mercoledì 19 novembre 2014

O' sole mio mette allegria, ma la natura ancora di più. Da Ventosa a Santo Domingo della Calzada.25 settembre.

Il risveglio della mattina è accompagnato da un insolito silenzio, è la prima volta che dormiamo in un posto con così pochi letti.
I due francesi vanno via che noi ci stiamo ancora stiracchiando e non sentire nemmeno una voce femminile mi suona strano.
Oggi dovremo fare i km che non abbiamo percorso ieri, quindi si rispetta la guida e dobbiamo arrivare a Santo Domingo della Calzada, ovvero circa trentamila metri più ad ovest.
Bene, il cielo è limpido nella sua aurora ma l'umidità si fa sentire e i diciotto euro a testa spesi per non dormire all'aperto hanno una valenza maggiore.
Faccio un paio di foto quando usciamo, il sole se ne sta ancora basso sull'orizzonte e sembra un piccolo buco bianco nell'infinito rosa sfumato del mattino.
Andiamo al bar del giorno prima e, sorpresa, bevo un caffè ottimo e cremoso, mi complimento con il tizio e poi esco fuori a fumare una sigaretta con Luca e Jo. Su uno dei tavoli esterni facciamo le prime chiacchiere con un coreano che abbiamo visto spesso nei giorni passati. Un tipo simpatico, con uno zaino particolare che sembra da alta montagna, almeno per quello che uno nato sul mare può capire di alta montagna.
Quando siamo tutti pronti, lasciamo il coreano ancora seduto e, con varie strette di mano, lo salutiamo.
Costeggiamo per un po' la strada asfaltata, poi ci inoltriamo nella più familiare e naturale pista in terra, facendo una sosta per delle foto idiote.
Avete presente quei cartonati che uno si mette dietro e di suo ha solo la faccia mentre il resto è dipinto o stampato sul cartonato stesso?
Ecco, in genere c'è dei supereroi o, nei parchi a tema, di qualche personaggio inerente. Qua invece c'è un pellegrino medioevale, con tanto di bisaccia da cui sgorga vino, nell'intento di bere, ovvio è pubblicità per una cantina del luogo.Luca e Jo in effetti sarebbero dei perfetti testimonial quando, a turno, li inquadro per la foto.
Dopo nemmeno altra mezz'ora di cammino,circondati da vigneti e sopraffatti da un cielo il cui azzurro è sempre più intenso, raggiungiamo uno degli ormai noti furgoncini tipo porchetta ma che di porchetta non sono.
Ollallà, e cosa sta fumando il tizio che lo gestisce? A Luca e Jo si illuminano gli occhi, i miei invece sono tipo luci stroboscopiche.
E insomma eh...e quindi... beh ti tratti bene per essere in una sperduta pista di terra battuta dai trattori sotto il sole.
Credo che i nostri sguardi traducano in morse quello che stiamo pensando, tanto che il tipo condivide con noi la sua"allegria".
Ed è contagiosa, maremma cane se lo è.
Sopratutto quando siamo raggiunti da un gruppetto di giapponesi e uno di loro canta con convinzione e sentimento una parte, la più difficile, di O'sole mio.
Esplosione di applausi, brindisi vari con caffè birra e acqua e poi si riparte.
Raggiungiamo Najera, ipotetica meta di ieri, dopo esser passati per il Poyo di Rolando, una collina che dà il nome alla leggenda omonima.
Mi/vi risparmio la scrittura/ricerca: Il poyo di Rolando
l'ingresso in città è preceduto da una via periferica dove prendiamo da mangiare in un supermarket, poi la stessa via ci conduce verso un ponte pedonale sotto il quale, sdraiati sull'erba fresca, consumiamo i nostri panini cullati dal mormorio del fiume davanti a noi.
Molto pericoloso, la pennica, quella subdola maschera della pigrizia postprandiale, è sempre in agguato, quindi alzarsi e attraversare il ponte per proseguire.
Alle spalle di questo paese c'è uno scialle di colline rosse come ocra che sembrano il set per un film di Sergio Leone, tanto da farmi fischiettare l'aria di '"Per un pugno di dollari".
