdegna il fatto di fermarsi ma, João avrebbe intenzione di spostarsi al nord e fare l'omonimo cammino, dato che non ha tempo illimitato e presuppone che dal nord possa raggiungere Santiago in meno giorni.
Il problema è che lui e Luca sono partiti insieme, sono amici da sei anni e il genovese non ha limiti di tempo.E poi vorrebbe dire staccarsi da questo gruppo che ha un senso.
Alla fine, con un sorriso generale, si deciderà di rimanere un giorno in più, riposarsi e goderci la città.
Paul naturalmente rimane ma Francesca, la mattina seguente, andrà avanti con gli spagnoli.
Ok, docciati e sistemati si esce per svagarci e fare spesa.Nell'ordine Federika, io, João, Paul e Jo ci avventuriamo per una piazza gremita di gente.Gira qui gira là, incontriamo le due sorelle spagnole, Gracia e Alicia che, senza tanti giri di parole, si uniscono a noi.Ma non ci abbiamo mai parlato o camminato!
Siamo comunque contenti perché si alza ancora la media di bellezza.Non che questo porterà frutti eh, sia chiaro.
Iniziamo la serata seduti a uno dei tanti caffè/bar della piazza, ma di caffè non ne parliamo, sarà una serata di solo vino e risate nella stessa quantità.Francesca la intravediamo con Antonio in giro per la piazza, proviamo a chiamarla ma il vociare della folla inghiotte le nostre voci come la folla stessa fa con loro due.
La ritroveremo all'albergue, per la cena dove abbiamo portato anche Gracia e Alicia sebbene siano a dormire da un'altra parte.
Si fanno le dieci mentre concludo degnamente con una sbornia d'altri tempi e le due signore che gestiscono l'albergue presumo siano imparentate con esponenti delle SS, tanto sono fiscali e pronte a spegnere le luci.
Nella penombra della camerata si sentono i nostri sghignazzi quando io e Federika(entrambi oltre ogni cognizione) diciamo a Luca che il suo letto è stato fottuto.Lui, sguardo perso nell'oblio, continua a dire che non è vero, finché l'evidenza, mostrata dalle sue chiappe che si siedono sulla faccia di un tipo, non gli fa rivedere le sue opinioni.
Ok ok, calma che qua è un tetris.Tu lì, lui di là, no non là, più in là, ecco lì. In pratica direttive degne di un Eisenhower durante lo sbarco in Normandia.
Bene, ci sei Luca? Cosa ti manca per metterti a dormire?
Gli manca il sacco a pelo, quello dove il tipo sopra di me sta comodamente arrotolato.
Luca si guarda intorno con sguardo da fagiano, poi sfila via il prezioso involucro al tizio che sembra cadere dalle nuvole, un po' come un difensore di calcio atterra da dietro un avversario e allarga subito le braccia. Io non ho fatto niente, ho preso la palla.
Quando m'imbusto nel mio, sto ancora ridacchiando come un deficiente e Federika non mi aiuta affatto a smettere.
Chiudo gli occhi sul pensiero che domani riposeremo e faremo festa.
Ancora Fà? Ebbastasù.

No, ancora, e adesso lasciami dormire.



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venerdì 24 ottobre 2014

In principio furono i Celti.Da Estella a Los Arcos.21 settembre.

