giovedì 30 ottobre 2014

Acqua di mattina, vino di sera.Da Los Arcos a Logrono.22 settembre

La mattina è piovosa e ce ne accorgiamo appena svegli dal suono dell'acqua sul tetto.
Una volta preparati, ci ritroviamo all'aperto sotto il porticato dove siamo stati accolti ieri.C'è un distributore automatico di bevande,compresa la sciacquatura di lavatrice spacciata per caffè, intorno al quale si consuma una sparuta colazione mischiata con i preparativi finali di copertura zaini e indumenti con qualcosa di impermeabile.Quelli con i poncho sembrano tante m&m's dai colori più svariati.João non ha nulla per lo zaino, quindi userà una busta nera dell'immondizia e mollette per fissarla.Federika non ha copri pantaloni e risolveremo con buste più piccole ai piedi, fin sopra la caviglia, assicurate con nastro isolante ed elastici.
Sapevo che prima o poi il manuale delle Giovani Marmotte sarebbe tornato utile.
Paul è il più felice, finalmente può usare quell'ombrello a causa del quale l'abbiamo preso per il culo da quando siam partiti.A Luca presto l'impermeabile che mia zia mi ha dato prima di partire, io kway e copripantaloni, nei 99 eurozzi per lo zaino c'era anche la copertura per il medesimo.
Ci siamo tutti?
No, manca Francesca che è già partita con il favore delle tenebre in compagnia del gruppo spagnolo e di Antonio, perciò c'incamminiamo noi cinque uscendo dall'albergue e seguendo, nella penombra plumbea di questa mattinata, le frecce del cammino.Poca strada e il gruppo, almeno per un po', si allarga. Charlotte, un'australiana che ha avuto due boyfriends italiani e il siciliano del riso buonissimo. Tra qualche fico colto dagli alberi e fango che sembra mangiarsi le scarpe, sotto una pioggerellina sottile come capelli, arriviamo a Sansol, dove prendiamo qualcosa da mangiare in un piccolo emporio dove un ragazzo di nemmeno sedici anni serve i pellegrini di passaggio. Luca, che ha naso maggiore per le comodità ci aveva preceduto fermandosi al bar successivo che era decisamente meglio.
Poco male, dopo una breve pausa ripartiamo incrociando altri pellegrini e vediamo Gilberto seduto sotto la pensilina per i bus, ma ci assicura che è solo per fare una pausa al coperto.Gli credo, da come l'ho conosciuto non sarebbe il tipo. Arriviamo a Torres del Rio, dove faccio spesa per il pranzo e visito la chiesa ottagonale del Santo Sepolcro di origine templare. La strada continua e inizia il lamento di Luca a proposito dei suoi tendini, a me non dà ancora molto fastidio, è piuttosto un lievissimo dolore in lontananza.
Cominciamo a sfilacciarci, rimanendo presto io,Luca e Federika, con gli altri che aumentano il passo.Bravi, mi raccomando i letti ragazzi.
Smette di piovere ma le nuvole rimangono fisse in cielo, noi tre continuiamo con il nostro passo che ci permette di far foto, fumare una sigaretta, dare una sorsata d'acqua e goderci questo paesaggio pieno di vigneti e saliscendi.
Dopo una di queste salite sullo sterrato, dietro la curva alla sua sommità, a fianco del sentiero e posti in una radura tra gli alberi, troviamo, per la prima volta da quando è iniziata quest'avventura, una serie impossibile da contare di sassi impilati uno sull'altro.
Piccole piramidi di sommaria fattura con, in cima o a fianco, oggetti di ogni risma lasciati dai passi precedenti.È automatico fermarsi appena si gira la curva e rimanere li per qualche istante a guardare questo posto.
Noi ci rimaniamo molto di più, decidiamo di contribuire alle costruzioni e io prendo tre sassi, uno più grande dell'altro. Alla base il maggiore, che rappresenta la mia età, poi quello mezzano che è Luca, infine l'età di Federika è il terzo. Li accompagniamo con un biglietto e la penna con cui l'abbiamo scritto. Ho anche un fugace pensiero di fare quella cosa promessa al telefono, durante la notte di Pamplona. Quando chiedo consiglio a Federika, mi risponde che se ho un minimo dubbio, allora il posto non è questo.
Ok, accetto, il problema è che di posti giusti ce ne sono molti in questo cammino.Ad ogni modo, quando stiamo terminando le nostre riflessioni e riprendiamo gli zaini, non arriva Jo?
Si, proprio l'irlandese, e questa volta gli dico che, secondo me, è ora di fare un pezzo con noi. Mi guarda per un attimo, poi mi dice ok.Il tempo di fare due presentazioni e il gruppo cambia nuovamente, riprendiamo a camminare con argomenti nuovi, un'altra voce di un coro che, a mio giudizio, non ha mai stonato, sebbene ognuno si sia preso le sue licenze in solitaria.
Affrontiamo altre salite e altre discese, faccio assaggiare a un restio Jo un grappolo d'uva.Non smetterà mai di dirmi grazie, pensava non fosse pronta.In quel pomeriggio sono invitato anche in Irlanda, mi dice che possiamo farcela a piedi tutta quanta.Cazzo, sono contento come un orso nella stagione dei salmoni.
Federika chiede a Jo di cantare qualche canzone irlandese, lui acconsente mentre scaliamo una collina, un'altra pausa per un pezzo di panino, quindi continuiamo verso Viana che raggiungiamo verso l'ora di pranzo.Sembra andare tutto per il meglio, a parte i piccoli acciacchi che abbiamo.Seduti a un bar consumiamo, tra qualche risata in mezzo a un paio di birre, un paio di panini a testa.
Poi accade che  presto il telefono a Luca, come altre volte, ma riceve una notizia che spezza in un attimo l'atmosfera, come se fosse un grissino.
Un suo amico se n'è andato per cirrosi, non ce la a trattenere le lacrime, Federika e Jo mi guardano come se sapessi cosa fare, pensando che io e Luca ci conosciamo da tempo.
Mentre si alza e inizia ad andare, suggerisco di lasciarlo da solo per un po'.Parlando con Jo, che è un altro a cui l'alcool non dispiace, dico che la forza di Luca dovrà essere nel prendere questa notizia come un avviso che il cammino vuole dargli. Stupido?Può darsi, ma cos'altro può fare?Non hai strumenti per portare indietro quello che è accaduto, ma quello che è accaduto può diventare uno strumento per portarti avanti.
Un po' di silenzio per una ventina di minuti, poi raggiungiamo il genovese durante una sosta.Ricominciamo dopo avergli dato, tutti, un abbraccio, c'è da raggiungere la città e, durante gli ultimi km rimarremo indietro io e Luca. Entrambi con un buon dolore, ma il suo era meglio, tanto che si è tolto le scarpe e io zoppico come il cuoco dell'Isola del Tesoro.
Alla fine di una lunga, molto lunga, zona industriale, Federika ci attende sulla sommità di una strada in salita che ci condurrà, dopo un altro paio di km all'albergue.Ci fermiamo però, per qualche minuto, dalla figlia di Felicia, scomparsa nel 2002 e che accoglieva i pellegrini con fichi, acqua fresca e amore.Maria, la figlia, continua a farlo apponendoci anche un suo timbro personale.
Quando arriviamo, gli altri sapevano già dell'accaduto, contribuendo così a risollevare Luca. Il posto scelto non è male, al centro della città che, per tre sere, ospiterà la festa del vino.
È anche il momento di ragionare su una pausa di un giorno, Luca ha male parecchio, io non sto proprio come Usain Bolt prima di un record mondiale, Federika finirà il suo cammino qui, deve tornare a Berlino, Jo non disdegna il fatto di fermarsi ma, João avrebbe intenzione di spostarsi al nord e fare l'omonimo cammino, dato che non ha tempo illimitato e presuppone che dal nord possa raggiungere Santiago in meno giorni.
Il problema è che lui e Luca sono partiti insieme, sono amici da sei anni e il genovese non ha limiti di tempo.E poi vorrebbe dire staccarsi da questo gruppo che ha un senso.
Alla fine, con un sorriso generale, si deciderà di rimanere un giorno in più, riposarsi e goderci la città.
Paul naturalmente rimane ma Francesca, la mattina seguente, andrà avanti con gli spagnoli.
Ok, docciati e sistemati si esce per svagarci e fare spesa.Nell'ordine Federika, io, João, Paul e Jo ci avventuriamo per una piazza gremita di gente.Gira qui gira là, incontriamo le due sorelle spagnole, Gracia e Alicia che, senza tanti giri di parole, si uniscono a noi.Ma non ci abbiamo mai parlato o camminato!
Siamo comunque contenti perché si alza ancora la media di bellezza.Non che questo porterà frutti eh, sia chiaro.
Iniziamo la serata seduti a uno dei tanti caffè/bar della piazza, ma di caffè non ne parliamo, sarà una serata di solo vino e risate nella stessa quantità.Francesca la intravediamo con Antonio in giro per la piazza, proviamo a chiamarla ma il vociare della folla inghiotte le nostre voci come la folla stessa fa con loro due.
La ritroveremo all'albergue, per la cena dove abbiamo portato anche Gracia e Alicia sebbene siano a dormire da un'altra parte.
Si fanno le dieci mentre concludo degnamente con una sbornia d'altri tempi e le due signore che gestiscono l'albergue presumo siano imparentate con esponenti delle SS, tanto sono fiscali e pronte a spegnere le luci.
Nella penombra della camerata si sentono i nostri sghignazzi quando io e Federika(entrambi oltre ogni cognizione) diciamo a Luca che il suo letto è stato fottuto.Lui, sguardo perso nell'oblio, continua a dire che non è vero, finché l'evidenza, mostrata dalle sue chiappe che si siedono sulla faccia di un tipo, non gli fa rivedere le sue opinioni.
Ok ok, calma che qua è un tetris.Tu lì, lui di là, no non là, più in là, ecco lì. In pratica direttive degne di un Eisenhower durante lo sbarco in Normandia.
Bene, ci sei Luca? Cosa ti manca per metterti a dormire?
Gli manca il sacco a pelo, quello dove il tipo sopra di me sta comodamente arrotolato.
Luca si guarda intorno con sguardo da fagiano, poi sfila via il prezioso involucro al tizio che sembra cadere dalle nuvole, un po' come un difensore di calcio atterra da dietro un avversario e allarga subito le braccia. Io non ho fatto niente, ho preso la palla.
Quando m'imbusto nel mio, sto ancora ridacchiando come un deficiente e Federika non mi aiuta affatto a smettere.
Chiudo gli occhi sul pensiero che domani riposeremo e faremo festa.
Ancora Fà? Ebbastasù.

