venerdì 31 luglio 2015

Ancora in due, ma almeno c'è "allegria".Da Itero de la Vega a Carrion de los Condes.19 maggio.

A Itero de la Vega il sonno se ne va via che sono le cinque e mezza circa.Il trambusto per i preparativi di due orientali, azzardo giapponesi, ma potrebbero essere anche coreani o vietnamiti per quanto ne sappia, sveglia mezza camerata.Io e Giacomo siamo inclusi in quella metà chiaramente, quindi dopo le abluzioni di rito e una veloce sistemata allo zaino, ci troviamo pronti che ancora la luce del mattino non ha preso servizio del tutto.Ne approfitto, mentre usciamo dal paese, per provare la nuova luce ricaricabile usb che ho acquistato prima di partire.Funziona alla grande, almeno per i primi dieci minuti, poi lo zampino della mia MV si mostra subdolamente vivo.Effettivamente andava caricata prima.
Sarà che sto molto attento alla bottiglia dell'acqua e a non dimenticare nulla sotto il cuscino o sopra il letto quando vado via, che tutto il resto passa nella mia mente con la stessa presa di un tizio sopra un vetro cosparso di sapone liquido.Scivola via che è una bellezza.
Ripongo la luce in una tasca della giacca a vento e continuiamo a camminare.Dobbiamo fare anche colazione e in paese era ancora tutto chiuso quando siamo partiti, quindi dovremo fermarci al primo "pueblo" sveglio e attivo per mettere qualcosa sotto i denti.Ho anche intenzione di fermarmi a Boadilla per portare i saluti a Serafin, l'hospitalero di cui mi ha parlato Francesca.Credo sia un modo come un altro per riprendere in mano quel filo interrotto a settembre e che ancora mi sfugge dalle dita.Una traccia invisibile che mi ostino a seguire e che mi fa pensare di non aver capito nulla del senso del cammino. Non posso ritrovare quelle sensazioni, sono diverso io, diversa la compagnia, diverso anche il paesaggio che attraverso benché il percorso sia lo stesso.Non voglio accettarlo eppure dovrò farlo. Con questi pensieri intervallati da chiacchiere, io e Giacomo percorriamo il tratto che ci porta a Boadilla, superando i due orientali della mattina lungo una pista di terra battuta alle cui spalle la luce del sole inizia ad impolverare per bene il giorno, facendosi largo tra strati di nuvole svogliate.
Arrivati in paese busso alla porta dell'albergue ma sembra deserto.Nessuna risposta dall'interno e il filo continua a sfuggire.Troviamo un'altro albergue aperto dove prendere un caffè americano, pane burro e marmellata ma non sono soddisfatto quando esco per fumare una sigaretta e riprendere il cammino.Con Giacomo programmiamo un'altra sosta a Fromista che incontriamo dopo aver sfilato a fianco di un canale artificiale che termina con una chiusa all'ingresso del paese.In un bar incontriamo un gruppo di italiani in vacanza.Hanno tutti una certa età e ci guardano come se per loro fosse una cosa impossibile fare quello che stiamo facendo, rimarrebbero ancora più stupiti se vedessero età maggiori della loro con lo zaino in spalla e camminare soli per questa via, a me è capitato l'anno scorso e capiterà anche quest'anno. In giro per il paese vediamo anche Sean, l'irlandese trovato due volte in due giorni. I due ragazzi del bar, alla mia richiesta di dove poter trovare un po' di "allegria", mi dicono che c'è un albergue dallo stile peace and love a una decina di km da qui, dove fanno feste di pellegrini la sera e dove, se loro facessero il cammino, si fermerebbero sicuramente.Annuisco e con Giacomo facciamo una visita alla chiesa prima di uscire dallo stesso e seguire una pista parallela alla strada asfaltata.Ora il sole è completamente padrone del cielo ma non è un'aria da togliersi la giacca a vento.Arrivati a Villarmentero de Campos troviamo il posto suggerito dai due baristi. Dato che è ora di pranzare ne approfittiamo per un bocadillo e una birra, consumati nella veranda, mentre due asini e un paio cani girano pigramente nel campo retrostante. Qua si può dormire all'interno o anche all'esterno in varie tende, un teepee indiano e anche una carrozza da circo. Almeno così mi sembra. Il volontario dell'albergue è un ragazzo spagnolo proprietario di uno dei cani che lo segue come un'ombra.Lo vedo mentre apre una tabacchiera che non contiene tabacco ma solo "allegria".Gli chiedo se posso averne il giusto per rilassarmi e quanto vuole.Prende un paio di fiori e mi dice " Vaja con Dios, hermano".Si, andrò con Dio e i suoi regali, penso mentre lo ringrazio mutamente battendomi una mano all'altezza del cuore.
Facciamo un'altro timbro mentre arriva Sean che ci dice si fermerà qui.Noi no, dobbiamo arrivare a Carrion de los Condes per avere tappe umane fino a Sahagun, dove Joao si farà vivo.Quindi, a malincuore, riprendo la via insieme a Giacomo.Due punti minuscoli in uno spazio verde e immenso tagliato a metà dal sentiero che percorriamo sotto il sole del primo pomeriggio.Lungo la via ci sfila un altro paese minuscolo con una chiesa enorme alla sommità, quasi fosse un cappello troppo grande su quella testa di case.Arriviamo a Carrion stancamente, l'ultimo tratto è stato assolato e alla fine della tappa saranno più di 30 i km fatti.Inizio a cercare nei vari albergue i due taiwanesi, ma di loro non c'è traccia, saprò più tardi che sono andati addirittura più avanti.In questa ricerca sono accompagnato da uno svogliato Giacomo che propone di andare a dormire nel Monasterio di Santa Clara.Dopo una mezz'ora di girovagare nella vana ricerca, acconsento alla sua proposta.Il tizio che ci accoglie ripete in continuazione le stesse cose, poi ci fa strada nell'edificio mostrandoci i vari servizi e la camera dove dormiremo, che ha tre letti ma ci dormiremo solo io e lui.Giacomo fa il bucato mentre io esco un po' e mi fermo a parlare con una ragazza, incrociata in questi primi giorni, al tavolo di un bar.Si fanno le solite chiacchiere da pellegrini, ovvero da dove si è partiti, il perchè, il percome e tutte queste cose qua, mentre il pomeriggio si attarda nel divenire sera e vengo raggiunto da Giacomo.La ragazza declina il nostro invito a mangiare insieme e quindi, dopo averla salutata, ci dirigiamo verso uno dei locali che propina il solito menù del pellegrino.Una cena veloce, prima di ritirarci verso la nostra "cella".A letto do uno sguardo alla guida e mi accorgo che l'indomani ci attende una tappa non lunga dato che, invece di arrivare a Terradillos de los Templarios, ci fermeremo a Ledigos.Il punto è che in mezzo a questi 23 km e qualcosa ce ne stanno circa 17 senza punti di rifornimento.
Così, tanto perchè è il Cammino.