Lungo questo percorso, negli albergue dedicati ai pellegrini dove, ricordo, non si può dormire se non si ha la credencial, ci sono chiaramente delle regole.
Una di queste è che, ove possibile, bisogna lasciare le scarpe fuori dalle camerate, per ovvi motivi olfattivi.
Detto questo, la mattina si presenta umida della notte precedente e, quando usciamo dalla camerata per recuperare le scarpe, Luca si accorge che di acqua ne ha fatta tanta.
Le ha lasciate fuori dalla tettoia, io no e lo guardo come si guarda qualcuno che sta iniziando un business sui pesci rossi, tanto son zuppe.
Ok, qualcuno avrà un asciugacapelli? No Luca, non ci si porta un peso superfluo del genere nello zaino, mi sembra chiaro.
Bene, molto bene, è tardi come per un condannato a morte e gli altri sono già andati.Dopo varie ricerche l'hospitalera ne trova uno nei meandri nell'albergue e Luca inizia l'opera.Io e Francesca facciamo i tipici italiani, ovvero due guardano e uno lavora.
Finalmente partiamo, sono le nove passate e ci lasciamo Estella alle spalle dirigendoci verso il monastero di Irache.
Già, quello dove c'è la famosa fonte del vino, difatti Luca dimentica presto lo sguish sguish che proviene dalle sue scarpe umide e, con un sorriso degno dello squalo di Nemo, inizia a togliersi lo zaino 20 metri prima della fontana.
D'accordo, pausa gambe e inizio lavoro di fegato, il vino è buono e nella sosta parliamo anche con due simpatiche signore di non ricordo quale posto.
Luca riempie la sua bottiglietta di plastica un paio si volte, poi, dato l'andazzo, pensiamo sia meglio andare prima che si faccia notte.
Visita breve al museo del vino e gambe in spalla verso Ovest.
In questa tappa lasciamo la Navarra per entrare nella Roja, la regione spagnola dedicata proprio alla spremuta d'uva.Dopo qualche km arriviamo ad Azqueta dove ritroviamo Gilberto addossato, in stile geco al sole, alla parete di una piccola casa.Ci diamo giù di un buon panino e poi andiamo a cercare Pablito dei bordoni.Un tizio che abita in questa manciata di abitazioni e, dal 1986, lavora dei bastoni di nocciolo per donarli ai pellegrini che lo vanno a trovare.
Ma siamo fortunati come un ratto in un magazzino di grano,vuoto però.
Pablito è a messa, oggi è domenica e non ce ne siamo resi conto. Qua il tempo non ha nome, allora con mestizia continuiamo lasciando Gilberto in un'attesa che risulterà vana.
Dopo due km passiamo la Fuente del Moro, una cisterna del tredicesimo secolo dove i gradini scendono direttamente nell'acqua, stagnante aggiungo.
Quindi niente rinfrescata ai piedi malgrado un Sole a temperatura piastra per bistecche e continuare, dopo un paio di foto, verso l'ultimo paese prima di Los Arcos, Villamayor di Monjardin.Tra i due punti di vita ci saranno 10 km di solitudine e un'unica fonte d'acqua.
Un caffè e un gelato, un timbro sulla credencial e proseguiamo lungo il silenzio dei vigneti e delle nostre parole.
Di João e Paul nemmeno l'ombra, io rallento un po' fino a restare da solo, le colline sembrano fatte di cuoio per il colore intenso che hanno e il sudore mi fa desiderare una doccia fresca ad ogni passo.Sono km pieni di me stesso e campi coltivati, le ore se ne vanno con un senso, pur non facendo altro che camminare e bere.
A un certo punto, sulla mia destra, scavallando una linea calva di collina, appare un furgoncino, sempre tipo porchetta in Italia, ma solo con roba da bere e qualche frutta da mangiare.
E chi c'è seduto sotto un gazebo da quattro euro ma la cui ombra non ha prezzo?
Luca e Francesca, mi hanno atteso in compagnia di una birra (strano eh) e con altre quattro persone.
Due sono una coppia di spagnoli di una certa età, poi ci sono due ragazze, anche loro spagnole, che abbiamo già incrociato nei giorni scorsi, ma senza averci mai parlato. Non è che cambi la cosa, anche perché parlano solo spagnolo e io, oltre a "dimienticame" non ricordo molto.Sono due sorelle, molto carine tra l'altro, e una di loro nota il ciondolo che porto al collo, ovvero un pesos spagnolo dell'era pre-euro.
Comunque, dopo una sosta di venti minuti, riprendiamo il cammino dando uno sguardo alla guida. Forza, manca qualche km e con Luca azzardiamo un'orario d'arrivo mantenendo questo ritmo.Tanto, come sempre, i letti saranno prenotati da João e Paul.
Le nuvole,nella direzione dove stiamo andando, sembrano prepararsi per un'altra notte piovosa, ma questo non elimina il caldo durante il giorno.
Quando arriviamo a Los Arcos io sono leggermente più avanti e, Luca e Francesca mi trovano seduto nella piccola piazza principale con João, Paul e altre persone, intento a bere una birra.Al loro arrivo mi alzo e faccio un giro nella chiesa antistante, passando davanti a un tipo di cui invidio il piccolo portatile che sta usando per scrivere.Ci guardiamo un attimo e noto che non è vestito da pellegrino, presumo sarà un turista, prima di inoltrarmi nel luogo consacrato.
All'uscita trovo al tavolo anche George, si proprio lui, l'Alaskiano che si ferma come al solito in un hotel del posto, non senza aver bevuto con noi.