Mentre mi diletto e camminiamo verso l'uscita di Najera, una tipa quantomeno singolare mi si avvicina e chiede dove sta un supermarket.
Le do qualche indicazione poi, dato che si presenta come una irlandese, lascio la palla a Jo, qualcosa mi stona di questa tizia.
In effetti è lei ad essere stonata, ma ce ne accorgiamo dopo, quando abbiamo già accettato di farla camminare con noi.
Non smetterà mai di parlare fino all'arrivo a Santo Domingo della Calzada, ma io me ne starò alla larga facendo gran parte del tratto da solo, andando avanti incastrato nei miei viaggi mentali.
Ad un certo punto Jo trova la scusa per mollarla agli altri, dicendole che deve aspettarmi visto che mi sono fermato causa pipì molto lunga.
Quando lo raggiungo mi guarda quasi pregandomi di non lasciarlo ancora con lei.
In tutto questo passiamo davanti a una sorta di palo, leggendo poi la guida scoprirò che era usato per legarvi poco simpaticamente i condannati a morte nei secoli scorsi.
Quindi per un tratto siamo io e Jo, mentre Paul e Luca si cibano le chiacchiere senza senso della tipa. Pare che volesse anche occupare la Casa Bianca con la bandiera irlandese.
Con Jo ci fermiamo per una pausa in un tratto campestre ricco di incroci e deviazioni a volte fuorvianti, lo facciamo all'ombra di un unico albero davanti a balle dorate ammassate una sull'altra che sembrano condomìni di fieno.
Ne approfitto per farmi un paio di foto, intanto João lo vediamo avanti, un minuscolo movimento all'orizzonte s'una strada che, in lontananza, diventa un filo sempre più sottile.
Paul e Luca sono dietro con la stordita, ma non tardano molto ad arrivare, e quando lo fanno io riparto.Ho questo difetto, se non sono in sintonia con una persona è lampante come un faro nella notte, non posso farci nulla.
Mi confermeranno poi che hanno valutato qualsiasi soluzione per levarsela di torno, compresa quella di farla fuori e gettarla in un fosso, ma non sarebbe stato nello spirito del Cammino.
Insomma, alla fine arriviamo alla meta giornaliera, con João che ha preso i posti per tutti, io piazzato secondo e gli altri a seguire dopo una mezz'ora.
Faccio un giro per l'albergue che è un'ottima struttura, dotato di più piani, con bagni separati per le donne e gli uomini, una grande cucina e un bel giardino dove si può fare il bucato e rilassarsi.
A proposito della cucina, guarda un po' chi c'è. Già, proprio Adrian, il cuoco della sera prima che stasera farà da mangiare per una trentina di persone, a pagamento però.
Praticamente lui tira su i soldi in questo modo, ha un cartello attaccato allo zaino che recita più o meno così.
"Sono un cuoco, se vuoi posso cucinare per te che sei pellegrino"
Si parte dall'aperitivo fino al dolce, per la somma di dieci euro a persona, chiaramente l'acquisto delle cibarie è compreso.
Fatti due conti, questo tipo si è guadagnato quella sera più di duecento euro, niente male per fare una cosa di cui si ha passione.
Noi ci cuciniamo da soli, a far la spesa vanno João e Paul, mentre Luca e Jo escono a cercare quell'allegria della mattina.
Ovviamente entrambe le missioni vanno a buon fine, e so che sarà una serata impegnativa questa.
Praticamente io non esco dall'albergue, tra una lavata di magliette e una mezza pennica attendo buono buono che sia ora di cucinare.
Alle 22 la cucina deve esser lasciata pulita e si chiude ma, questa sera, Adrian ha monopolizzato fornelli, forno, bombola del gas e accendini, quindi facciamo un po' tardi, però l'hospitalero vista la situazione ci lascia finire ben oltre l'orario canonico. Tra l'altro Luca e Jo hanno appuntamento con un rasta proprio a quell'ora, quindi mettiamo in scena una pantomima per farli uscire a quell'ora.Praticamente Jo fa finta di aver dimenticato il telefono in un bar, in seguito, molto in seguito, questo avverrà realmente.
L'irlandese è così calato nella parte che inizia a recitare quando siamo ancora in tre, oh Jo guarda che non devi convincere noi, aspetta un attimo.
