domenica 23 agosto 2015

Fermi a metà del discorso.Da Ledigos a Sahagun.21 maggio.

La mattinata è fredda e il fatto di avere i bagni fuori non mi aiuta ad uscire dal bozzolo molto volentieri.Credo di avere la faccia mischiata dal sonno quando brontolo qualche buongiorno in tre-quattro lingue random a qualcuno che incrocio sul tragitto letto-bagno.Giacomo è già pronto, in realtà credo sia una sorta di reincarnazione di Paul dello scorso anno sotto alcuni aspetti.Il primo ad alzarsi, senza vizi, un'ipotesi di diventare frate in testa, però di sicuro con più esperienza di vita, anche per via  di un'età maggiore.
Ad ogni modo mi attende nel bar dell'albergue mentre io  raccatto le mie cose cercando di non darla vinta alla mia MV.Finora è andata bene, ma lo so che rimane sempre li, alle mie spalle cerebrali, in attesa di prendersi la sua vittoria giornaliera.
Dopo colazione ci mettiamo in marcia per quelli che oggi saranno solo 17 km di passeggiata fino a Sahagun, dove stasera m'incontrerò con Joao.
Nei giorni passati ho dovuto ripetere, ogni volta alle persone con cui ho parlato, che ho interrotto lo scorso anno per questioni di tempo, che devo incontrarmi con un portoghese conosciuto nella prima parte del mio cammino, che abbiamo deciso di finirlo insieme e tutto il resto.
Ognuno dei pellegrini mi ha detto cose del tipo "it's Wonderful", "nice man", "good idea" e così via, io spero che sia davvero così, che l'incontro con Joao mi riporti quell'impatto emotivo che finora non ho avuto.Questo è il quinto giorno di cammino e io, spesso, mi sento un pesce dentro un nuovo acquario.Riconosco i miei simili ma non conosco davvero nessuno di loro, come invece era successo l'anno scorso dopo nemmeno un giorno dal mio arrivo a Bayonne.
Con questi pensieri a far da motore alle mie gambe arriviamo a Terradillos de los Templarios in nemmeno un'ora.Altra sosta per la seconda colazione e poi via, di nuovo sulla strada che taglia i campi circostanti con precisione geometrica.
Prima di arrivare a Moratinos incontriamo una spirale fatta di pietre che mi fa tornare in mente quella dell'anno scorso, poco prima di Burgos che era, però, di dimensioni maggiori.Il paese ci accoglie con quelle che sembrano case degli Hobbit.Scavate sotto le colline e con un comignolo che esce dalla terra come fosse un fungo solitario, una porta incastonata tra fianchi di terra e nessun segno di vita.Io e Giacomo facciamo un giro intorno a queste strane cose che sembrano case, cercando di sbirciare all'interno.L'arcano ci verrà svelato nei giorni seguenti, in realtà sono una sorta di cantine degli abitanti del luogo, dove vengono conservate varie vettovaglie, presumo prosciutti vino e quant'altro.
Noto anche un'altra cosa, ovvero che la maggior parte dei paesi dove sto passando questa volta sono talmente piccoli da sembrare disabitati, sono poche le persone del posto che si vedono in giro, in compenso ci sono sempre le cicogne che finora non ci hanno giocato nessuno scherzo.Immagino che ricevere un "regalo" da parte loro sia come ricevere un uovo fresco in testa, solo che non è un uovo.
Comunque Moratinos ce la lasciamo alle spalle in un batter d'occhio, insieme alle sue case di mattoni impastati con paglia e argilla, dopo esser passati dietro la chiesa del paese e usciti dallo stesso seguendo le immancabili frecce gialle.Ancora qualche km e raggiungiamo San Nicolas del real Camino, dove facciamo un'altra pausa, seduti ad un tavolo all'aperto verso una chiesa che sembra la gemella di quella di Moratinos.Qui chiacchieriamo con un paio di pellegrini di cui perderemo le tracce praticamente subito e, a proposito di tracce, ci chiediamo dove siano Jost e sua moglie, senza averne, tuttavia, la più pallida idea.