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giovedì 23 luglio 2015

Passo a passo con l'inquietudine.Da Hontanas a Itero de la Vega.18 maggio.

I taiwanesi se ne sono andati già da un pezzo quando io e Giacomo facciamo colazione al bar dell'albergue.Il solito caffè che non mi soddisfa ha per compagnia un croissant che non è male.Mi preparo una sigaretta e poi esco per fare due tiri di preparazione alla camminata che ci attende oggi.L'aria è fredda come una banchisa del polo e io ho avuto la bella idea, vedendo il sole entrare dalla finestra mentre ero ancora nel letto, di trasformare i pantaloni in pantaloncini e indossare la maglietta senza nemmeno una felpa sopra.Reintegro il vestiario necessario prima che il fumo mi geli nei polmoni e poi faccio segno a Giacomo che siamo pronti a partire.
Usciamo dal paese notando alcune facce già viste il giorno prima, è una delle sensazioni del Cammino, riconoscere persone che non conosci, associare zaini a visi, e lingue alle varie nazioni del mondo.Il paesaggio mantiene alcuni tratti collinari dove i papaveri pitturano di rosso i fianchi della terra.La strada, per il primo tratto su asfalto, si trasforma poi in un sentiero campestre delimitato dallo stesso rosso.Praticamente camminiamo in un corridoio di papaveri e silenzio, sorpassando un giapponese che sembra uscito da un bunker di Iwo Jima.Io sono irrequieto anche se non lo mostro, sento che mancano degli ingranaggi al meccanismo a cui mi ero abituato lo scorso anno e, tra me, penso che per fortuna tra quattro giorni incontrerò di nuovo Joao.Ho già anticipato a Giacomo che devo arrivare a Sahagun entro il 21 di maggio, quindi abbiamo 4 giorni con oggi per fare i km che mancano, all'incirca una novantina.
Passiamo sotto le rovine di un vecchio convento, quello di San Anton, del decimo secolo.Pare che ci sia anche un albergue per pellegrini oggi, messo su alla bene e meglio.Anche lo scorso anno, ho pensato, dopo pochi giorni, che il Cammino andrebbe fatto più volte, per non perdere dei rifugi o albergue che sono, generalmente, in mezzo alle tappe che le guide propongono.Questo è uno di quelli.
Continuiamo per la strada che è tornata asfaltata e che ci conduce, sotto un sole ormai alto, a Castrojeritz dove ci fermiamo per una pausa, facendo due chiacchiere con un tedesco che non rivedrò più, almeno fino a Santiago.
Il paese finisce con una discesa che porta ad attraversare l'asfalto, per poi divenire tratto piano in perfetto stile bucolico.Pecore, campi, canali d'irrigazione e una inquietante meseta da salire.Durante la salita, lascio Giacomo indietro e seguo il mio ritmo.Lo seguo a fatica, ad esser sinceri, tanto che il mio respiro assomiglia al mantice di un fabbro del medioevo e il sudore che mi cola dalla fronte mi fa credere di essere proprio quel fabbro.Il sole picchia in maniera clamorosa, al punto che inizio a percepire la mia metà sinistra della faccia come un uovo alla coque.
Intelligentemente non uso nessuna crema e non tiro fuori nemmeno il cappello, tutto questo grazie alla mia indomita pigrizia.Nei giorni seguenti mi pentirò di questa scelta.
Arriviamo in cima alla meseta e ci fermiamo a riposare sotto la tettoia apposita da pellegrino.Mille scritte di mille e più passaggi diversi, storie diverse, emozioni diverse, sono la testimonianza di chi è passato prima di me.Cerco anche qualcosa che possa farmi ritrovare il passaggio degli altri lo scorso anno.Trovo solo una frase che non appartiene a Luca, Joey e gli altri, ma potrebbe esser stata benissimo scritta da loro."Porcaputtana e di questa salita di merda".