Ad ogni modo la cosa funziona, così dopo aver mangiato e fatto i piatti scendiamo nel giardino a provare l'allegria del rasta.
Troviamo anche il "franzoso" cuoco, con il quale diventiamo cinque coppie di polmoni, e meno male aggiungo.
Questa non è allegria, è devastazione, ma di quelle buone, tant'è che con il cuoco inizio un discorso in inglese che non so nemmeno io dove mi ha portato, però rimango meravigliato da quanto ho usato bene la lingua di Albione.Al punto di obbligare la mia memoria vanga a non dimenticare la mia performance.Oh, son soddisfazioni eh.Ancora adesso rammento quella capacità di percepire ogni cassetto del mio cervello aprirsi alla mia necessità, non ho sbagliato un verbo o una parola.
Il problema arriva quando decido di salire e tornare al secondo piano nella camerata con Jo che segue la luce del mio cellulare come un cane molecolare e che, nonostante questo, dà una tibiata antologica su uno scalino.
Soffoco una risata che avrebbe effetti devastanti sul sonno degli altri, e con altri intendo almeno mezzo isolato intorno all'albergue, poi, prima di cadere nel nulla del sonno, sorrido soddisfatto per le ultime parole che ho detto ad Adrian prima di andare.
"Oh franzoso, ti saluta Materazzi"

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martedì 11 novembre 2014

"E se fossi suo figlio?".Da Logrono a Ventosa. 24 settembre.

Stamattina ce la prendiamo comoda, quando mi alzo saranno le otto scarse e Luca è ancora un tutt'uno con il sacco a pelo.
Mi preparo e sistemo lo zaino, poi vado nella camerata dove Gracia e Alicia stanno ancora dormendo. Cerco di non svegliarle quando le bacio per salutarle, invano.
La maggiore, Gracia, apre due bei occhi scuri che diventano subito umidi, non vorrebbe che partissimo ma anche lei deve tornare a lavoro nella sua città, Valencia.Mi abbraccia forte, poi tocca alla sorella scendere dal letto e sussurrarmi parole buone.Dico agli altri che li aspetto fuori, anche Federika partirà oggi per far ritorno a Berlino e insieme scendiamo le scale per farci una sigaretta all'aperto.
I ritardatari saranno Luca e Jo, con quest'ultimo non messo benissimo sui polpacci, nel frattempo il portoghese e il catalano raggiungono me e la berlinese insieme alle due sorelle.
Attendo qualche altro minuto, poi informo João che intanto andrò avanti.Abbraccio le tre donne senza mostrare una commozione che invece sento salimi fino alla gola.Non è un addio, da qualche parte, in qualche tempo futuro, ci rivedremo.
M'incammino senza voltarmi, dopo una ventina di metri sento Federika che mi saluta nel modo in cui mi ha chiamato la prima volta, Feibi, aggiungendo "no pain, no gain".Senza sofferenza non c'è ricompensa, una delle prime cose che le dissi mentre camminavamo.
Devo girarmi e aprire le braccia, dopo aver mandato un bacio in quest'aria spagnola poi, quello che vedranno, sarà solo uno zaino con le gambe che si allontana.
L'uscita dalla città non è semplicissima, devo chiedere almeno tre o quattro volte prima di vedere qualche freccia o conchiglia. Non è semplice ma porta verso un parco appoggiato intorno a un lago, faccio foto a papere, anatre e cigni, attraverso un breve tratto che sembra un bayou della Louisiana, con rami d'alberi inzuppati nell'acqua e gracidare di rane sparso nell'aria, infine raggiungo una sorta di chalet dove mi fermo per un'oretta buona.
Oggi il mio umore è altalenante, per questo ho deciso di fare questo primo tratto da solo.
Ad ogni modo, dopo una buona colazione, una visita al bagno e una sigaretta, mentre attendo che il mio telefono mandi un video a Simona, conosco un signore di circa ottant'anni.
Se ne sta seduto sulla veranda esterna dello chalet, quando gli passo vicino mi augura Buen camino, così è inevitabile fare due chiacchiere.