No, ancora, e adesso lasciami dormire.



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venerdì 24 ottobre 2014

In principio furono i Celti.Da Estella a Los Arcos.21 settembre.

Lungo questo percorso, negli albergue dedicati ai pellegrini dove, ricordo, non si può dormire se non si ha la credencial, ci sono chiaramente delle regole.
Una di queste è che, ove possibile, bisogna lasciare le scarpe fuori dalle camerate, per ovvi motivi olfattivi.
Detto questo, la mattina si presenta umida della notte precedente e, quando usciamo dalla camerata per recuperare le scarpe, Luca si accorge che di acqua ne ha fatta tanta.
Le ha lasciate fuori dalla tettoia, io no e lo guardo come si guarda qualcuno che sta iniziando un business sui pesci rossi, tanto son zuppe.
Ok, qualcuno avrà un asciugacapelli? No Luca, non ci si porta un peso superfluo del genere nello zaino, mi sembra chiaro.
Bene, molto bene, è tardi come per un condannato a morte e gli altri sono già andati.Dopo varie ricerche l'hospitalera ne trova uno nei meandri nell'albergue e Luca inizia l'opera.Io e Francesca facciamo i tipici italiani, ovvero due guardano e uno lavora.
Finalmente partiamo, sono le nove passate e ci lasciamo Estella alle spalle dirigendoci verso il monastero di Irache.
Già, quello dove c'è la famosa fonte del vino, difatti Luca dimentica presto lo sguish sguish che proviene dalle sue scarpe umide e, con un sorriso degno dello squalo di Nemo, inizia a togliersi lo zaino 20 metri prima della fontana.
D'accordo, pausa gambe e inizio lavoro di fegato, il vino è buono e nella sosta parliamo anche con due simpatiche signore di non ricordo quale posto.
Luca riempie la sua bottiglietta di plastica un paio si volte, poi, dato l'andazzo, pensiamo sia meglio andare prima che si faccia notte.
Visita breve al museo del vino e gambe in spalla verso Ovest.
In questa tappa lasciamo la Navarra per entrare nella Roja, la regione spagnola dedicata proprio alla spremuta d'uva.Dopo qualche km arriviamo ad Azqueta dove ritroviamo Gilberto addossato, in stile geco al sole, alla parete di una piccola casa.Ci diamo giù di un buon panino e poi andiamo a cercare Pablito dei bordoni.Un tizio che abita in questa manciata di abitazioni e, dal 1986, lavora dei bastoni di nocciolo per donarli ai pellegrini che lo vanno a trovare.
Ma siamo fortunati come un ratto in un magazzino di grano,vuoto però.
Pablito è a messa, oggi è domenica e non ce ne siamo resi conto. Qua il tempo non ha nome, allora con mestizia continuiamo lasciando Gilberto in un'attesa che risulterà vana.
Dopo due km passiamo la Fuente del Moro, una cisterna del tredicesimo secolo dove i gradini scendono direttamente nell'acqua, stagnante aggiungo.
Quindi niente rinfrescata ai piedi malgrado un Sole a temperatura piastra per bistecche e continuare, dopo un paio di foto, verso l'ultimo paese prima di Los Arcos, Villamayor di Monjardin.Tra i due punti di vita ci saranno 10 km di solitudine e un'unica fonte d'acqua.
Un caffè e un gelato, un timbro sulla credencial e proseguiamo lungo il silenzio dei vigneti e delle nostre parole.
Di João e Paul nemmeno l'ombra, io rallento un po' fino a restare da solo, le colline sembrano fatte di cuoio per il colore intenso che hanno e il sudore mi fa desiderare una doccia fresca ad ogni passo.Sono km pieni di me stesso e campi coltivati, le ore se ne vanno con un senso, pur non facendo altro che camminare e bere.
A un certo punto, sulla mia destra, scavallando una linea calva di collina, appare un furgoncino, sempre tipo porchetta in Italia, ma solo con roba da bere e qualche frutta da mangiare.
E chi c'è seduto sotto un gazebo da quattro euro ma la cui ombra non ha prezzo?
Luca e Francesca, mi hanno atteso in compagnia di una birra (strano eh) e con altre quattro persone.
Due sono una coppia di spagnoli di una certa età, poi ci sono due ragazze, anche loro spagnole, che abbiamo già incrociato nei giorni scorsi, ma senza averci mai parlato. Non è che cambi la cosa, anche perché parlano solo spagnolo e io, oltre a "dimienticame" non ricordo molto.Sono due sorelle, molto carine tra l'altro, e una di loro nota il ciondolo che porto al collo, ovvero un pesos spagnolo dell'era pre-euro.
Comunque, dopo una sosta di venti minuti, riprendiamo il cammino dando uno sguardo alla guida. Forza, manca qualche km e con Luca azzardiamo un'orario d'arrivo mantenendo questo ritmo.Tanto, come sempre, i letti saranno prenotati da João e Paul.
Le nuvole,nella direzione dove stiamo andando, sembrano prepararsi per un'altra notte piovosa, ma questo non elimina il caldo durante il giorno.
Quando arriviamo a Los Arcos io sono leggermente più avanti e, Luca e Francesca mi trovano seduto nella piccola piazza principale con João, Paul e altre persone, intento a bere una birra.Al loro arrivo mi alzo e faccio un giro nella chiesa antistante, passando davanti a un tipo di cui invidio il piccolo portatile che sta usando per scrivere.Ci guardiamo un attimo e noto che non è vestito da pellegrino, presumo sarà un turista, prima di inoltrarmi nel luogo consacrato.
All'uscita trovo al tavolo anche George, si proprio lui, l'Alaskiano che si ferma come al solito in un hotel del posto, non senza aver bevuto con noi.
È tempo di raggiungere l'albergue e farsi una doccia, quindi zaino in mano e fare un cento metri prima di dare il documento d'identità e la credencial all'hospitalero che ci accoglie.
Riecco il gruppo con l'italiano idiota, il giapponese e Antonio lo spagnolo, da  un paio di giorni l'idiota cerca di prendere informazioni su Francesca, praticamente chiede a me e Luca se ha una tresca con uno di noi, ma non per lui, lo chiede per Antonio.
Rispondo a mezza bocca, mi si legge in faccia quando qualcuno non mi sta simpatico, ma comunque, alla fine, lo spagnolo e l'italiana cammineranno insieme visto che, mentre noi siamo fuori all'aperto a cantare con un tizio francese e la sua chitarra, lei si gode un bel massaggio ai piedi e gambe offerto dalla Spagna.
Non condivido, ma rispetto le scelte.
Ad ogni modo, sto tizio francese ha un tablet con le canzoni di tutto il mondo, anche in coreano, così, tanto per non sbagliare se incontra qualcuno di quelle parti che vuol cantare, lui suona e basta.
A me tocca una cosa romantica, l'inno del corpo sciolto, e riscuoto un successo internazionale con annesso filmato da parte proprio di due coreane che non capiscono una minchia di quel che dico.
Nel frattempo Federica e João si cimentano in cucina, intanto conosco un romano che non vedrò mai più e un siciliano che ci farà assaggiare un riso buonissimo.
Ma c'è un altro incontro stasera, me lo propone Luca, durante una pausa delle mie esibizioni, dicendomi che c'è un tizio che devo assolutamente conoscere.
Lo seguo, fino all'estremità di questa lunga e strampalata tavolinata di almeno otto lingue diverse, per stringere la mano di Arterio.
Si, lo so, non è un nome comune, difatti si chiama Marco, ma questo è il suo alter ego editoriale e digitale.
Quando lo guardo meglio nell'oscurità rischiarata da lampadine appese qua e là, riconosco il tizio che era seduto fuori la chiesa con il portatile a scrivere.
Mi ha notato anche lui e iniziamo a parlare di questa esperienza,
Non sta facendo il Cammino, l'ha già fatto tre volte e stasera è qui con la sua due cavalli charleston parcheggiata fuori, è venuto a salure gli hospitaleri di questo paese, conosciuti durante i suoi cammini.
La prima volta l'ha fatto in vespa, le altre due a piedi e, in una di quest' ultime ha avuto un infarto, un'angina per la precisione, cadendo a terra senza fiato, poi si è rialzato e l'ha terminato.
Lo guardo come se vedessi un sopravvissuto del D-Day, ha la mia età e mi racconta altro.
Mi dice che ci sono quattro categorie di persone che si muovono su questa via: i corrigrini, quelli che arrivano prima di mezzogiorno alla tappa, per i quali il tempo sembra correre come nella vita di tutti i giorni e qui, decisamente, non è così.
I turigrini, coloro i quali, per via di una moda crescente del Cammino, si spostano in autobus o altro quando non vogliono camminare oppure la tappa è troppo impegnativa, e arrivano a Santiago per avere la Compostela da mostrare come trofeo.
I pellegrini, e qui la definizione assume un connotato religioso di ovvia discendenza.
Poi c'è la quarta categoria, i camminanti, alla quale lui sente di far parte e, quando me ne parla, riconosco in me quel modo di vivere questa esperienza.
Parliamo anche della vita in generale, delle donne e degli amori e anche delle mie motivazioni.
Confida a me e Luca che due volte gli è capitato di fare l'amore lungo i suoi cammini, che erano angeli di una notte, ma era amore e non una scopata.
Gli rispondo che il problema degli angeli è che ti lasciano piume sulle spalle difficili da scrollare, la sua espressione conferma la mia tesi.
Infine, mi fa vedere il Cammino sotto un'altra ottica accennando al fatto che nasca prima di Santiago.
Porta la mia attenzione al concetto che si segua il sole durante il giorno, si va da est ad ovest e il punto d'arrivo non è la città di San Giacomo, ma l'Oceano.
Come facevano i celti millenni fa, venerando il culto più antico, quello del Sole appunto e arrivando all'acqua, fonte primordiale di vita.
Prosegue dicendomi che il simbolo originario non è la conchiglia o la freccia gialla, ma un uomo stilizzato, in piedi e con le braccia aperte tra cui un semicerchio va da una mano all'altra. Il cammino del Sole.
Conclude invitandomi a farne un pezzo al contrario, per sentire che l'energia accumulata in millenni nel verso giusto ti opporrà una sorta di resistenza.Quando, il giorno dopo ci proverò, o per suggestione o per verità, constaterò che aveva ragione lui.È l'ovest che ti richiama, è il mare ad attenderti.
Stanotte dormirà nella sua tenda accampato nel giardino, perché non sta camminando e i letti son fatti per chi fa i km a piedi.
Ci salutiamo abbracciandoci e gli dico che è stata una bella conoscenza, lui annuisce confermando.Inizia a piovere quando entro nel dormitorio e il plicchettio dell'acqua non mi dà tempo di fare altri pensieri se non quello di dormire.
Anche se, come accade molte volte, intorno a me ho il rumore di una squadra di boscaioli finlandesi.

PS: www.myspleen.tv
Questo è il sito di Arterio, se volete dateci uno sguardo.


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martedì 21 ottobre 2014

Le parole della sera.Da Puente la Reina a Estella.20 settembre.