Chiaro, coinciso, che dà il senso della fatica, indubbiamente.Riprendiamo gli zaini e muoviamo i passi sulla meseta che prima o poi andrà in discesa.Non è distante il punto in cui la terra si mette a scendere con una pendenza del 18 per cento ma, prima di dare le ginocchia in pasto alla pendenza, ci fermiamo ancora ad ammirare il paesaggio davanti a noi.Mi viene voglia di tirare gli occhi al di là dell'orizzonte, se solo si potesse fare.Ci sono dei posti, nel mondo, che ti rimettono in linea con quello che veramente sei, dandoti l'esatta misura di come appari su questa terra.Davanti alla distesa di campi segnati da una linea bianca che dovrò seguire, mi sento niente.La sensazione più bella che si può avere davanti alla natura, sapere di non esser nulla eppure farne parte.
Finita la discesa segue una pianura senza alberi che conduce a una fonte dove mettiamo i nostri piedi a mollo e facciamo un piccolo spuntino.Oggi avrei voluto arrivare a Boadilla del Camino, dove c'è un albergue consigliatomi da Francesca e dagli altri.Mi ha chiesto anche di portare i loro saluti a Serafin l'hospitalero ma non credo di farcela e comunico a Giacomo che probabilmente mi fermerò qualche km prima.Lui annuisce poi mi fa cenno di ripartire, almeno ovunque sia che arriviamo, ci arriviamo presto.
Nel tragitto passiamo di fronte all'albergue di San Nicolas, gestito da italiani.Poco prima di arrivarci Giacomo mi fa notare che c'è un'auto con targa italiana, nel silenzio le sue parole arrivano alle orecchie di due signori seduti fuori all'ingresso."Novara" dice uno.Io sarei tentato di rispondergli che poteva essere anche Canicattì, tanto sempre Italia sarebbe stata, ma rimango zitto.Quando ci troviamo davanti all'ingresso, ci viene spiegato che è gestita dalla Confraternita di Perugia e che non c'è acqua corrente nè tantomeno elettricità.Non sarebbe un problema, penso tra me, ma c'è qualcosa nella persona che gestisce il tutto che non mi fa venir voglia di fermarmi, anche se una parte di me vorrebbe.
"Non vi fermate a casa vostra?", ci domanda l'hospitalero, con un tono di voce burbero, quasi fosse una domanda retorica.
No, non ci fermiamo, e andiamo avanti.Se avessi avuto ancora qualche dubbio, quel tono me lo ha eliminato del tutto.Magari sarò fatto male io ma non mi pento nemmeno per un passo della scelta fatta.Salutiamo e proseguiamo per la strada che attraversa il Ponte Fitero, ancora qualche km e arriviamo a Itero de la Vega, dove decidiamo di porre fine alle fatiche della giornata.
Nell'albergue troviamo gli irlandesi della sera prima, ma nessuna traccia dei taiwanesi, dei quali mi arriverà una mail dove dicono che sono a Boadilla.Passiamo il resto della giornata bevendo birra, whiskey e chiacchierando.La sera ceniamo in un bar del paese dove beviamo una birra insieme a due tedeschi incontrati durante la giornata, poi ci dirigiamo di nuovo verso l'albergue.La calura del giorno ha lasciato posto a un vento freddo e fastidioso che ci fa accelerare il passo.Quando entriamo sono quasi tutti già nei letti.
Io, dopo essermi lavato i denti e infilato nel sacco a pelo, fisso lo sguardo sul soffitto, continuando a chiedermi, finchè non mi addormento, cos'è che non va questa volta.