Si presenta dicendo che il suo nome non è usuale, si chiama Amable, e continua affermando che cerca di portarlo con giusta causa, parlando e passando il tempo con i pellegrini che fanno pausa li.
Non ricordo di dove fosse, ma si è trasferito a Logrono parecchi anni fa e non si è più mosso, anche perché la moglie non ama mettere il naso oltre qualche km di distanza.Il suo Cammino è li, fermo nel movimento degli altri, lo assapora in questo modo, chiedendo da dove si è partiti, che tempo si è trovato, dove si intende arrivare e da quale parte del mondo si proviene.
Voglio farmi una foto con questo nonno, a cui somiglio un po' per via del candore delle nostre barbe, accetta con piacere, poi faccio per salutarlo e rimettere le mie cose nello zaino quando arrivano gli altri quattro.
Ok, ora camminiamo insieme, nonno Amabile mi ha dato la giusta positività.
Rimetto giù lo zaino, tra un bocadillo e qualche foto che Jo vuole con me passiamo altro tempo su questa riva di lago sotto un sole quasi estivo.Conosco anche un altro irlandese sopra i settanta che si fa sciogliere un gelato in mano per quanto parla.Mi racconta di suo padre, che è stato in non so bene quale campo di battaglia nella seconda guerra mondiale, e mi fa ricordare mio nonno che se l'è fatta in Grecia, e di uno zio di mio padre, di cui ho ancora le lettere spedite dai campi di prigionia alla moglie.
Queste chiacchiere mi fanno sentire fortunato ed è con questo spirito che riprendo lo zaino invitando gli altri ad andare.Oggi dovremmo fare una trentina di km e siamo praticamente appena usciti da Logrono.
Ricominciamo tutti con qualcosa nello stomaco e affrontiamo una pendenza niente male, poi ci avviciniamo a Navarrete costeggiando una rete metallica a lato dell'autostrada, piena di croci in legno lasciate da chi ci ha preceduto. Io e Jo siamo poco più avanti degli altri, ne approfitto per riprendere la storia che mi raccontò quella notte a Pamplona.Voglio sapere di più, la Storia, perché anche quella lo è, mi attira da sempre e la sua, di storia, ha tutta l'aria di poter essere una parte del mio diario di viaggio.
Prima di iniziare con le domande gli chiedo se potrò scrivere quello che mi ha detto e dirà, è una forma di rispetto che avrò con tutti coloro i quali mi racconteranno una parte della loro vita.Come tutti,mi dirà di si ma stando attento al modo.Alcune ferite, per un popolo, è difficile si rimarginino.
Mi racconta dei suoi anni dai 15 ai 18, di come sia stato partecipe di quella protesta e in che maniera, di quando è stato arrestato e dei tre anni di galera.Delle botte subite ogni giorno nelle carceri di Belfast, e del suo silenzio.La mia memoria fa gli straordinari, non posso dimenticare una testimonianza del genere, seppur assimilata in inglese.
Ancora oggi, ho negli occhi quelle centinaia di metri dove abbiamo camminato e parlato.
Interrompiamo le chiacchiere quando gli altri, allungando il passo, ci raggiungono e, insieme, raggiungiamo i resti di un hospital per pellegrini del 1100.La località si chiama San Juan de Acre, poco dopo entriamo in Navarrete.
Visitiamo la chiesa del paese poi, a causa di due polpacci ormai rossi come ferro in una fornace, portiamo Jo in presidio medico.
Paul fa da traduttore e Jo viene portato in una stanza dove avrà due iniezioni.Quando usciamo dal posto, decidiamo di buttarci su un prato a mangiare qualcosa.Sono quasi le sedici quando riprendiamo, Jo sta meglio ma non alla grande, Luca ha sempre male ai tendini e io dico sempre cazzate lungo il cammino.
Usciamo dal paese passando a fianco al cimitero dove fuori, seduti su una panchina, c'è una coppia che abbiamo già incrociato nei giorni passati.Lui ha appena preso una chitarra e João ci fa ascoltare un fado portoghese, dopo averli ringraziati e fatto un video c'incamminiamo ancora.
Ci rendiamo conto che si sta facendo tardi e i due "malati" non possono andare più veloce, così decidiamo di non raggiungere Najera ma fermarci a Ventosa.