Mi alzo con i tempi giusti, anche se durante la notte mi sono svegliato un paio di volte.Poca roba, sono quei risvegli che durano il tempo di un pensiero, e nello stesso tempo svaniscono.
Vedo che Federica ha quasi finito di prepararsi, io sono ancora a carissimo amico.Pochi minuti e lei scende per colazione, intanto Francesca scrolla Luca ancora mischiato nel sacco a pelo.
Piuttosto, dove minchia sono Paul e João?Mi viene comunicato da Fra, in stile portinaia, che ci attendono all'aperto.D'accordo, vediamo di sbrigarci, dando uno sguardo alla finestra noto che anche oggi sarà il Sole a seguirci, quindi ammucchiare sacco a pelo e roba varia nello zaino, darsi una sciacquata e vestirsi, controllare che non ci dimentichiamo nulla, Luca compreso, e andare per uno sciacquabudella in un bar.
Detto fatto e, prima di partire, classica foto di rito per noi cinque davanti a un arco medievale.
Lasciamo il paese della peperonata spagnola traversando il Ponte della Regina, che dà il nome all'abitato, per oltrepassare l'asfalto e inoltrarci nella terra battuta.La giornata mantiene quello che prometteva la mattina, Sole Sole e Sole.Ci sono un paio di salite che ci portano oltre l'autostrada, non spesso, ma nemmeno tanto raramente, i piedi passano dove girano le gomme delle auto e, tra chi guida e chi cammina, quando ci guardiamo, non ho dubbi su chi sia più felice.Parlo di calcio con un inglese, ne parlo come si dovrebbe fare ogni giorno, nella maniera più serena e sorridente possibile, mentre il paesaggio inizia a diventare una sequenza di vigneti.
Ottima uva, davvero ottima uva quella che, a tratti, taglio dai filari per dividerla con chi cammino, anche se i proprietari non saranno contenti, ma credo lo mettano in conto per la vendemmia.
Dopo una salita ci fermiamo in un paese arroccato su una collina come un nido sopra un ramo.Scegliamo un alimentari con tavoli fuori, a noi ne tocca uno che pende come la torre di Pisa, ma la fame non fa cadere nulla mentre il mio coltellino svizzero passa di mano in mano.Grande Mike, ci servirà ancora molte volte e ogni volta è come se camminasse con noi.
Vedo Jo appoggiato alla spalla di un arco a pochi metri, gli offro mezzo panino con salame e formaggio, mi sorride dicendo che è a posto, allora torno al tavolo e, dopo i due morsi necessari, inizio a rollare una sigaretta. Ci sono Federica, Luca, João, Paul e Francesca che iniziano a sistemarsi gli zaini, io me la prendo più comoda partendo una decina di minuti dopo.Fuori da questo paese la pista diventa una strada romana che non è proprio comoda come la fecero all'epoca, tra gradoni erosi dal tempo e lastre di pietra dove la terra si cerca posto, continuo a camminare da solo, gli altri sono avanti e, a tratti, aiutato dai dislivelli e dalle curve riesco a intuire le loro figure.
C'è una sorta di tacito patto, che lascia libero ognuno di noi pur avendo legato in maniera forte, e sono solo cinque giorni che ci conosciamo. Ancora vigneti sfilano via ai miei lati, mentre altrettanti pensieri sfilano nella mia testa.Si cammina con i piedi, ma si viaggia con la mente.
Passa un'oretta prima di poter vedere Luca qualche centinaio di metri avanti a me, allungo un po' sempre fischiettando, questione di un minuto e l'aria di Malafemmena, nel silenzio stropicciato dai passi, lo fa voltare e attendermi.
Mi dice che ha dovuto rallentare, ha dolore ai piedi e, per empatia, non vuoi far risvegliare anche il mio tendine?
Fa caldo e io, stranamente, ho finito l'acqua nella bottiglia che mi porto dietro dalla partenza in Francia, un litro e mezzo andato e siamo praticamente a metà tappa.Ci saranno altre fontane, certo, ma intanto siamo senza ed affrontiamo la questione all'ombra di un viadotto che ci fa passare sotto l'autostrada. L'affrontiamo con la massima intelligenza, degna di una gallina a cui hanno fatto una lobotomia, ovvero fumando una sigaretta per accelerare la disidratazione.
Ma non è la nostra ora evidentemente, perché il silenzio si trasforma in un vociare chiassoso.Sono quarantotto spagnoli di ogni età, tutti di un paese con settecento anime totali e, ogni anno, si fanno una quarantina di km, modello scampagnata da tre giorni.
Salutiamo e iniziamo a parlare con un tizio sopra la sessantina e due baffi bianchi di vita.Si chiama Féliz e ha da bere.
Già, ha da bere.
Vino chiaramente, e gli altri quarantasette non hanno mai sentito la parola acqua.
Beh, come si dice, di necessità virtù, e allora via con le fiasche in pelle tipiche, tra bianco, rosso e Luca che pare Verdone, tirando sempre in ballo sua nonna, di origine spagnola però.
Morale della favola, usciamo dal viadotto intonando "ma che ce frega, ma che c'emporta", quarantotto spagnoli con resto di due italiani.
Quando, dopo un paio di chilometri, incrociamo un altro paese, Luca decide di fermarsi sulla riva di un fiumiciattolo a dar sollievo a piedi e tendini.Io continuo e, oltre un piccolo ponte, raggiungo gli altri in una piazzetta dove una fontana regala ottima acqua.Mi rinfresco e passo dieci minuti in compagnia di Federica su una panchina, mentre João, Francesca e Paul ripartono verso Ovest.
La tedesca mi dice che, dalla sera prima, le ho suscitato una positiva impressione.Ma va?La cosa si fa interessante però, anche se il mio lato più materiale si fa dei kolossal stile Ben Hur, l'altra parte, quella che mi ha richiamato qui, si gode la cosa senza secondi fini.Ascolto quest'ultima, Federica è anche simpatica oltre che carina, e non ostenta affatto la sua bellezza, ma affrontiamo discorsi che hanno un peso e mi daranno una bella immagine di lei.
Piccolo inciso.
Che gran culo però.
Fine dell'inciso.
Insomma parla tu che parlo io, non raggiungiamo George from Alaska? Ma dove minchia è passato mi chiedo, l'avevo lasciato a Pamplona e ora me lo ritrovo qui.Faccio le presentazioni del caso, poi, in un giardino nel paesino di Villatuerta, non vedo accampati i quarantotto spagnoli?
E che fai, non rispondi all'invito di Féliz che seduto su una panca e davanti a un tavolo pieno di cibarie ti chiama a gran voce?
No Fa, non rispondere, dì che devi continuare.
Ok, due minuti dopo, sono senza zaino, stravaccato a terra, con panino e carne in una mano e nell'altra peperoni.
Qualcuno mi salvi, penso dopo dieci minuti ma, quando mi giro verso la direzione da cui son venuto, vedo Luca arrivare.
Ho detto qualcuno mi salvi, non qualcuno ci salvi.