È tempo di raggiungere l'albergue e farsi una doccia, quindi zaino in mano e fare un cento metri prima di dare il documento d'identità e la credencial all'hospitalero che ci accoglie.
Riecco il gruppo con l'italiano idiota, il giapponese e Antonio lo spagnolo, da  un paio di giorni l'idiota cerca di prendere informazioni su Francesca, praticamente chiede a me e Luca se ha una tresca con uno di noi, ma non per lui, lo chiede per Antonio.
Rispondo a mezza bocca, mi si legge in faccia quando qualcuno non mi sta simpatico, ma comunque, alla fine, lo spagnolo e l'italiana cammineranno insieme visto che, mentre noi siamo fuori all'aperto a cantare con un tizio francese e la sua chitarra, lei si gode un bel massaggio ai piedi e gambe offerto dalla Spagna.
Non condivido, ma rispetto le scelte.
Ad ogni modo, sto tizio francese ha un tablet con le canzoni di tutto il mondo, anche in coreano, così, tanto per non sbagliare se incontra qualcuno di quelle parti che vuol cantare, lui suona e basta.
A me tocca una cosa romantica, l'inno del corpo sciolto, e riscuoto un successo internazionale con annesso filmato da parte proprio di due coreane che non capiscono una minchia di quel che dico.
Nel frattempo Federica e João si cimentano in cucina, intanto conosco un romano che non vedrò mai più e un siciliano che ci farà assaggiare un riso buonissimo.
Ma c'è un altro incontro stasera, me lo propone Luca, durante una pausa delle mie esibizioni, dicendomi che c'è un tizio che devo assolutamente conoscere.
Lo seguo, fino all'estremità di questa lunga e strampalata tavolinata di almeno otto lingue diverse, per stringere la mano di Arterio.
Si, lo so, non è un nome comune, difatti si chiama Marco, ma questo è il suo alter ego editoriale e digitale.
Quando lo guardo meglio nell'oscurità rischiarata da lampadine appese qua e là, riconosco il tizio che era seduto fuori la chiesa con il portatile a scrivere.
Mi ha notato anche lui e iniziamo a parlare di questa esperienza,
Non sta facendo il Cammino, l'ha già fatto tre volte e stasera è qui con la sua due cavalli charleston parcheggiata fuori, è venuto a salure gli hospitaleri di questo paese, conosciuti durante i suoi cammini.
La prima volta l'ha fatto in vespa, le altre due a piedi e, in una di quest' ultime ha avuto un infarto, un'angina per la precisione, cadendo a terra senza fiato, poi si è rialzato e l'ha terminato.
Lo guardo come se vedessi un sopravvissuto del D-Day, ha la mia età e mi racconta altro.
Mi dice che ci sono quattro categorie di persone che si muovono su questa via: i corrigrini, quelli che arrivano prima di mezzogiorno alla tappa, per i quali il tempo sembra correre come nella vita di tutti i giorni e qui, decisamente, non è così.
I turigrini, coloro i quali, per via di una moda crescente del Cammino, si spostano in autobus o altro quando non vogliono camminare oppure la tappa è troppo impegnativa, e arrivano a Santiago per avere la Compostela da mostrare come trofeo.
I pellegrini, e qui la definizione assume un connotato religioso di ovvia discendenza.
Poi c'è la quarta categoria, i camminanti, alla quale lui sente di far parte e, quando me ne parla, riconosco in me quel modo di vivere questa esperienza.
Parliamo anche della vita in generale, delle donne e degli amori e anche delle mie motivazioni.
Confida a me e Luca che due volte gli è capitato di fare l'amore lungo i suoi cammini, che erano angeli di una notte, ma era amore e non una scopata.
Gli rispondo che il problema degli angeli è che ti lasciano piume sulle spalle difficili da scrollare, la sua espressione conferma la mia tesi.
Infine, mi fa vedere il Cammino sotto un'altra ottica accennando al fatto che nasca prima di Santiago.
Porta la mia attenzione al concetto che si segua il sole durante il giorno, si va da est ad ovest e il punto d'arrivo non è la città di San Giacomo, ma l'Oceano.
Come facevano i celti millenni fa, venerando il culto più antico, quello del Sole appunto e arrivando all'acqua, fonte primordiale di vita.
Prosegue dicendomi che il simbolo originario non è la conchiglia o la freccia gialla, ma un uomo stilizzato, in piedi e con le braccia aperte tra cui un semicerchio va da una mano all'altra. Il cammino del Sole.
Conclude invitandomi a farne un pezzo al contrario, per sentire che l'energia accumulata in millenni nel verso giusto ti opporrà una sorta di resistenza.Quando, il giorno dopo ci proverò, o per suggestione o per verità, constaterò che aveva ragione lui.È l'ovest che ti richiama, è il mare ad attenderti.
Stanotte dormirà nella sua tenda accampato nel giardino, perché non sta camminando e i letti son fatti per chi fa i km a piedi.
Ci salutiamo abbracciandoci e gli dico che è stata una bella conoscenza, lui annuisce confermando.Inizia a piovere quando entro nel dormitorio e il plicchettio dell'acqua non mi dà tempo di fare altri pensieri se non quello di dormire.
Anche se, come accade molte volte, intorno a me ho il rumore di una squadra di boscaioli finlandesi.