Buco di nemmeno 100 anime, è un paesino dove c'è un unico albergue che raggiungiamo verso le 18.Io entro un attimo, poi lascio parlare João e Paul con chi lo conduce, attendendo fuori insieme a Jo e Luca stravaccati in strada.Sono esausti e la notizia che ci arriva non migliora le cose.
Tutto pieno dicono il portoghese e il catalano.
Ok, andiamo a comprare qualcosa da mangiare, faccio io, ma no, l'unico posto dove vendono qualcosa è questo albergue e non può venderci nulla se non abbiamo il posto letto.
Cazzo cazzo cazzo! Non abbiamo da dormire e nemmeno da mangiare? Ma che minchia vuol dire?
Calma, ci vuole calma, dico a João se può andare a sentire il parroco della chiesa, magari è parente di quello a Bayonne e ci aiuta.
Ok il portoghese parte e torna dopo una decina di minuti.Una cattiva e una che può(attenzione, può) esser buona, ci dice a proposito delle notizie che porta.Dai, iniziamo con l'amaro, sputa João!
Il prete non c'è, viene una volta a settimana, dice.No dai, è una presa per il culo vero?Cioè qua oltre a non avere un alimentari e far la spesa la mattina dall'ambulante che alle nove ne va, hanno pure il prete a turni?
Chiaro che oggi non c'è, bene andiamo con l'altra, ovvero una tipa che affitta una casa privata, cinque persone 90 eurozzi.
Ma siamo a Ventosa o a Tortuga, chiedo io facendo riferimento a un'eventuale benda su un occhio tipica dei pirati, a causa del prezzo.
Qui inizia un conciliabolo se accettare o meno il ricatto e Luca,chiaramente, propone subito di dormire fuori.
Fuori eh, bello, di sicuro con un certo romanticismo peones, e anche da pellegrini maledetti, ma vaffanculo c'è un'umidità che domattina dovremo usare le istruzioni per rimontarci le ossa.
Esprimo così il mio pensiero a riguardo, e poi fuori dove, che nemmeno una stalla vediamo in giro.
Arriviamo al punto che la questione merita di esser dibattuta davanti a una birra, così andiamo nell'unico bar del paese, dove tra l'altro c'è il contatto con la pirata.
Jo, davanti alla bevanda bionda dice che paga tutto lui, noi ci opponiamo fermamente, poi la votazione decide che prendiamo la casa.Ora resta la questione cibarie.
Il bar fa da mangiare, ovvio, ma spendere altri dieci euro a persona ci riesce dura.Porto Paul con me, a cercare qualche autoctono che ci faccia da tassista fino al paese precedente, così da far spesa e dare qualcosa per il disturbo.Niente, nemmeno in Io Sono Leggenda c'è questa difficoltà, ma siamo a Ventosa, paese di cento anime in estate.
No,nel caso qualcuno non lo ricordi.
Torniamo dentro senza buone notizie poi, a me, il concetto di essere discriminato in questa esperienza non va giù, ma proprio per niente.
Guardo gli altri e dico loro che torno all'albergue per chiedere spiegazioni, di aspettarmi per andare nella (presumibile) topaia che ci hanno affittato.
Lungo il breve tratto monto la famosa faccia da culo, quella che in certe occasioni viene utile.
Entro nell'albergue e trovo i due coniugi proprietari e la tizia di mezza età che presumo lavori lì. Parlo con lei, in inglese le chiedo di voler comprendere il perché, senza tono polemico ma con gentilezza.Risponde che per legge non si può, che comunque devo chiedere all'uomo presente. Uso un italiano lento e frammenti di uno spagnolo acquisito in questi giorni, ovvero il nulla.
Mi risponde che non può vendermi da mangiare perché non ha licenza, e fa capire che in paese potrebbero fare una spiata al fisco.Da buon italiano comprendo che la spiata potrebbe venire solo da chi guadagna dando da mangiare ai pellegrini, ok tutto chiaro.
Al primo tentativo, dove propongo di uscire con la merce nascosta o di passare con il favore delle tenebre, mi va male, anche paventando la leggendaria omertà italica.