Passeremo altra mezz'ora a mangiare e bere.Vino ovviamente.
Credo che mia madre abbia un fratello spagnolo e non lo sappia, visto che prima di andare Féliz vuole farmi,al sacco, pranzo e cena per i prossimi due giorni.Stavolta devo rifiutare garbamente, poi un abbraccio sincero prima di lasciarli,infine ci muoviamo anche io e Luca.
Cammina cammina e ritrovo George a sostare un po', Federica è andata avanti e ora siamo un Alaskiano ( si dirà così?) e due italiani.
Piccolo stop per riempire ancora la bottiglia ad una fontana la cui iscrizione ci fa sapere che, nella prossima tappa, da un'altra fontana sgorgherà vino.Gratis, che è l'altra parola, insieme a vino, a render felice Luca come un'ape il primo giorno di primavera.
Prima di arrivare ad Estella, c'è una piccola deviazione che porta all'ermita di san Miguel. Loro due non vengono, io invece devio per un centinaio di metri in mezzo a una buona manciata d'ulivi.
Trovo l'ingresso nel lato sud ed entro.
Pace, non trovo altre parole per la sensazione che ti gira intorno prima di scendere dentro.
Un luogo completamente vuoto tranne un altare in marmo e un crocifisso in legno. Nulla, niente panche, nessun altro ambiente che non sia questo rettangolo di muri coperto da un soffitto con travi a vista e centinaia di sassi e pensieri lasciati da altri pellegrini sopra l'altare.
Ha più di mille anni questo monastero, dove passo i seguenti venti minuti in un silenzio surreale e in un fresco riposante che mantiene fuori il caldo del Sole.
Eviterei di respirare, se potessi, per non incrinare questo vuoto di suoni dove sono immerso.
Quando riprendo la via, scorgo a un centinaio di metri indietro la carovana di spagnoli.
Aumenta il passo Fà, che sennò ti tocca il cenone di capodanno stasera.
Ci siamo, entro in Estella dopo aver passato un altro ponte, lascio alla mia destra una bella chiesa e arrivo, guidato da una gentile signora, all'albergue.
Nell'ordine: prendere possesso del letto, fare doccia e lavare le due cose per domani, cazzeggiare sul letto mentre Francesca massaggia i piedi di Luca e Federica legge un po'(anche qui sono cubi da quattro posti con divisorio dagli altri), fare un video e proporre di uscire.
Dovremo pur fare la spesa no?
Prima ci dirigiamo verso un bar per bere una birra, poi incontriamo di nuovo George, lo invitiamo a cena anche se lui sta in albergo, quindi al supermercato io e João abbiamo una divergenza d'opinioni su cosa preparare che finirà con il lasciare a lui la scelta della cena, stasera si mangia portoghese.
In tutto questo incontriamo un altro gruppo misto che dorme dove siamo noi.
Prevalenza spagnoli, tra cui Antonio da Barcellona, un giapponese che è in effetti un manga e c'è anche un italiano che, a dirla tutta, mi sta un po' sui coglioni data la sua evidente stupidità.
Oh, non è che perché si fanno gli stessi km uno debba essere per forza simpatico a tutti.
Si torna nella struttura poco prima che inizi a piovigginare, peccato per il fatto che non si mangi all'esterno ma abbiamo tempo per un'aperitivo all'aria aperta del giardino.
Lascio gli altri per una ventina di minuti dove ne approfitto per stare un po' sul letto e svegliare Francesca che, sul letto, ci è svenuta da prima che uscissimo.
Quando viene Luca, a chiamarci per la cena, ha gli occhi lucidi e mi spiega quello che non avevo capito di George la prima volta che l'ho incontrato nella seconda tappa.
Ha perso il figlio in un incidente e la figlia ha affrontato un tumore un paio d'anni fa.
Uscendo in giardino lo trovo seduto e con lo sguardo provato, lo abbraccio per un istante a questo Alaskiano che è tre volte me, poi trasformiamo le lacrime in sorrisi, brindando al Cammino e a quello che ci sta facendo vivere.
Oh, João, ma sta cena è pronta si o no?
Mangiamo bene, abbondante e invecchiando, in quell'ora a tavola, nella maniera migliore per farlo.Parlando, ridendo, bevendo e non pensando al tempo che passa.
Ecco, siamo liberi dal tempo e dall'ignoto che c'è oltre ogni istante, viviamo il momento, tutto qui, che non è affatto poco.
A fine cena George ci saluta, per tornare in albergo, dicendo che non saprà dove arriverà domani, poi passiamo il tempo facendo due chiacchiere insieme al gruppo dell'italiano simpatico come un gatto appeso alle palle mentre Federica scambia messaggi con il suo lui in Germania.
Già, ha un lui, maremma cane, però lo sapevo, me me ha parlato durante le ore di cammino insieme, e comunque, alla fine del vino e delle parole in comune, rimaniamo fuori io e João seduti in giardino.
Ha appena finito di piovere, l'aria è fresca e, in lontananza, qualche auto provoca il brusio delle ruote sull'asfalto bagnato. Mi faccio una sigaretta e parlo con il portoghese.
Quando aveva quattordici anni ha perso la madre in un incidente d'auto dove lui ha avuto la frattura delle gambe.Si conosce con Luca da circa sei anni, per il genovese è il suo miglior amico.Vive ad Amsterdam con la sua ragazza, dove lavora nel campo delle biciclette.Suona la chitarra in un gruppo suo dove è anche cantante, autore e frontman, ci delizierà ogni volta che troveremo uno strumento.Io gli racconto di me, delle mie motivazioni e di quello che sto avendo da questa esperienza.Mi accorgo che le parole non bastano per certe cose e facciamo tardi nel nostro parlare misto tra italiano inglese e portoghese.
Alla fine mi fa uno dei complimenti migliori che una persona può avere, mi dice che se gli chiedessero come vorrebbe essere, passati i 40, risponderebbe che sarebbe contento di essere una persona come me.
E che rispondi a una cosa cosi? Niente, anche perché io vorrei cambiare qualcosa di me, ma evidentemente non è così importante agli occhi degli altri.Questo mondo ci rende spesso paranoici e pensiamo di avere sempre qualcosa in meno degli altri, invece siamo come siamo, l'unico punto è accettare, come ho già scritto.
Non c'è nulla da fare, questo Cammino ha qualcosa che non sai spiegare eppure la percepisci, perché ti senti pieno e la stanchezza, immancabile alla sera, è solo un dettaglio di poco conto rispetto a quello che ottieni senza chiedere nulla.Mai.
Ricomincia a piovere quando stiamo per andare a dormire, nel silenzio qualcuno russa e qualcun'altro mugugna nel sonno.Io, dopo aver dato una buona craniata al letto di Francesca che è sopra il mio, riesco ad infilarmi nel sacco a pelo e, prima di dormire, riesco a sentire João che ridacchia per il bonk inequivocabile. Stavolta tocca a lui.