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venerdì 10 luglio 2015

Dove sono gli altri?.Da Burgos ad Hontanas.17 maggio.

Durante la notte apro gli occhi un paio di volte.In una di queste scopro la tizia nel letto a fianco al mio seduta e sveglia.Ci facciamo segni eloquenti e silenziosi, come una pattuglia di marines nel folto di una foresta.Io mimo il fatto di infilarmi un cappio saponato al collo, lei ride sommessamente, poi la lascio alla sua insonnia, dando un'altra possibilità a Morfeo.Quando l'alba si fa prepotente dalle finestre, tutti iniziano i preparativi per la giornata che verrà.Io mi rigiro pigramente nel sacco a pelo, prima di scendere dal letto e dare un'occhiata in giro.
Dove sono gli altri?
Questa domanda sarà ricorrente nella giornata di oggi ma, per ora, non me ne rendo conto.Dopo aver sistemato lo zaino ed essermi dato una sciacquata per riprendere contatto con la realtà, mi ritengo pronto per riprendere il discorso interrotto quel 29 settembre.
Esco e vado a far colazione al bar della paella mancata, poi, mentre addento un croissant, mi viene in mente che non ho un supporto a farmi compagnia, allora ritorno all'albergue e chiedo all'hospitalero se qualcuno ha lasciato un bastone che potrei usare.Il tizio mi guarda e me ne indica uno che ha trovato poggiato stamattina all'esterno del portone dell'albergue.Se ne stava li, inclinato sul muro, nell'angolo.
Io guardo il tizio, lui guarda me, poi io guardo il bastone, poi il bastone guarda noi due.Affare fatto, verrai con me, dico a quel pezzo di legno afferrandolo con la destra.Mi carico lo zaino e inizio a camminare.L'aria è fredda e la cattedrale è severa nelle sue guglie tanto eleganti quanto inquietanti, ma mi guardo intorno mentre percorro il tratto che fa uscire dalla città.
Bello, tutto molto bello ma, dove sono gli altri?
Durante i passi, immagino che li troverò ad attendermi dietro al prossimo angolo o in un punto di sosta a chiacchierare e fumare una sigaretta.Nulla di tutto questo, chiaramente, allora inizio a parlare con una coppia australiana, almeno finchè non veniamo richiamati da una ragazza che ci dice stiamo sbagliando strada.Prendiamo quella giusta per camminare ancora un po' insieme, finchè non decido che il mio passo è più veloce e auguro loro buen camino.Ora mi trovo solo nella strada sterrata e polverosa, il cielo non è sereno e ho una gran malinconia dei miei compagni di camino.A distrarmi ci pensa l'incontro con Lee e Blackie, due ragazzi di Taiwan con cui condivido una mezz'ora buona prima di fermarmi a fumare una sigaretta.Quando sono nei preparativi tabacchiferi, vengo superato dalla moglie di Jost.Le chiedo dove sia il marito e mi fa segno che è indietro.Al terzo tiro, mentre volgo le spalle alla strada e fisso un punto indefinito cercando di immaginare quello che vivrò in questo mese, passa Jost che chiacchiera con un ragazzo.Me ne rendo conto quando lo riconosco da dietro, con i suoi capelli bianchi legati a coda e già distante una ventina di metri.Accellero il passo, chiamandolo.Mi presenta Giacomo, un italiano che vive a York, chimico farmacologico e con inclinazioni da frate.In breve Jost perde il nostro andare per guadagnare quello della moglie, così io e Giacomo iniziamo a camminare insieme, visto che anche lui pensa di raggiungere Hontanas come fine tappa della giornata.Durante i km dividiamo qualche decina di metri con un italiano facente parte di un terzetto, il quale ci dice che sono in anticipo di tre giorni sui tempi di marcia.Tra il dire questa cosa e il percepire che non sarà affatto un mio compagno di cammino, intercorre lo stesso tempo che passa tra due battute d'ali di un colibrì.Continuiamo in un paesaggio che mi è nuovo, non ci sono i boschi dei Paesi Baschi e della Navarra, e nemmeno i vigneti della Roja a sfilarci al fianco, ma l'inizio di un tratto pianeggiante in altopiano, le mesetas, che ci porteremo dietro fino