Non siamo molto distanti da Sahagun, con un rapido calcolo mentale deduciamo che in meno di due ore dovremmo esserci, quindi non ci affatichiamo più di tanto a percorrere questi km che mancano, prendendoci il tempo per fare foto e dare sguardi più attenti in giro.Prima di arrivare alla nostra meta, passiamo su un vecchio ponte di pietra che conduce a un eremo poggiato in uno spiazzo verde, dove rivediamo un canadese con cui abbiamo passato il pomeriggio a Itero de la Vega insieme a Sean l'irlandese.Due chiacchiere con lui, uno sguardo all'eremo che però è chiuso e poi riandare, passando in mezzo a due colonne di pietra lavorate che, ad uno sguardo attento, delimitano la metà esatta del cammino.
Cazzarola. sono a metà, penso.Ho vissuto la metà delle emozioni che possono essere trovate su questa via e ho sentito la terra sbriciolarsi sotto i miei passi per 400 km.Sono a metà e vorrei vivere il resto come la metà precedente, ma sarà il cammino a decidere, non io.
Per arrivare al paese c'è ancora qualche km, una mezz'ora abbondante di cammino, al termine della quale entriamo in un pueblo che non è affatto disabitato, anzi, abbastanza grande rispetto a quelli degli ultimi giorni.Sean, con cui nel frattempo abbiamo condiviso questi ultimi km, dice che ne ha abbastanza e si fermerà in un Hotel all'ingresso della cittadina.Noi continuiamo verso l'albergue Domus Viatoris, dove prendiamo posto anche per Joao.
Una volta sistemata la branda, ci dedichiamo a una doccia e poi al bucato, nel frattempo Joao mi manda un sms dicendomi che ha dimenticato la sua Credencial a casa e mi chiede se qui la vendono.Si parte bene, mi dico con un sorriso mentre mi avvicino alla reception dove danno risposta affermativa.Quindi una volta svolto il mio compito non mi resta altro che fumare "allegria" fuori nel patio dell'albergue e, dopo qualche tiro, mi rendo conto di non essermi regolato nella mistura dato che andrò a finire dritto dritto sul mio letto per prendere un sonno profondo di circa due ore e mezza.
Quando apro gli occhi non trovo Giacomo, allora decido di andare a fare uno spuntino da qualche parte, scegliendo un pub stile irlandese dove mi serviranno un'ottima birra e un bocadillo.Chiaro che c'è anche Sean, con cui scambio, tuttavia, poche parole.Ritorno all'albergue e con Giacomo decidiamo di uscire ancora per cena, nel frattempo i messaggi con Joao continuano e rimaniamo per incontrarci nella piazza dove l'anno scorso lui ha dato la festa per la sua partenza con tutti gli altri.Festa di cui si vanta, dato che è stata la prima volta dove Pol, ovvero padre Pol come lo chiamavamo tutti, si è ubriacato.Saprò poi, da Francesca, che quella volta rientrarono nell'albergue alle 6.00 del mattino e iniziarono a camminare dopo pranzo.
Insomma riprendiamo la via che porta al centro, scendendo a fianco di un'arena che spero sia in disuso, almeno così pare.Arriviamo al classico posto dove c'è un menù per pellegrini, benchè sia, devo ammettere, un locale ottimo dove prendersi una sbornia, e ci ritroviamo i due tedeschi con cui avevamo bevuto una birra ad Itero.Si siedono con noi per mangiare insieme e attendere l'arrivo del famoso Joao, perchè ormai è diventato così.Nel frattempo, mentre consumiamo il pasto, chiacchieriamo delle solite cose da pellegrini.Dove pensano di fermarsi domani, se hanno visto quella chiesa o quel tratto particolare durante i giorni scorsi, se hanno notato che bel posto era quello tra le mesetas, dove hanno dormito nei giorni precedenti.Chiaramente le stesse domande vengono rivolte a noi di rimando.