On air


sabato 18 ottobre 2014

Tanto per dare un viso alle orme.Interludio video.

Non ho scritto ma ho fatto altro.Certo, tra lo scrivere e il montaggio video c'è da scegliere il male minore, ma vabbè si apprezza la buona volontà e sopratutto i favolosi mezzi tecnici di "Telepoiananetwork"

Enjoy it!!!


martedì 14 ottobre 2014

A incrociare il cammino del vento con quello delle stelle. Da Pamplona a Puente la Reina. 19 settembre.

Quando, la mattina, usciamo dall'albergue per far colazione, troviamo Mike e Sua fuori ad attenderci.Vogliono salutarci, nel probabile caso che il cammino non ci faccia più incontrare.
Al bar prendo il primo caffè degno di questo nome, il motivo è presto svelato, dietro il bancone c'è un italiano.Alla mia espressione di stupore rivolta a Luca il tipo mi fa: beh, da dire qualcosa?
Sorrido e lo ringrazio dicendogli che mi sembrava strano fosse fatto da uno spagnolo.Il tipo ci augura Buen Camino e appone il suo timbro personale sulla credencial, poi usciamo fuori, è il momento dei saluti.
Abbracci ed incoraggiamenti vari, prima di incamminarci seguendo le frecce gialle.Quando mi volto, Mike, da lontano, si batte la mano sul petto e alza il pollice.Bravo Mike, niente lacrime, solo sorrisi e voglia di andare, suerte e Buen Camino anche a te amico mio.
Usciamo dalla città in una mattinata bellissima, dove il sole sorge luminoso tra gli alberi dei parchi e l'aria fresca mi fa venir voglia di fischiettare.
In breve, tendiamo a disunire questo piccolo gruppetto dove ci sono anche Thelma e Louise.Alla prima pausa classico stop all'alimentari di turno, poi a mangiar qualcosa sulle panchine di un parco.Sono con João, Paul, Luca e Francesca.
Finito il break, zaino in spalla e far scemare l'asfalto in terra.Non sto avendo grossi problemi fisici ma il tendine inizia presto a darmi quel fastidio al limitare di un dolore ancora sopportabile.Una dolce campagna precede l'Alto del Perdon. È un tratto di 13 km circa, dove incontriamo alberi di noci lungo la strada, panchine solitarie e silenziose, altri pellegrini, tra cui Gilberto, a riposare un po'.
A Zariquiegui ci fermiamo per una sosta più prolungata, visito una minuscola chiesa, appongo il suo timbro, entro in un bar e mangio qualcosa insieme a Luca e Francesca.João e Paul sono fuori a far due chiacchiere, nel frattempo arrivano anche Thelma e Louise, loro si fermano qui per oggi.Non avrò più modo di rivederle, lo so, di conseguenza ci salutiamo scambiandoci contatti vari. Quando riprendiamo il percorso, l'Alto del Perdon dista poco più di due km.
Sono da salire, nulla in confronto ai Pirenei, ma sempre salita bisogna fare.Questo non impedisce a me e João di cazzeggiare mentre faccio un video.Insomma, alla fine eccoci su questo famoso Alto, dove una serie di profili in metallo rappresentano una colonna di pellegrini in cammino.Su uno di questi, quello a cavallo, c'è una scritta: Donde se cruza el camino del viento con el de las estrellas.
Rimaniamo lì, sotto un vento forte di una giornata appena imbiancata dalle nuvole e un sole che tende a farti sudare, per il tempo che serve ad ognuno di noi a perdersi nei pensieri. Ad est c'è una Pamplona lontana e, oltre, i profili disegnati dei Pirenei.Ad ovest quello che deve ancora venire.In mezzo ci siamo noi, questo quintetto di gambe e occhi che han voglia di continuare. Infatti João Paul e Luca iniziano la discesa, mancano ancora una decina di km a Puente la Reina, io invece, dopo aver fatto una cosa richiesta da un amico, m'incammino più lentamente con Francesca.
Mentre eravamo seduti a pensare ai fatti nostri, lei ha avuto una crisi di pianto.Il vento l'aiutava a non farsi sentire, ma insomma,quello che vedevo oltre i suoi occhiali erano lacrime.
Le chiedo se vuole parlare,mi dice che non è niente, ma non è così. Chi viene da queste parti lo fa per un motivo, c'è chi lo sa, chi invece non lo sa ancora, chi lo saprà durante il cammino, chi dopo e chi non lo saprà mai.Mi correggo, il verbo giusto non è sapere ma piuttosto esserne consapevoli, perché a saperlo, nel profondo, lo sappiamo tutti.Ancora meglio, si tratta di accettare e accettarsi.
Ad ogni modo iniziamo la discesa dall'altra parte che ci condurrà, dopo altri tre paesini, alla meta di questa giornata.
Nel frattempo parliamo, mi dice che ha preso, tempo indietro, una decisione che presumo sia la più dolorosa per una donna.
Mi racconta anche della sua infanzia, di come il padre, all'epoca diciottenne, abbia deciso che era troppo presto per una figlia, e se ne sia andato lasciando una quattordicenne che sarebbe diventata madre.
Mi parla ancora della sua decisione, di averlo fatto perché sa cosa vuol dire crescere senza un padre, eppure non si perdona.
Abbiamo appena passato l'Alto del Perdon le dico, qualcosa vorrà dire, continuo dicendole che tutti facciamo errori e la prima persona che deve perdonarceli siamo noi stessi, altrimenti sarà difficile possano farlo gli altri.Lo so, suona molto retorico, ma c'è forse un'altra via da seguire?Se c'è un motivo per il quale non possiamo andare indietro nel tempo forse è proprio per quel motivo che dobbiamo andare avanti cercando di impiegare meglio il tempo che viviamo.
Assumersi oggettivamente una colpa non vuol dire riparare quel che si è fatto ma semplicemente proporsi per migliorare.