PS: www.myspleen.tv
Questo è il sito di Arterio, se volete dateci uno sguardo.


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martedì 21 ottobre 2014

Le parole della sera.Da Puente la Reina a Estella.20 settembre.

Mi alzo con i tempi giusti, anche se durante la notte mi sono svegliato un paio di volte.Poca roba, sono quei risvegli che durano il tempo di un pensiero, e nello stesso tempo svaniscono.
Vedo che Federica ha quasi finito di prepararsi, io sono ancora a carissimo amico.Pochi minuti e lei scende per colazione, intanto Francesca scrolla Luca ancora mischiato nel sacco a pelo.
Piuttosto, dove minchia sono Paul e João?Mi viene comunicato da Fra, in stile portinaia, che ci attendono all'aperto.D'accordo, vediamo di sbrigarci, dando uno sguardo alla finestra noto che anche oggi sarà il Sole a seguirci, quindi ammucchiare sacco a pelo e roba varia nello zaino, darsi una sciacquata e vestirsi, controllare che non ci dimentichiamo nulla, Luca compreso, e andare per uno sciacquabudella in un bar.
Detto fatto e, prima di partire, classica foto di rito per noi cinque davanti a un arco medievale.
Lasciamo il paese della peperonata spagnola traversando il Ponte della Regina, che dà il nome all'abitato, per oltrepassare l'asfalto e inoltrarci nella terra battuta.La giornata mantiene quello che prometteva la mattina, Sole Sole e Sole.Ci sono un paio di salite che ci portano oltre l'autostrada, non spesso, ma nemmeno tanto raramente, i piedi passano dove girano le gomme delle auto e, tra chi guida e chi cammina, quando ci guardiamo, non ho dubbi su chi sia più felice.Parlo di calcio con un inglese, ne parlo come si dovrebbe fare ogni giorno, nella maniera più serena e sorridente possibile, mentre il paesaggio inizia a diventare una sequenza di vigneti.
Ottima uva, davvero ottima uva quella che, a tratti, taglio dai filari per dividerla con chi cammino, anche se i proprietari non saranno contenti, ma credo lo mettano in conto per la vendemmia.
Dopo una salita ci fermiamo in un paese arroccato su una collina come un nido sopra un ramo.Scegliamo un alimentari con tavoli fuori, a noi ne tocca uno che pende come la torre di Pisa, ma la fame non fa cadere nulla mentre il mio coltellino svizzero passa di mano in mano.Grande Mike, ci servirà ancora molte volte e ogni volta è come se camminasse con noi.
Vedo Jo appoggiato alla spalla di un arco a pochi metri, gli offro mezzo panino con salame e formaggio, mi sorride dicendo che è a posto, allora torno al tavolo e, dopo i due morsi necessari, inizio a rollare una sigaretta. Ci sono Federica, Luca, João, Paul e Francesca che iniziano a sistemarsi gli zaini, io me la prendo più comoda partendo una decina di minuti dopo.Fuori da questo paese la pista diventa una strada romana che non è proprio comoda come la fecero all'epoca, tra gradoni erosi dal tempo e lastre di pietra dove la terra si cerca posto, continuo a camminare da solo, gli altri sono avanti e, a tratti, aiutato dai dislivelli e dalle curve riesco a intuire le loro figure.
C'è una sorta di tacito patto, che lascia libero ognuno di noi pur avendo legato in maniera forte, e sono solo cinque giorni che ci conosciamo. Ancora vigneti sfilano via ai miei lati, mentre altrettanti pensieri sfilano nella mia testa.Si cammina con i piedi, ma si viaggia con la mente.
Passa un'oretta prima di poter vedere Luca qualche centinaio di metri avanti a me, allungo un po' sempre fischiettando, questione di un minuto e l'aria di Malafemmena, nel silenzio stropicciato dai passi, lo fa voltare e attendermi.
Mi dice che ha dovuto rallentare, ha dolore ai piedi e, per empatia, non vuoi far risvegliare anche il mio tendine?
Fa caldo e io, stranamente, ho finito l'acqua nella bottiglia che mi porto dietro dalla partenza in Francia, un litro e mezzo andato e siamo praticamente a metà tappa.Ci saranno altre fontane, certo, ma intanto siamo senza ed affrontiamo la questione all'ombra di un viadotto che ci fa passare sotto l'autostrada. L'affrontiamo con la massima intelligenza, degna di una gallina a cui hanno fatto una lobotomia, ovvero fumando una sigaretta per accelerare la disidratazione.
Ma non è la nostra ora evidentemente, perché il silenzio si trasforma in un vociare chiassoso.Sono quarantotto spagnoli di ogni età, tutti di un paese con settecento anime totali e, ogni anno, si fanno una quarantina di km, modello scampagnata da tre giorni.