Dopo circa un'ora, dove nel frattempo ho aggiornato Francesca del fatto che Joao sta arrivando, eccolo qui, passare davanti all'enorme finestra del locale che dà sulla strada.Tempo cinque secondi e mi trovo questo portoghese davanti dopo averlo visto, l'ultima volta, alla fine dello scorso settembre.Ci abbracciamo fraternamente, con quel senso speciale di amicizia che alcune esperienze contribuiscono a far nascere e cementare.Come di consueto mi chiama "Barbabianca", per ovvi e canuti motivi, io lo apostrofo con un gentilissimo e fine "A boia", prima di presentarlo agli altri e ordinare da bere per tutti.Ci facciamo una foto da mandare via Whatsup al gruppo dell'anno scorso.La bresciana risponde subito con un'emoticon dai lucciconi agli occhi, gli altri ci abbracciano virtualmente e ci dicono di andare avanti.A me sembra che, come dentro una stanza in penombra, dove posso a malapena intuire la disposizione delle cose, si sia accesa una piccola luce per darmi una vista migliore.La sensazione di aver quantomeno sfiorato quel famoso filo di cui cercavo l'appiglio nei giorni precedenti.Vedremo cosa accadrà andando avanti.
Nel frattempo dobbiamo andare all'albergue invece, dato che ci stiamo avvicinando all'ora della chiusura e Joao deve ancora prendere posto.Quando rientriamo, all'esterno nel patio, comodamente sedute e con un paio di coperte addosso per la temperatura rigida, ci sono due ragazze insieme ad un tizio che ci salutano offrendoci anche da bere.Decliniamo per il tempo che serve a Joao di sbrigare tutte le formalità come credenziale nuova e relativo primo timbro, poi lui e Giacomo se ne vanno a dormire, io invece mi accomodo fuori portando due tiri di "allegria" e bevendo dalla cerveza di Annalì, mentre Karol approfitta della mia "allegria" e l'altro tipo chiacchiera con me in inglese dato che è l'unico a saperlo.Insomma si fa una certa ora e, prima di andarmene, Annalì mi molla un bacio sul collo che, per un attimo, mi mette i brividi, ma è troppo tardi e saluto il terzetto con l'intento di vederci nei giorni successivi sulla via.
Steso sul letto, con le mani incrociate dietro la testa, per la prima volta dopo cinque giorni, mi trovo a pensare che Sara, una ragazza con cui non ho camminato l'anno scorso ma si è aggregata agli altri ripartendo proprio da Burgos dopo che l'anno prima aveva fatto lo stesso mio tratto, mi disse, un giorno che l'avevo conosciuta tramite Francesca, che ripartire era stato, per lei, come non essersi mai fermata e che, anzi, il tratto da Burgos in poi le aveva lasciato più amicizie ed emozioni che l'anno precedente.
Ho ancora molti giorni di cammino da fare e, in silenzio, mi auguro che da domani sia così anche per me.

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lunedì 10 agosto 2015

80 anni e non sentirli.Da Carrion de los Condes a Ledigos.20 maggio.

Lasciamo il monastero che l'alba è già sveglia da un pezzo.Non è tardissimo ma nemmeno così presto come il giorno precedente.Ne approfittiamo per fare colazione nel bar delle birre di ieri pomeriggio.Ci sono facce conosciute, ma senza nomi, all'interno del locale.Sono quelle che in questi primi quattro giorni di cammino abbiamo incrociato senza tuttavia avere occasione di conoscerle bene.Ne capiteranno altre, penso, mentre finisco il secondo croissant e faccio un cenno a Giacomo che sono pronto per andare.Mettiamo lo zaino in spalla e percorriamo il paese seguendo le frecce che ci conducono alla sua uscita.Attraversiamo il ponte sul rio Carrion per trovarci davanti un monastero adibito ora a biblioteca sul Cammino.Ci sfila a fianco mentre con Giacomo iniziamo un discorso sui vari ordini monastici, da dove derivano, la differenza tra l'uno e l'altro.Mi parla di quale ordine vorrebbe far parte, poi, dopo un'oretta scarsa di cammino, imbocchiamo la via Aquitana, l'antica strada romana incastonata in quei 17 km di niente presenti in questa tappa.Mi guardo intorno ma non vedo tutta questa desertificazione, ci sono alberi ai lati, non moltissimi ma ci sono, e tratti dove qualche filo d'ombra arriva sulla mia pelle screpolata dal sole.Già, ho ancora una pelle, sopratutto sul naso, anche se non si direbbe.