Mentre parlo lei smette di piangere, in qualche modo mi sento meglio anche io.Ha 23 anni Francesca, sarebbe uno spreco vivere una vita nel rimorso, le strizzo l'occhio iniziando a dire due minchiate, non posso fare di più, la soluzione è dentro di lei, attaccata al problema.Non affronteremo più questo argomento e, ancora oggi, le auguro davvero che guardi sempre avanti.Tanto il passato non si cambia ma può aiutarci a cambiare noi.
Quando si parla il tempo scorre, e com'è come non è, arriviamo a Uterga, dove Luca è seduto in terra addossato a una casa all'ombra.Qualche centinaio di metri prima, io e Francesca ci siam fermati ad ascoltare un tizio che diceva un Salve Regina in latino.Oh, è proprio una figata sentire le cose in latino, a prescindere dall'argomento, anche perché riesco a captare qualcosa in merito ai miei anni liceali.
Insomma, passata la fase culturale, attraversiamo questo paesino e, dopo un centinaio di metri iniziamo a capire che siamo capitati nel periodo sbagliato.
Il temuto stabbio-time, ovvero la concimazione dei campi.E qui è tutto un campo.Praticamente è come avere le chiappe di una vacca attaccate al naso, nel frattempo respirare forte.
Ora io mi chiedo, ma la mattina quando aprono le finestre per cambiare aria, o l'estate quando fa caldo, sono sicuri di quello che fanno? Olfatto zero da queste parti eh.
Con questo ancestrale dubbio entriamo in un bar per una birra, chiaramente in un atmosfera di merda.
Alleniamo le nostre capacità d'apnea per i seguenti 3-4 km, l'ho detto che qui è tutto un campo. Luca a un certo punto brevetta l'uovo di colombo.Si piazza una molletta da bucato sul naso.Pare che funzioni, per effetti collaterali chiedere alle papille gustative, tanto intenso è l'aroma di sterco.
Muy Bien, dove siamo ora?
Ah ok, il posto si chiama Obanas, un altro paese, ma qui davvero la vita sembra passarci per caso, o sarà l'orario che fa incontrare pochissime persone per la strada.
Fatto sta che abbiamo un altro timbro, in un apparentemente incustodito albergue.
Dai che manca qualche km, intanto João e Paul hanno già preso i letti per noi.Gran comodità questa, dato che può capitare di trovare tutto occupato se la si prende comoda.Ma dovremo imparare meglio questa lezione qualche tappa più avanti.
Arriviamo a Puente la Reina passando per coltivazioni di peperoni dannatemente invitanti, anche la guida dice che se è stagione bisogna approfittarne.
Luca dice che l'albergue non gli dà la stessa energia degli altri, sembra un po' spento.
E vabbè, vorrà dire che ci dovremo impegnare.
Ok, doccia, caffè e sigaretta et voilà, pronti per andare a fare la spesa per la cena.
Andiamo nel mercato dove i coltivatori hanno solo peperoni da vendere, anche arrosto fatti al momento, ma bisogna prenderne 5 kg minimo. Bocciati, supermercato aiutaci tu.Io sono uscito anche per una saponetta, dato che la memoria-vanga ha provveduto a farmi lasciare l'altra a Zubiri.Però poi, gira di qua gira di là, parla con un altro gruppo composto da spagnoli, un italiano e un giapponese, insomma mi dimentico anche stavolta di comprarla.Vabbè il bagnoschiuma della Fra sembra infinito.
Gli altri tornano a cucinare e io invece vado a cercare l'irlandese, voglio invitarlo a cena da noi.Lo trovo all'altro albergue, quello all'entrata del paese, mi dice che è con altri a cena, se ci becchiamo dopo ci prenderemo una birra.
Ritorno all'ovile appena in tempo per essere chiamato da Luca con disperazione, mi vuole far condividere il dolore provato nel vedere due greci alle prese con la pasta.
Quando entro in cucina il cuore mi si stringe, i tizi hanno messo pentola sul fuoco senza accenderlo, poi acqua fredda all'interno, a seguire gli spaghetti e, in ultimo, acceso il fuoco.
Cioè, volete fare una nuova formula per l'Attack? Quando io e Luca proviamo a dare un minimo consiglio, i due ci rispondono a malo modo, a loro piace così.
Molto bene, molto molto bene.
"Ma famme capì, ma che te vengo a insegnà come se balla er sirtaki?
Su questa vaga presa per il culo giro le spalle e mi verso un bicchiere di vino, comunque sta pappa per intonacare se la mangiano loro, noi faremo una pasta con verdure ottima.
Nella sala dove si mangia, persone sono sedute a parlare e conoscersi, quando ci passo, per fare una telefonata fuori, noto due gran bei occhi azzurri.Chiedo lumi a Luca e lui mi dice che stasera mangia con noi, è una new entry partita da Pamplona.
Si chiama Federika ed è di Berlino, lo so quando il mio essere italiano le porta un bicchiere di vino e ci scambio due parole.Mi pare chiaro che a tavola sarò seduto vicino a lei che, oltretutto, ha un letto nella nostra camerata da otto posti.
Finita la cena ci facciamo un giro veloce per il paese, dato che l'orario di rientro è come sempre non più tardi delle 22.
A letto, faccio un rapido resoconto del gruppo che si sta formando e penso che durerà almeno finché io avrò tempo per camminare.Illuso, in realtà su questo percorso siamo come acqua e, come acqua, cambiamo forma continuamente.C'è una buona luna, fuori in cielo, a risaltare i profili scuri delle case e mentre la guardo sento il respiro regolare degli altri. In breve mi adeguo al loro ritmo, chiudendo gli occhi.