Salutiamo e iniziamo a parlare con un tizio sopra la sessantina e due baffi bianchi di vita.Si chiama Féliz e ha da bere.
Già, ha da bere.
Vino chiaramente, e gli altri quarantasette non hanno mai sentito la parola acqua.
Beh, come si dice, di necessità virtù, e allora via con le fiasche in pelle tipiche, tra bianco, rosso e Luca che pare Verdone, tirando sempre in ballo sua nonna, di origine spagnola però.
Morale della favola, usciamo dal viadotto intonando "ma che ce frega, ma che c'emporta", quarantotto spagnoli con resto di due italiani.
Quando, dopo un paio di chilometri, incrociamo un altro paese, Luca decide di fermarsi sulla riva di un fiumiciattolo a dar sollievo a piedi e tendini.Io continuo e, oltre un piccolo ponte, raggiungo gli altri in una piazzetta dove una fontana regala ottima acqua.Mi rinfresco e passo dieci minuti in compagnia di Federica su una panchina, mentre João, Francesca e Paul ripartono verso Ovest.
La tedesca mi dice che, dalla sera prima, le ho suscitato una positiva impressione.Ma va?La cosa si fa interessante però, anche se il mio lato più materiale si fa dei kolossal stile Ben Hur, l'altra parte, quella che mi ha richiamato qui, si gode la cosa senza secondi fini.Ascolto quest'ultima, Federica è anche simpatica oltre che carina, e non ostenta affatto la sua bellezza, ma affrontiamo discorsi che hanno un peso e mi daranno una bella immagine di lei.
Piccolo inciso.
Che gran culo però.
Fine dell'inciso.
Insomma parla tu che parlo io, non raggiungiamo George from Alaska? Ma dove minchia è passato mi chiedo, l'avevo lasciato a Pamplona e ora me lo ritrovo qui.Faccio le presentazioni del caso, poi, in un giardino nel paesino di Villatuerta, non vedo accampati i quarantotto spagnoli?
E che fai, non rispondi all'invito di Féliz che seduto su una panca e davanti a un tavolo pieno di cibarie ti chiama a gran voce?
No Fa, non rispondere, dì che devi continuare.
Ok, due minuti dopo, sono senza zaino, stravaccato a terra, con panino e carne in una mano e nell'altra peperoni.
Qualcuno mi salvi, penso dopo dieci minuti ma, quando mi giro verso la direzione da cui son venuto, vedo Luca arrivare.
Ho detto qualcuno mi salvi, non qualcuno ci salvi.
Passeremo altra mezz'ora a mangiare e bere.Vino ovviamente.
Credo che mia madre abbia un fratello spagnolo e non lo sappia, visto che prima di andare Féliz vuole farmi,al sacco, pranzo e cena per i prossimi due giorni.Stavolta devo rifiutare garbamente, poi un abbraccio sincero prima di lasciarli,infine ci muoviamo anche io e Luca.
Cammina cammina e ritrovo George a sostare un po', Federica è andata avanti e ora siamo un Alaskiano ( si dirà così?) e due italiani.
Piccolo stop per riempire ancora la bottiglia ad una fontana la cui iscrizione ci fa sapere che, nella prossima tappa, da un'altra fontana sgorgherà vino.Gratis, che è l'altra parola, insieme a vino, a render felice Luca come un'ape il primo giorno di primavera.
Prima di arrivare ad Estella, c'è una piccola deviazione che porta all'ermita di san Miguel. Loro due non vengono, io invece devio per un centinaio di metri in mezzo a una buona manciata d'ulivi.
Trovo l'ingresso nel lato sud ed entro.
Pace, non trovo altre parole per la sensazione che ti gira intorno prima di scendere dentro.
Un luogo completamente vuoto tranne un altare in marmo e un crocifisso in legno. Nulla, niente panche, nessun altro ambiente che non sia questo rettangolo di muri coperto da un soffitto con travi a vista e centinaia di sassi e pensieri lasciati da altri pellegrini sopra l'altare.
Ha più di mille anni questo monastero, dove passo i seguenti venti minuti in un silenzio surreale e in un fresco riposante che mantiene fuori il caldo del Sole.
Eviterei di respirare, se potessi, per non incrinare questo vuoto di suoni dove sono immerso.
Quando riprendo la via, scorgo a un centinaio di metri indietro la carovana di spagnoli.
Aumenta il passo Fà, che sennò ti tocca il cenone di capodanno stasera.
Ci siamo, entro in Estella dopo aver passato un altro ponte, lascio alla mia destra una bella chiesa e arrivo, guidato da una gentile signora, all'albergue.
Nell'ordine: prendere possesso del letto, fare doccia e lavare le due cose per domani, cazzeggiare sul letto mentre Francesca massaggia i piedi di Luca e Federica legge un po'(anche qui sono cubi da quattro posti con divisorio dagli altri), fare un video e proporre di uscire.
