lunedì 10 agosto 2015

80 anni e non sentirli.Da Carrion de los Condes a Ledigos.20 maggio.

Lasciamo il monastero che l'alba è già sveglia da un pezzo.Non è tardissimo ma nemmeno così presto come il giorno precedente.Ne approfittiamo per fare colazione nel bar delle birre di ieri pomeriggio.Ci sono facce conosciute, ma senza nomi, all'interno del locale.Sono quelle che in questi primi quattro giorni di cammino abbiamo incrociato senza tuttavia avere occasione di conoscerle bene.Ne capiteranno altre, penso, mentre finisco il secondo croissant e faccio un cenno a Giacomo che sono pronto per andare.Mettiamo lo zaino in spalla e percorriamo il paese seguendo le frecce che ci conducono alla sua uscita.Attraversiamo il ponte sul rio Carrion per trovarci davanti un monastero adibito ora a biblioteca sul Cammino.Ci sfila a fianco mentre con Giacomo iniziamo un discorso sui vari ordini monastici, da dove derivano, la differenza tra l'uno e l'altro.Mi parla di quale ordine vorrebbe far parte, poi, dopo un'oretta scarsa di cammino, imbocchiamo la via Aquitana, l'antica strada romana incastonata in quei 17 km di niente presenti in questa tappa.Mi guardo intorno ma non vedo tutta questa desertificazione, ci sono alberi ai lati, non moltissimi ma ci sono, e tratti dove qualche filo d'ombra arriva sulla mia pelle screpolata dal sole.Già, ho ancora una pelle, sopratutto sul naso, anche se non si direbbe.
Ci fermiamo per qualche minuto a guardare un vortice di polvere alla nostra sinistra, oltre un campo di grano e un filare d'alberi, saranno duecento metri di distanza ma il piccolo twister si vede benissimo, anche se non capiamo come sia possibile dato che non c'è vento.Continuiamo a camminare fino a un'area di sosta, una delle due menzionate dalla guida, dove ci prendiamo una mezz'ora per sgranocchiare qualcosa e svuotare la vescica.Un gruppo di donne in bicicletta ci chiede una foto, tengo il dito premuto sul display del cellulare quel che basta per farne una 20ina in sequenza, poi mi risiedo sulla panca sotto alla tettoia.
Stiamo quasi per andare via quando arriva una signora da sola, minuta, con lo zaino a far da scudo a quella schiena che di anni se n'è messi tanti sopra.Si siede vicino a noi e noto che somiglia a mia madre, solo con una decina d'anni in più.Pilucca qualcosa da mangiare con un sorso d'acqua, mentre ci scambiamo due parole in inglese.Non stiamo molto con lei, ce ne andiamo augurandole Buen camino, senza nemmeno sapere il suo nome, per evitare le ore più calde della giornata.Avevo già fatto un programma per arrivare il 21 a Sahagun dove attendere l'arrivo di Joao, e il programma prevede che oggi arriveremo a Ledigos per poi fare domani solo 17 km.Mi giro a guardarla per qualche istante mentre ci allontaniamo da lei, è quasi invisibile vicino allo zaino e mi viene voglia di abbracciarla, come si abbraccerebbe una madre.
Giro la testa e guardo avanti, mi trovo a fare due conti con il fisico, una sorta di check mentale.Le spalle non mi fanno male, le gambe ad ogni fine tappa accusano qualcosa, ma è normale, ho avuto una sola vescica piccolissima sul quinto dito del piede destro.Memore delle lezioni chirurgiche dello scorso anno, ho prontamente sedato sul nascere quello che sarebbe potuto diventare un fastidioso cotrattempo.Tra l'altro, consiglio di Giacomo, ho iniziato ad usare la vasellina su entrambi i piedi e devo dire che funziona alla grande.Questi famigerati km di solitudine finiscono quando Calzadilla de la Cueza, ci appare in fondo a una breve discesa sterrata.Prima di entrare in paese noto una ragazza con lo zaino non perfettamente allineato, anzi, direi pesantemente sbilanciato da una parte.La chiamo e le dico se posso sistemarglielo sciorinando un buon inglese, in un altrettanto buon inglese lei mi dice di si.Dopo circa trenta secondi ci facciamo una gran risata scoprendo che è italiana anche lei.