Ci fermiamo per qualche minuto a guardare un vortice di polvere alla nostra sinistra, oltre un campo di grano e un filare d'alberi, saranno duecento metri di distanza ma il piccolo twister si vede benissimo, anche se non capiamo come sia possibile dato che non c'è vento.Continuiamo a camminare fino a un'area di sosta, una delle due menzionate dalla guida, dove ci prendiamo una mezz'ora per sgranocchiare qualcosa e svuotare la vescica.Un gruppo di donne in bicicletta ci chiede una foto, tengo il dito premuto sul display del cellulare quel che basta per farne una 20ina in sequenza, poi mi risiedo sulla panca sotto alla tettoia.
Stiamo quasi per andare via quando arriva una signora da sola, minuta, con lo zaino a far da scudo a quella schiena che di anni se n'è messi tanti sopra.Si siede vicino a noi e noto che somiglia a mia madre, solo con una decina d'anni in più.Pilucca qualcosa da mangiare con un sorso d'acqua, mentre ci scambiamo due parole in inglese.Non stiamo molto con lei, ce ne andiamo augurandole Buen camino, senza nemmeno sapere il suo nome, per evitare le ore più calde della giornata.Avevo già fatto un programma per arrivare il 21 a Sahagun dove attendere l'arrivo di Joao, e il programma prevede che oggi arriveremo a Ledigos per poi fare domani solo 17 km.Mi giro a guardarla per qualche istante mentre ci allontaniamo da lei, è quasi invisibile vicino allo zaino e mi viene voglia di abbracciarla, come si abbraccerebbe una madre.
Giro la testa e guardo avanti, mi trovo a fare due conti con il fisico, una sorta di check mentale.Le spalle non mi fanno male, le gambe ad ogni fine tappa accusano qualcosa, ma è normale, ho avuto una sola vescica piccolissima sul quinto dito del piede destro.Memore delle lezioni chirurgiche dello scorso anno, ho prontamente sedato sul nascere quello che sarebbe potuto diventare un fastidioso cotrattempo.Tra l'altro, consiglio di Giacomo, ho iniziato ad usare la vasellina su entrambi i piedi e devo dire che funziona alla grande.Questi famigerati km di solitudine finiscono quando Calzadilla de la Cueza, ci appare in fondo a una breve discesa sterrata.Prima di entrare in paese noto una ragazza con lo zaino non perfettamente allineato, anzi, direi pesantemente sbilanciato da una parte.La chiamo e le dico se posso sistemarglielo sciorinando un buon inglese, in un altrettanto buon inglese lei mi dice di si.Dopo circa trenta secondi ci facciamo una gran risata scoprendo che è italiana anche lei.
Entriamo insieme nel paese e io penso che magari una figura femminile ci sta bene in un gruppo che cammina, considerando che da domani Joao sarà con noi, anche perchè è effettivamente carina.Ma il Cammino ha deciso altro, dato che lei si fermerà qui mentre noi continueremo, non dopo aver fatto una sosta mangereccia all'albergue che fa anche da bar.Consumiamo con gusto due bocadillos e una birra, ancora una volta facce conosciute si alternano tra i tavoli con altre mai viste prima, un cane gira intorno alla ricerca di briciole e il sole inizia a farmi sudare, sopratutto se non tolgo la felpa in pile.Ci rimettiamo in marcia salutando una signora americana che era al nostro tavolo, mancano circa 7 km a Ledigos e dovremmo impiegare circa due ore per arrivare.