Dovremo pur fare la spesa no?
Prima ci dirigiamo verso un bar per bere una birra, poi incontriamo di nuovo George, lo invitiamo a cena anche se lui sta in albergo, quindi al supermercato io e João abbiamo una divergenza d'opinioni su cosa preparare che finirà con il lasciare a lui la scelta della cena, stasera si mangia portoghese.
In tutto questo incontriamo un altro gruppo misto che dorme dove siamo noi.
Prevalenza spagnoli, tra cui Antonio da Barcellona, un giapponese che è in effetti un manga e c'è anche un italiano che, a dirla tutta, mi sta un po' sui coglioni data la sua evidente stupidità.
Oh, non è che perché si fanno gli stessi km uno debba essere per forza simpatico a tutti.
Si torna nella struttura poco prima che inizi a piovigginare, peccato per il fatto che non si mangi all'esterno ma abbiamo tempo per un'aperitivo all'aria aperta del giardino.
Lascio gli altri per una ventina di minuti dove ne approfitto per stare un po' sul letto e svegliare Francesca che, sul letto, ci è svenuta da prima che uscissimo.
Quando viene Luca, a chiamarci per la cena, ha gli occhi lucidi e mi spiega quello che non avevo capito di George la prima volta che l'ho incontrato nella seconda tappa.
Ha perso il figlio in un incidente e la figlia ha affrontato un tumore un paio d'anni fa.
Uscendo in giardino lo trovo seduto e con lo sguardo provato, lo abbraccio per un istante a questo Alaskiano che è tre volte me, poi trasformiamo le lacrime in sorrisi, brindando al Cammino e a quello che ci sta facendo vivere.
Oh, João, ma sta cena è pronta si o no?
Mangiamo bene, abbondante e invecchiando, in quell'ora a tavola, nella maniera migliore per farlo.Parlando, ridendo, bevendo e non pensando al tempo che passa.
Ecco, siamo liberi dal tempo e dall'ignoto che c'è oltre ogni istante, viviamo il momento, tutto qui, che non è affatto poco.
A fine cena George ci saluta, per tornare in albergo, dicendo che non saprà dove arriverà domani, poi passiamo il tempo facendo due chiacchiere insieme al gruppo dell'italiano simpatico come un gatto appeso alle palle mentre Federica scambia messaggi con il suo lui in Germania.
Già, ha un lui, maremma cane, però lo sapevo, me me ha parlato durante le ore di cammino insieme, e comunque, alla fine del vino e delle parole in comune, rimaniamo fuori io e João seduti in giardino.
Ha appena finito di piovere, l'aria è fresca e, in lontananza, qualche auto provoca il brusio delle ruote sull'asfalto bagnato. Mi faccio una sigaretta e parlo con il portoghese.
Quando aveva quattordici anni ha perso la madre in un incidente d'auto dove lui ha avuto la frattura delle gambe.Si conosce con Luca da circa sei anni, per il genovese è il suo miglior amico.Vive ad Amsterdam con la sua ragazza, dove lavora nel campo delle biciclette.Suona la chitarra in un gruppo suo dove è anche cantante, autore e frontman, ci delizierà ogni volta che troveremo uno strumento.Io gli racconto di me, delle mie motivazioni e di quello che sto avendo da questa esperienza.Mi accorgo che le parole non bastano per certe cose e facciamo tardi nel nostro parlare misto tra italiano inglese e portoghese.
Alla fine mi fa uno dei complimenti migliori che una persona può avere, mi dice che se gli chiedessero come vorrebbe essere, passati i 40, risponderebbe che sarebbe contento di essere una persona come me.
E che rispondi a una cosa cosi? Niente, anche perché io vorrei cambiare qualcosa di me, ma evidentemente non è così importante agli occhi degli altri.Questo mondo ci rende spesso paranoici e pensiamo di avere sempre qualcosa in meno degli altri, invece siamo come siamo, l'unico punto è accettare, come ho già scritto.
Non c'è nulla da fare, questo Cammino ha qualcosa che non sai spiegare eppure la percepisci, perché ti senti pieno e la stanchezza, immancabile alla sera, è solo un dettaglio di poco conto rispetto a quello che ottieni senza chiedere nulla.Mai.
Ricomincia a piovere quando stiamo per andare a dormire, nel silenzio qualcuno russa e qualcun'altro mugugna nel sonno.Io, dopo aver dato una buona craniata al letto di Francesca che è sopra il mio, riesco ad infilarmi nel sacco a pelo e, prima di dormire, riesco a sentire João che ridacchia per il bonk inequivocabile. Stavolta tocca a lui.