a Leon.Facciamo la prima pausa in un paesino dopo Burgos, per Giacomo è la prima volta sul cammino e non è partito da SJPDP, con mio grande disappunto, ma dalla città del Cid.Ci si è trovato per caso, non sapendo cosa fare durante i suoi giorni di ferie, ma sul cammino non ci si arriva per caso.Ne parliamo davanti a un caffè e un croissant in un bar, mentre sulla strada asfaltata passa una processione di auto d'epoca.In queste prime ore di cammino mi viene da chiedere a chiunque abbia un albergue o un bar se ricordano un gruppo eterogeneo e sconclusionato passato l'anno scorso.A Giacomo non faccio altro che magnificare i rapporti che si possono creare lungo questa via, eppure gli confido che non mi sento ancora dentro il Cammino come successe l'anno scorso già dal primo giorno anzi, dalla prima ora.Con questi discorsi e pensieri continuiamo a seguire la lingua bianca di polvere che scorre sotto i nostri piedi, mentre la giornata vira verso il soleggiato e il sereno.Passiamo in mezzo a campi che sembrano oceani verdi, tanto il vento smuove le spighe ancora giovani in un movimento ondulato e continuo.Affrontiamo il primo altopiano per trovare, in cima, una fontana e una seduta all'ombra degli alberi.Piedi nell'acqua fredda e sensazione meravigliosa in tutto il corpo, poi raggiungiamo Hornillos del Camino e ci fermiamo per una pausa, è ora di mangiare qualcosa di sostanzioso per avere energie e riposare le gambe in vista dei km che ci separano da Hontanas.
Ad Hornillos incontro la signora francese con cui ho atteso il bus a Madrid, due chiacchiere con lei, un panino e salutiamo anche Jost che, nel frattempo, ha raggiunto il paese e deciso di fermarsi li per oggi.A noi mancano altri 11 km per la fine della tappa, e sono km dove faremo un altro paio di mesetas e il sole inizierà ad avere i raggi pesanti.Dopo la seconda ci saranno 5 km di piattume in cui gli occhi si perdono sulla linea dell'orizzonte a cercare qualche segno di vita.In realtà Hontanas è accoccolata in un avvallamento che te la fa scoprire all'improvviso dando il primo accenno con la torre della chiesa che, da lontano, sembra piantata in mezzo al sentiero.
Ci facciamo la discesa che porta all'albergue municipal, ma è tutto pieno, e anche quello di fronte, quindi risaliamo all'inizio del paese per prendere posto in uno nuovo e di recente costruzione.Primo timbro di questo nuovo capitolo sulla mia credenziale e sistemiamo gli zaini in una camerata con pochi letti e bagno privato.Un lusso che mi lascia interdetto, ma che gradisco.Facciamo quello che va fatto, ovvero una doccia, il bucato e la spesa per la cena, dato che si può usare la cucina.Poi scatta il momento birra all'esterno, seduti in un pratino fresco e dove conosco un americano che sembra tanto Donald Sutherland. A proposito, il pratino è talmente fresco che mi ritrovo il culo fradicio. Ritrovo anche i due ragazzi di Taiwan che gradiranno molto la nostra pasta all'italiana e conosciamo un irlandese e un australiano con origini irlandesi.
Per il tempo della cena e dell'ora seguente, dove intoniamo canti irlandesi e i ragazzi di Taiwan mi chiedono se si può trovare "allegria" da queste parti, mi sembra di aver ritrovato un po' della sensazione dell'anno scorso.Verso le 23 risaliamo tutti alle camerate e dopo le abluzioni di rito sto per salire sul mio letto a castello nuovissimo e comodissimo, ma la mia MV si fa una risatissima.Ho dimenticato i panni ad asciugare fuori e la notte è umida come la schiena sudata di un minatore del Salisburghese.Quando esco ho solo un pantaloncino e una maglietta leggerissima e mi maledico all'istante percependo un freddo che mi fa dubitare di esser nel bel mezzo della Spagna.
Nel momento in cui sono finalmente a letto, prima di chiudere gli occhi dopo questo primo giorno di cammino, mi ritorna in mente quella domanda.
Dove sono gli altri?

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