Dopo l'uscita dal paese abbiamo una scelta, una deviazione verso sinistra ci farebbe passare per un tratto senza affiancare la nazionale trafficata.Ci guardiamo per un attimo e decidiamo per l'aperta campagna, evitando così, per un po' di tempo, rumore di auto e fumi di scarico.Quando riprendiamo il tracciato originario, passiamo per un tratto dove, a terra, ci sono svariate frecce fatte di sassi, insieme ad altre scritte e cuori formati sempre da pietre.Spesso si incontrano sul Cammino opere del genere lasciate dai pellegrini e, a volte, quando non si riesce a vedere la freccia gialla dipinta o il cartello giusto, perchè magari nascosti dalla vegetazione, aiutano non poco.Da un paio di giorni, alla nostra destra, molto in lontananza, sfumati come solo la natura sa esserlo, ossia con quella pace lontana che, tuttavia, riesci a percepire, ci sono i monti della Catena Cantabrica.Guardo quella linea che divide il cielo dalla terra, ferma nella sua increspatura, come fosse una sorta di guida che mi indica la direzione giusta.
Rispettiamo la tabella che ci siamo prefissati, senza fretta e chiacchierando, anche se quando arriviamo al piccolo paese di ottanta abitanti siamo un po' stanchi.Prendiamo posto nell'unico albergue, dove c'è un giardino con una piscina coperta da un telone, un patio interno, un paio di camerate, bagni con docce esterni e una cucina degna dei sette nani, non tanto per l'altezza quanto per l'esigua metratura.
Non è tardi quando arriviamo, quindi abbiamo tempo per fare tutto il necessario, a partire dalle birre.Dopo una doccia e il bucato, arriva anche il tempo per provare "l'allegria" donatami.Me ne faccio una seduto sull'erba del giardino con un sole che lentamente, molto lentamente, se ne va verso Ovest.Chiacchiero con due signori francesi, uno è di Bayonne e allora tento di capire, in un francese alla pantera rosa, se conoscono padre Sebastiano, della cattedrale.Non sono molto convinti pur avendo messo quanti più particolari possibili tra un "oui" e un "tres bien" ma arriva l'ora di cena a salvarmi le chiappe da un intrico di erre mosce che rotolano nelle mie orecchie tutte trotterellando.
Dobbiamo fare il secondo turno, data la cucina da nani, e cuciniamo dopo un gruppo di americani che abbiamo già intravisto nei giorni scorsi.A dire il vero abbiamo notato sopratutto un'americana, per ovvi motivi, aggiungo.
Comunque le vettovaglie acquistate nel piccolo emporio dello stesso albergue, insieme alle spezie rimediate dalla cameriera, ci fanno fare una buona pasta assaggiata anche da uno degli americani e da un canadese di nome Etienne, un tizio giovane che sta facendo il cammino insieme ai genitori.Ha la faccia da surfista e anche le abitudini, visto che non disdegna qualche tiro di "allegria" dopo i pasti.
La sera è fresca e non invoglia molto a star fuori, anche se mi concedo un'altra sigaretta prima di andare a letto.Stando fuori, poggiato al muro dell'albergue e ascoltando il silenzio che inizia a salire, facendo scemare tutti gli altri rumori, mi rendo conto che sarà diverso questa volta, di sicuro ci saranno legami, di sicuro alla fine non sarò scontento, di sicuro sento che devo arrivare a Finisterre, ma so che saranno sensazioni diverse dall'anno scorso.Spengo la sigaretta e rimango altri cinque minuti a godermi il definitivo calare del silenzio poi, dopo una lavata ai denti, mi infilo nel sacco a pelo.
Quando chiudo gli occhi, in quei momenti in cui si cerca di lasciare gli ormeggi dai pensieri e navigare verso il sonno, mi domando dove sia quella signora così minuta che somiglia a mia madre.

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