On air


sabato 18 ottobre 2014

Tanto per dare un viso alle orme.Interludio video.

Non ho scritto ma ho fatto altro.Certo, tra lo scrivere e il montaggio video c'è da scegliere il male minore, ma vabbè si apprezza la buona volontà e sopratutto i favolosi mezzi tecnici di "Telepoiananetwork"

Enjoy it!!!


martedì 14 ottobre 2014

A incrociare il cammino del vento con quello delle stelle. Da Pamplona a Puente la Reina. 19 settembre.

Quando, la mattina, usciamo dall'albergue per far colazione, troviamo Mike e Sua fuori ad attenderci.Vogliono salutarci, nel probabile caso che il cammino non ci faccia più incontrare.
Al bar prendo il primo caffè degno di questo nome, il motivo è presto svelato, dietro il bancone c'è un italiano.Alla mia espressione di stupore rivolta a Luca il tipo mi fa: beh, da dire qualcosa?
Sorrido e lo ringrazio dicendogli che mi sembrava strano fosse fatto da uno spagnolo.Il tipo ci augura Buen Camino e appone il suo timbro personale sulla credencial, poi usciamo fuori, è il momento dei saluti.
Abbracci ed incoraggiamenti vari, prima di incamminarci seguendo le frecce gialle.Quando mi volto, Mike, da lontano, si batte la mano sul petto e alza il pollice.Bravo Mike, niente lacrime, solo sorrisi e voglia di andare, suerte e Buen Camino anche a te amico mio.
Usciamo dalla città in una mattinata bellissima, dove il sole sorge luminoso tra gli alberi dei parchi e l'aria fresca mi fa venir voglia di fischiettare.
In breve, tendiamo a disunire questo piccolo gruppetto dove ci sono anche Thelma e Louise.Alla prima pausa classico stop all'alimentari di turno, poi a mangiar qualcosa sulle panchine di un parco.Sono con João, Paul, Luca e Francesca.
Finito il break, zaino in spalla e far scemare l'asfalto in terra.Non sto avendo grossi problemi fisici ma il tendine inizia presto a darmi quel fastidio al limitare di un dolore ancora sopportabile.Una dolce campagna precede l'Alto del Perdon. È un tratto di 13 km circa, dove incontriamo alberi di noci lungo la strada, panchine solitarie e silenziose, altri pellegrini, tra cui Gilberto, a riposare un po'.
A Zariquiegui ci fermiamo per una sosta più prolungata, visito una minuscola chiesa, appongo il suo timbro, entro in un bar e mangio qualcosa insieme a Luca e Francesca.João e Paul sono fuori a far due chiacchiere, nel frattempo arrivano anche Thelma e Louise, loro si fermano qui per oggi.Non avrò più modo di rivederle, lo so, di conseguenza ci salutiamo scambiandoci contatti vari. Quando riprendiamo il percorso, l'Alto del Perdon dista poco più di due km.
Sono da salire, nulla in confronto ai Pirenei, ma sempre salita bisogna fare.Questo non impedisce a me e João di cazzeggiare mentre faccio un video.Insomma, alla fine eccoci su questo famoso Alto, dove una serie di profili in metallo rappresentano una colonna di pellegrini in cammino.Su uno di questi, quello a cavallo, c'è una scritta: Donde se cruza el camino del viento con el de las estrellas.
Rimaniamo lì, sotto un vento forte di una giornata appena imbiancata dalle nuvole e un sole che tende a farti sudare, per il tempo che serve ad ognuno di noi a perdersi nei pensieri. Ad est c'è una Pamplona lontana e, oltre, i profili disegnati dei Pirenei.Ad ovest quello che deve ancora venire.In mezzo ci siamo noi, questo quintetto di gambe e occhi che han voglia di continuare. Infatti João Paul e Luca iniziano la discesa, mancano ancora una decina di km a Puente la Reina, io invece, dopo aver fatto una cosa richiesta da un amico, m'incammino più lentamente con Francesca.
Mentre eravamo seduti a pensare ai fatti nostri, lei ha avuto una crisi di pianto.Il vento l'aiutava a non farsi sentire, ma insomma,quello che vedevo oltre i suoi occhiali erano lacrime.
Le chiedo se vuole parlare,mi dice che non è niente, ma non è così. Chi viene da queste parti lo fa per un motivo, c'è chi lo sa, chi invece non lo sa ancora, chi lo saprà durante il cammino, chi dopo e chi non lo saprà mai.Mi correggo, il verbo giusto non è sapere ma piuttosto esserne consapevoli, perché a saperlo, nel profondo, lo sappiamo tutti.Ancora meglio, si tratta di accettare e accettarsi.
Ad ogni modo iniziamo la discesa dall'altra parte che ci condurrà, dopo altri tre paesini, alla meta di questa giornata.
Nel frattempo parliamo, mi dice che ha preso, tempo indietro, una decisione che presumo sia la più dolorosa per una donna.
Mi racconta anche della sua infanzia, di come il padre, all'epoca diciottenne, abbia deciso che era troppo presto per una figlia, e se ne sia andato lasciando una quattordicenne che sarebbe diventata madre.
Mi parla ancora della sua decisione, di averlo fatto perché sa cosa vuol dire crescere senza un padre, eppure non si perdona.
Abbiamo appena passato l'Alto del Perdon le dico, qualcosa vorrà dire, continuo dicendole che tutti facciamo errori e la prima persona che deve perdonarceli siamo noi stessi, altrimenti sarà difficile possano farlo gli altri.Lo so, suona molto retorico, ma c'è forse un'altra via da seguire?Se c'è un motivo per il quale non possiamo andare indietro nel tempo forse è proprio per quel motivo che dobbiamo andare avanti cercando di impiegare meglio il tempo che viviamo.
Assumersi oggettivamente una colpa non vuol dire riparare quel che si è fatto ma semplicemente proporsi per migliorare.