Entriamo insieme nel paese e io penso che magari una figura femminile ci sta bene in un gruppo che cammina, considerando che da domani Joao sarà con noi, anche perchè è effettivamente carina.Ma il Cammino ha deciso altro, dato che lei si fermerà qui mentre noi continueremo, non dopo aver fatto una sosta mangereccia all'albergue che fa anche da bar.Consumiamo con gusto due bocadillos e una birra, ancora una volta facce conosciute si alternano tra i tavoli con altre mai viste prima, un cane gira intorno alla ricerca di briciole e il sole inizia a farmi sudare, sopratutto se non tolgo la felpa in pile.Ci rimettiamo in marcia salutando una signora americana che era al nostro tavolo, mancano circa 7 km a Ledigos e dovremmo impiegare circa due ore per arrivare.
Dopo l'uscita dal paese abbiamo una scelta, una deviazione verso sinistra ci farebbe passare per un tratto senza affiancare la nazionale trafficata.Ci guardiamo per un attimo e decidiamo per l'aperta campagna, evitando così, per un po' di tempo, rumore di auto e fumi di scarico.Quando riprendiamo il tracciato originario, passiamo per un tratto dove, a terra, ci sono svariate frecce fatte di sassi, insieme ad altre scritte e cuori formati sempre da pietre.Spesso si incontrano sul Cammino opere del genere lasciate dai pellegrini e, a volte, quando non si riesce a vedere la freccia gialla dipinta o il cartello giusto, perchè magari nascosti dalla vegetazione, aiutano non poco.Da un paio di giorni, alla nostra destra, molto in lontananza, sfumati come solo la natura sa esserlo, ossia con quella pace lontana che, tuttavia, riesci a percepire, ci sono i monti della Catena Cantabrica.Guardo quella linea che divide il cielo dalla terra, ferma nella sua increspatura, come fosse una sorta di guida che mi indica la direzione giusta.
Rispettiamo la tabella che ci siamo prefissati, senza fretta e chiacchierando, anche se quando arriviamo al piccolo paese di ottanta abitanti siamo un po' stanchi.Prendiamo posto nell'unico albergue, dove c'è un giardino con una piscina coperta da un telone, un patio interno, un paio di camerate, bagni con docce esterni e una cucina degna dei sette nani, non tanto per l'altezza quanto per l'esigua metratura.
Non è tardi quando arriviamo, quindi abbiamo tempo per fare tutto il necessario, a partire dalle birre.Dopo una doccia e il bucato, arriva anche il tempo per provare "l'allegria" donatami.Me ne faccio una seduto sull'erba del giardino con un sole che lentamente, molto lentamente, se ne va verso Ovest.Chiacchiero con due signori francesi, uno è di Bayonne e allora tento di capire, in un francese alla pantera rosa, se conoscono padre Sebastiano, della cattedrale.Non sono molto convinti pur avendo messo quanti più particolari possibili tra un "oui" e un "tres bien" ma arriva l'ora di cena a salvarmi le chiappe da un intrico di erre mosce che rotolano nelle mie orecchie tutte trotterellando.
Dobbiamo fare il secondo turno, data la cucina da nani, e cuciniamo dopo un gruppo di americani che abbiamo già intravisto nei giorni scorsi.A dire il vero abbiamo notato sopratutto un'americana, per ovvi motivi, aggiungo.
Comunque le vettovaglie acquistate nel piccolo emporio dello stesso albergue, insieme alle spezie rimediate dalla cameriera, ci fanno fare una buona pasta assaggiata anche da uno degli americani e da un canadese di nome Etienne, un tizio giovane che sta facendo il cammino insieme ai genitori.Ha la faccia da surfista e anche le abitudini, visto che non disdegna qualche tiro di "allegria" dopo i pasti.
La sera è fresca e non invoglia molto a star fuori, anche se mi concedo un'altra sigaretta prima di andare a letto.Stando fuori, poggiato al muro dell'albergue e ascoltando il silenzio che inizia a salire, facendo scemare tutti gli altri rumori, mi rendo conto che sarà diverso questa volta, di sicuro ci saranno legami, di sicuro alla fine non sarò scontento, di sicuro sento che devo arrivare a Finisterre, ma so che saranno sensazioni diverse dall'anno scorso.Spengo la sigaretta e rimango altri cinque minuti a godermi il definitivo calare del silenzio poi, dopo una lavata ai denti, mi infilo nel sacco a pelo.
Quando chiudo gli occhi, in quei momenti in cui si cerca di lasciare gli ormeggi dai pensieri e navigare verso il sonno, mi domando dove sia quella signora così minuta che somiglia a mia madre.

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