On air


venerdì 10 ottobre 2014

Nella città di San Firmin, ma senza i tori.Da Zubiri a Pamplona.18 settembre

Le mie palpebre si alzano alternate. Prima la sinistra e poi la destra.
I coreani della pasta cotta con le onde mentali sono già fantasmi sui letti vuoti.Sti tizi sono peggio dei galli, oppure il jet-lag fa ancora effetto. Vabbè, dai Fa, alzati e cammina, cioè, aspetta, voglio dire, alzati e incamminati verso un bagno, ma prima vestiti che l'aria è fresca e il bagno è fuori la struttura.
Tutto questo a me stesso nella mente.La prima risposta è Mh.
La seconda è voglio un caffè.
Mi reco all'esterno con una faccia ancora mischiata dal sonno.Non durerà molto, quest'esperienza ti può rendere stanco, ma mai troppo sonnolento.
Gli altri, eccetto Luca che ancora sta come un'involtino in una panatura,sono seduti a dei tavoli esterni sistemati sul piazzale ghiaioso davanti all'albergue. Qualcuno sta già facendo colazione e io, dopo una buona minzione li raggiungo.
Nel cielo c'è ancora una scrematura della notte passata, si capisce che sarà una bella giornata.Mike, che ha dormito in una vecchia palestra a fianco all'albergue per esaurimento posti, è già in piedi e pronto.
Ha smontato la tenda e mi dice che probabilmente si fermerà prima di Pamplona, causa brutte vesciche sorte già nel primo giorno.
Gli voglio bene a 'sto ragazzo, percepisco che c'è del buono in lui.Ha la timidezza di chi non si accetta e lo stupore quando qualcuno di sconosciuto si preoccupa per lui.In tanti lo faranno durante il suo cammino, è difficile non provare amicizia per questo tipo biondo.
Con questi pensieri faccio colazione e, quando cerco qualcosa per tagliare una pesca, lui mi porge il suo coltellino.Svizzero, naturalmente.
Sorrido e dico che dovrò comprarne uno, è un accessorio che non ho portato.
Mi dice di tenerlo, che me lo regala, lui ne ha un altro.
È uno dei regali più sentiti che abbia ricevuto e, nei giorni a venire,   mi sarà molto utile.
Quando si allontana per un attimo, scrivo un biglietto e lo metto in una tasca del suo marsupio.
Go on Mike, always go on!
Spero che potrà aiutarlo in qualche modo.
Bene, siamo pronti ai passi che ci attendono oggi, Luca decide che, nei primi due giorni, Paul e João hanno tenuto un ritmo non adatto a lui.
Partiremo insieme, come accadrà quasi sempre, poi ci sfilacceremo lungo il tragitto. Una sorta di elastico temporale e di passi ma, ogni sera, saremo tutti nello stesso posto, a prescindere.
Avanti Paul e João, poco dietro Luca, Francesca e me.
Qualche km insieme, con la partecipazione anche di Thelma e Louise. Si chiacchiera, si indica qualcosa da guardare agli altri, un dito fa altrettanto con i miei occhi.Fischietto e canticchio, tunnel di fronde ci accolgono come gole verdi ed innocue.Primo paese, niente bar, andiamo avanti.
Break sul bordo di un bosco, biscotti, acqua e taaac...sigaretta.
Portogallo e Catalunya prendono il via, il resto di un'Italia rappresentata da tre regioni differenti se la prende comoda.
Con Luca e Francesca mi fermo ancora, lungo la riva di un fiume, a metter piedi nell'acqua ghiacciata o nel bar successivo, dove incontreremo Olga, una spagnola sulla mezza età che fuma di continuo.
Tania e Ivette, le due spagnole dalle risate giovani e musicali, si fermano allo stesso bar.Mi dicono che Pamplona sarà l'ultima notte del loro cammino.I miei meccanismi d'abbordaggio necessitano più di una notte, anzi a dire il vero dovrei camminarci e parlare, ma con un teatrale dispiacere auguro loro Buen Camino, guardando Tania con fugace rammarico. Beh non sono venuto qui per rimorchiare però, come si suol dire, non capita...ma se capita....

No, non capiterà mai lungo questi giorni, e va bene così, senza distrazioni ed eventuali pesantezze.
Ancora gambe in spalla, Pamplona mica è dietro l'angolo eh.
Quindi tra avvistamenti d'avvoltoi, scarponi e bastone appesi a un filo trenta metri sopra un'autostrada, un timbro sulla credencial apposto in una chiesetta dopo un ponte romano e minchiate varie ed eventuali, si arriva a Burlada, appiccicata alla città di San Firmin come un'ombra ai piedi di un uomo.
Toh, ecco Gilberto stravaccato su una panchina.Ride di gusto, a modo suo, all'udire un paio di mie esclamazioni dialettali.
Accidenti, mi passa davanti Carl, un canadese di 70 anni, incontrato più volte in questi primi tre giorni, che cammina con suo figlio di 35.Quando lo chiamo mi abbraccia subito dicendo the happiest smile on the way!
Ci sediamo per qualche minuto, il figlio va avanti, lui invece m'invita in Canada, lasciandomi tutto segnato sulla mia agenda. Gli avevo chiesto solo la mail, e ora mi trovo la possibilità di fare canoing nella terra dei mille laghi.E dovrò andarci se non voglio farlo arrabbiare. Questo è il Cammino.
Gli altri due hanno già preso i letti per noi, quindi ci muoviamo raggiungendo la città in mezz'ora.Porta medievale e grandi mura ad attenderci, l'albergue è bello, ha tutto ed è pulito.
Ok, mi cimento nella prima operazione contro una vescica sorta tra il mio alluce sinistro e il secondo dito.Che punto ad minchiam si è scelta!
Francesca mi assiste nell'intervento, sterilizzare ago, mettere filo nella cruna, tampone per il sudore, controllare TAC e pulsazioni paziente, bucare l'ampolla, tagliare filo e lasciarlo come drenaggio, garza e cerottone biblico a coprire il tutto.Non avrò più vesciche per il resto del mio cammino.
A questo punto si esce, cerchiamo un posto carino dove mangiare un pinchos e una birra trovandolo in una delle tante vie piene di gente e vita.
Cazzo quanto è carina la cameriera, voglio dire, è proprio bella con quel sorriso e quei capelli neri e corti da lasciare il collo esposto a farti desiderare, per una volta, di essere Dracula.
Dai Fà, lascia stare, che tra te e Luca un amore non si può dividere.
Altro giro, altra birra e poi fuori, nello sciamare di persone.
Mi sento chiamare, mi volto e vedo George, è stato in ospedale, pasticche per il ginocchio e dormirà in hotel.Non faccio in tempo a scambiare altre parole che Thelma e Louise mi avvisano che qualcuno è arrivato al nostro albergue.Sorrido felice, è Mike, piano ma ce l'ha fatta.
Andiamo là alla massima velocità che il mio tendine permette.Ovvero quella di una lumaca zoppa.
È seduto fuori all'albergue, lo chiamo appena entro nella via, si alza piano, le sue vesciche si sono riprodotte. Ogni volta è come se lo vedessi arrivare a fatica lassù, sui Pirenei. Cenerà con noi, nell'attrezzata cucina del posto, gli dico che ho visto anche Gilberto, ma dorme da un'altra parte.Francesca fa una lavatrice per tutti, io e Luca gli diamo giù di pasta e insalata per contorno.Insieme a noi ci sono anche Andrea e Romina, il primo di Torino ed ex attore di telenovelas, la seconda fa il tecnico di laboratorio ed è appassionata fotografa, la ricordo bene sui Pirenei.
Beh, lavata al volo di piatti e poi non vuoi uscire un'oretta per goderti la movida pamplonese?
Il tempo di bere una birra seduti in mezzo a una piazza piena di gente, due risate con Mike e gli altri, poi rientro prima delle 22 all'albergue.
Tutti giù in lavanderia dove troviamo altre persone, tra cui Tania ed Ivette.Chiacchiere e sigarette vanno via come questo tempo che sto passando, senza accorgermene.C'è anche Sua, la coreana.Lei e Mike si fermeranno un giorno  in più, noi no, il giorno dopo ci attende Puente la Reina.
Accade una cosa in tutto questo tempo, una cosa che sentivo di dover fare.Mando un messaggio a una persona, dopo sette anni che non lo facevo.Dico che ho fatto pace con molte cose, tra cui proprio lei.La risposta che mi arriva è piena di gioia, e la notizia seguente mi conferma che nel cammino quello che avviene, non avviene per caso.
Ha un problema serio da risolvere, di salute, e scrivo che quando vorrà, nella settimana seguente, mi farà sapere.Ovunque sarò, mi fermerò e lascerò un sasso e un pensiero, affinché tutto vada bene.Sono più leggero adesso, indiscutibilmente.
Insomma un paio di foto con Tania, ancora parole che si mischiano nell'aria e poi, alla spicciolata, gli altri vanno a dormire.
Ma questa notte non ha ancora finito perché in controcorrente rispetto agli altri arriva un tizio.
Umhh, io lo conosco, penso, e subito rammento del primo giorno, dei primi km, di uno dei primi video.
Si mette gambe fuori la finestra e culo a sedere sulla lavatrice, esito un attimo, poi la mia curiosità prende il sopravvento.
Hi, don't sleep?
No, mi fa lui sempre in inglese, non riesco a dormire.
Ha gli occhi gonfi, qualche tatuaggio sparso, 54 anni e una storia da raccontare.
Presumo che tutti conoscano una delle canzoni più famose degli U2, bene lui viene da Derry, dove accadde quel che accade in quella triste domenica.
Aveva 11 anni all' epoca e quelli seguenti non furono più facili.
Mi racconta molto Jo (userò questo nome per lui), e piange mentre lo fa.Fumiamo insieme, al cielo aperto di una finestra sopra una Spagna silenziosa.Mi dirà più volte God bless you, e si scuserà per le sue lacrime.Io invece lo ringrazierò per aver parlato con me.Ci salutiamo con la promessa che, nei giorni a venire, berremo una birra insieme quando ci troveremo.
Al mettere queste quattro ossa sul letto, mi trovo a canticchiare nella mente quella famosa canzone, prima di svenire in un sonno senza sogni.
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domenica 5 ottobre 2014

Oh Navarra, (poco)dolce Navarra. Da Roncisvalle a Zubiri.17 settembre.