Mentre parlo lei smette di piangere, in qualche modo mi sento meglio anche io.Ha 23 anni Francesca, sarebbe uno spreco vivere una vita nel rimorso, le strizzo l'occhio iniziando a dire due minchiate, non posso fare di più, la soluzione è dentro di lei, attaccata al problema.Non affronteremo più questo argomento e, ancora oggi, le auguro davvero che guardi sempre avanti.Tanto il passato non si cambia ma può aiutarci a cambiare noi.
Quando si parla il tempo scorre, e com'è come non è, arriviamo a Uterga, dove Luca è seduto in terra addossato a una casa all'ombra.Qualche centinaio di metri prima, io e Francesca ci siam fermati ad ascoltare un tizio che diceva un Salve Regina in latino.Oh, è proprio una figata sentire le cose in latino, a prescindere dall'argomento, anche perché riesco a captare qualcosa in merito ai miei anni liceali.
Insomma, passata la fase culturale, attraversiamo questo paesino e, dopo un centinaio di metri iniziamo a capire che siamo capitati nel periodo sbagliato.
Il temuto stabbio-time, ovvero la concimazione dei campi.E qui è tutto un campo.Praticamente è come avere le chiappe di una vacca attaccate al naso, nel frattempo respirare forte.
Ora io mi chiedo, ma la mattina quando aprono le finestre per cambiare aria, o l'estate quando fa caldo, sono sicuri di quello che fanno? Olfatto zero da queste parti eh.
Con questo ancestrale dubbio entriamo in un bar per una birra, chiaramente in un atmosfera di merda.
Alleniamo le nostre capacità d'apnea per i seguenti 3-4 km, l'ho detto che qui è tutto un campo. Luca a un certo punto brevetta l'uovo di colombo.Si piazza una molletta da bucato sul naso.Pare che funzioni, per effetti collaterali chiedere alle papille gustative, tanto intenso è l'aroma di sterco.
Muy Bien, dove siamo ora?
Ah ok, il posto si chiama Obanas, un altro paese, ma qui davvero la vita sembra passarci per caso, o sarà l'orario che fa incontrare pochissime persone per la strada.
Fatto sta che abbiamo un altro timbro, in un apparentemente incustodito albergue.
Dai che manca qualche km, intanto João e Paul hanno già preso i letti per noi.Gran comodità questa, dato che può capitare di trovare tutto occupato se la si prende comoda.Ma dovremo imparare meglio questa lezione qualche tappa più avanti.
Arriviamo a Puente la Reina passando per coltivazioni di peperoni dannatemente invitanti, anche la guida dice che se è stagione bisogna approfittarne.
Luca dice che l'albergue non gli dà la stessa energia degli altri, sembra un po' spento.
E vabbè, vorrà dire che ci dovremo impegnare.
Ok, doccia, caffè e sigaretta et voilà, pronti per andare a fare la spesa per la cena.
Andiamo nel mercato dove i coltivatori hanno solo peperoni da vendere, anche arrosto fatti al momento, ma bisogna prenderne 5 kg minimo. Bocciati, supermercato aiutaci tu.Io sono uscito anche per una saponetta, dato che la memoria-vanga ha provveduto a farmi lasciare l'altra a Zubiri.Però poi, gira di qua gira di là, parla con un altro gruppo composto da spagnoli, un italiano e un giapponese, insomma mi dimentico anche stavolta di comprarla.Vabbè il bagnoschiuma della Fra sembra infinito.
Gli altri tornano a cucinare e io invece vado a cercare l'irlandese, voglio invitarlo a cena da noi.Lo trovo all'altro albergue, quello all'entrata del paese, mi dice che è con altri a cena, se ci becchiamo dopo ci prenderemo una birra.
Ritorno all'ovile appena in tempo per essere chiamato da Luca con disperazione, mi vuole far condividere il dolore provato nel vedere due greci alle prese con la pasta.
Quando entro in cucina il cuore mi si stringe, i tizi hanno messo pentola sul fuoco senza accenderlo, poi acqua fredda all'interno, a seguire gli spaghetti e, in ultimo, acceso il fuoco.
Cioè, volete fare una nuova formula per l'Attack? Quando io e Luca proviamo a dare un minimo consiglio, i due ci rispondono a malo modo, a loro piace così.
Molto bene, molto molto bene.
"Ma famme capì, ma che te vengo a insegnà come se balla er sirtaki?
Su questa vaga presa per il culo giro le spalle e mi verso un bicchiere di vino, comunque sta pappa per intonacare se la mangiano loro, noi faremo una pasta con verdure ottima.
Nella sala dove si mangia, persone sono sedute a parlare e conoscersi, quando ci passo, per fare una telefonata fuori, noto due gran bei occhi azzurri.Chiedo lumi a Luca e lui mi dice che stasera mangia con noi, è una new entry partita da Pamplona.
Si chiama Federika ed è di Berlino, lo so quando il mio essere italiano le porta un bicchiere di vino e ci scambio due parole.Mi pare chiaro che a tavola sarò seduto vicino a lei che, oltretutto, ha un letto nella nostra camerata da otto posti.
Finita la cena ci facciamo un giro veloce per il paese, dato che l'orario di rientro è come sempre non più tardi delle 22.
A letto, faccio un rapido resoconto del gruppo che si sta formando e penso che durerà almeno finché io avrò tempo per camminare.Illuso, in realtà su questo percorso siamo come acqua e, come acqua, cambiamo forma continuamente.C'è una buona luna, fuori in cielo, a risaltare i profili scuri delle case e mentre la guardo sento il respiro regolare degli altri. In breve mi adeguo al loro ritmo, chiudendo gli occhi.


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