E op, bisogna alzarsi.
Il silenzio, della mattina presto e ancora buia, viene interrotto dai passi e dai preparativi di tutti per affrontare questa nuova tappa.
Si va da Roncisvalle a Zubiri, ci saranno ancora boschi in questo lento digradare della Navarra e, dopo aver fatto lo zaino, ci si reca a far colazione dove la sera prima si è cenato.
Controllo tutto, sono sempre in attesa che la mia MV faccia scherzi di cui non riderei.Un caffè che è la solita sciacquatura per piatti e un cornetto.Altra sigaretta per aprire i polmoni, ma non è colpa mia, è Luca che si è portato dietro una quindicina di pacchi Pueblo, con cartine e filtri nella giusta misura.Per la cronaca la madre ha una rivendita di tabacchi, ecco spiegato l'arcano che mi porto dietro da Bayonne.
Bisogna salutare Pierpaolo, stamattina andrà diretto in bicicletta, anche se durante i primi km lo vedremo di tanto in tanto, prima di lasciarci indietro.
Prima di andare gli regalo un tao francescano che presi ad Assisi qualche anno fa, un'altra storia, con la quale, durante questo cammino, farò pace del tutto.
Gli dico che suo figlio sta giocando da qualche parte in un posto a noi sconosciuto, che se avrà stanchezza potrà tenere il tao e ricordare di quella passata insieme sui Pirenei, che deve andare avanti anche e sopratutto per l'altra figlia.
Ci abbracciamo, ancora commozione,di quella che ti dà energia.
Buen camino amico mio, arriverai dove vuoi arrivare. Poco più di due settimane dopo,un suo messaggio mi renderà felice ma, in questa mattina dove c'è sole e aria frizzante, ancora non lo so.
Insomma, animo e andare anche se le gambe sono imballate dai 27km del giorno prima.C'incolonniamo comunque con un'energia che sembra salire direttamente dalla strada, forse non stiamo andando noi ma è la via stessa a risucchiarci. Faccio un video, di quelli idioti, mentre in mezzo agli alberi si dipana il sentiero. Prima sosta dopo un paio di km, un alimentari è il motivo.Frutta da portar via e alé, gambe in spalla. Prima, però, aiutare Pier (si, c'era anche lui, again) a sistemare una sacca laterale della bici. La zip rotta fa aguzzare l'ingegno. Vai con spille da balia e una cintura per pantaloni. Problema risolto, andare davvero ora.Faccio una foto a un signore basco, poi seguiamo il cammino per una Navarra che sembra più dolce.Lo sarà, ma non troppo.Nel bosco rivedo ancora Pier, una piccola sosta per una pesca, poi non lo rivedrò più, anche se entrambi avremo un pensiero per l'altro nei giorni a venire.
Continuo a metter passi in fila, me la prendo comoda e vengo raggiunto da Mike e Sua, la coreana del giorno prima.Mi fermerò con loro per una pausa ad Aurizberri, uno dei tanti minuscoli paesi che s'incontrano sul Cammino.
Un caffè, una sigaretta e una letta di mano da parte di Sua fanno passare una mezz'ora.Quello che mi dice sull'amore dà il là a un'idea che mi vagheggiava per la testa da prima che partissi.Avverrà, a Pamplona ma avverrà.
Riparto con loro, per poi allungare il passo e trovarmi a riflettere su molte cose tra l'ombra gradevole del bosco che mi sfila ai lati.
Sono continui saliscendi in questa tappa e un leggero fastidio inizia a far visita al mio tendine interno destro. Oh, non sono un dottore, questa è la miglior definizione medica che posso dare e aggiungo al piede, giusto per dare un tono.
Sono boschi meravigliosi, oltrepasso persone ed altre oltrepassano me, visi che rivedrò lungo il percorso, ma non si parla con tutti, è il Cammino che decide con chi devi parlare e incontrare.
Joao, Paul e Luca sono più avanti, io arriverò alle 16 passate.Lungo il percorso, dopo aver fatto una pausa ad un furgoncino-bar sull'Alto de Erro, conosco George from Alaska, un tipo che potrebbe essere la mia custodia e avanzerebbe spazio.
Mi racconta di lui, anche se capirò molto di più ad Estella, qualche tappa più avanti. Lungo la discesa pietrosa che porta a Zubiri rallento per stare al suo passo, ha dolore al ginocchio, scende a fatica,molta fatica.
Troviamo degli spiccioli in terra mentre un tipo si fa la strada al contrario perché non trova più sua moglie.Pare sia andata nel bosco a fare dei bisogni,dicendogli di andare avanti e sono tre ore che non si vede.Il giorno dopo sapremo che si era fermata a casa di un'amica appena entrata in paese.
La diamo per buona? Ma si, crediamoci.
Nel frattempo non mi fermo, il contachilometri mentale mi dice che non manca molto, George rimane indietro, una discesa bianca mi conduce all'ingresso del paese.Attraverso il Puente della Rabia sotto il quale, nel medioevo, facevano girare le bestie per evitare si ammalassero.Video e m'introduco nell'abitato.Thelma e Louise sono sedute a un bar con altri pellegrini, sono contente,mi baciano e chiedono di Mike. Sembra che tutti sappiano del nostro primo incontro. Mike Mike, io non ho fatto nulla, sei stato tu a fare il tuo cammino.
Lascio le due inglesi dopo aver detto che è indietro,mi dirigo all'albergue dove sono gli altri e prendo il letto che mi hanno mantenuto.
È pomeriggio presto, tutti insieme a prendere una birra e poi giù al fiume a metter piedi nell'acqua fredda.Sto un po' con Francesca, poi ci spostiamo sull'altra riva.Altre persone insieme a Joao, Paul e Luca.Chiacchiere in diverse lingue, poi parliamo di cose serie.
Che si fa per cena?
Spesa ad un negozietto e Luca cucina.
Allunghiamo un po' i tempi perché dei coreani stanno facendo la pasta in sette.Guardano tutti la pentola che cuoce gli spaghetti, forse usano onde mentali a noi sconosciute.
La cena è comunque servita, è arrivato anche Mike.Siamo un gruppo di otto nove persone, con alcuni passerò tutti i giorni, con altri solo pochi momenti come questo.
Risa di due ragazze spagnole sono monete per le orecchie di noi maschietti, si sparecchia, metto un po' di musica, dividiamo una mia pesca affogandola nel vino rosso, poi rimaniamo io e Luca.
Momento confessioni, si parla di noi, ho dieci anni in più, conosco ben poco della vita, ma lo conosco bene.
Mi accenna agli a!tri, al suo momento con la ragazza, alle sue preoccupazioni e alla sua depressione. Rispondo come posso ma pare che per lui siano risposte sensate.
Che dici Fá, sarà ora di andare a dormire?
Si lo è, poi improvvisamente ricordo che devo lavare boxer maglietta e calzettoni. Cazzo, non si asciugheranno mai per domattina, ma tanto lo zaino è un ottimo stendino mentre si cammina.
È tardi quando chiudo gli occhi e, stupidamente, inizio a desiderare che queste giornate non finiscano mai.

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