Mhh, ok dov'è la faccia da culo? Eccola qua, riprovo e stavolta mi gioco il jolly come in Giochi senza Frontiere.
Guardo il tizio baffuto che continua a scuotere la testa in un diniego poi, quando parlo, ferma il suo mantra negativo.
"Ma se io fossi suo figlio, e avessi fame, sarebbe contento se mi negassero la possibilità di acquistare del cibo?"
Questo volevo dire ma, alla parola fame, lui comprende il senso e,con le mani poggiate sui fianchi, fissandomi, dice "prendi quello che vuoi, va bene".
Torno di corsa al bar, raccatto Luca e il mio zaino, faccio cenno agli altri che va tutto bene, loro mi guardano come se avessi le squame sulla pelle e il naso da ornitorinco, andiamo di nuovo dal tizio, prendiamo pasta, sugo pronto e pane, il tipo ci fa anche lo sconto, lo abbraccio come si abbraccia un padre e vedo i suoi occhi inumidirsi, nascondo il cibo nello zaino come un trafficante colombiano e, finalmente facciamo ritorno al bar.
Il tutto in sette minuti scarsi.
Al tavolo, gli altri tre attendono perplessi una spiegazione, io taglio corto dicendo a João e Paul di attivarsi per la casa, qua ci sono troppe orecchie indiscrete e l'inglese lo possono capire.
Con Jo e Luca rimaniamo a finirci la birra e dopo una ventina di minuti andiamo anche noi alla probabile topaia.Spero solo che almeno ci sia una cucina decente e pulita, se poi dovremo dormire in terra, amen, almeno abbiamo un tetto sulla testa.
Mentre elucubro in questo tardo pomeriggio spagnolo, João mi fa una telefonata. Hanno incontrato due ragazzi francesi che dormono fuori e ha detto loro che possono accamparsi nella topaia. Ovviamente dico che va bene, e incontriamo questi due "franzosi" lungo la strada che vanno a prendere qualcosa da mangiare dal baffo.Uno di questi due può acquistare, dato che ha il posto letto nell'albergue.
Ok, ci vediamo tra poco,faccio io, e intanto João ci viene incontro con un sorriso che sembra finto. Bene, la casa non è una topaia ma bellissima, ha due bagni, una cucina enorme e letti comodi, un giardino con amaca su cui si affaccia una vetrata che racchiude una sala dove mangeremo, pavimenti in parquet e muri a vista come le travi sul soffitto, un grammofono, libri e un arredamento davvero bello completano il tutto.
Che culo!
E uno dei due francesi cosa fa nella vita?Il cuoco!
Doppio culo, indubbiamente.
O è il Cammino a premiare la positività?
Risposte che ora non ci interessano, siamo contenti, facciamo una doccia rigenerante e Adrian, il cuoco, intanto cucina, c'è anche un'argentina a cena con noi, ma lei dormirà in albergue.Per ospitalità, durante la cena, ascolteremo in sottofondo i Gotan Project.
Passiamo una serata rilassante, a me vengono in mente Francesca, Gracia, Alicia e Federika, sarebbe stato perfetto con loro, anche se a noi maschietti sarebbe toccato dormire in terra, ma ci sono coperte in abbondanza e, se avessi potuto, avrei preferito così.
Mi viene in mente anche Mike, e Gilberto, e Sua e Pierpaolo, persone che mi hanno dato della buona energia, da cui ho ricevuto più di quello che mi sarei aspettato, che sebbene abbiano il loro cammino, egoisticamente vorrei camminassero ancora con noi.
Laviamo i piatti e poi ci fiondiamo nei letti, almeno chi può.
Prima di farlo, mi fumo una sigaretta davanti a una notte fresca e stellata.C'è un silenzio surreale e il fumo che espiro è l'unica forma di nuvola nell'aria ferma.
In quel momento, mi trovo a sorridere al buio per quello che sto vivendo.

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martedì 4 novembre 2014

La notte in più. Logrono.23 settembre.

Giù dal letto, che la caserma deve esser pronta per gli altri che verranno oggi.
Mi alzo con questo pensiero, sentendo gli ordini abbaiati in stile Sturmtruppen dalle gentili signore dell'albergue.Il secondo pensiero è non ripetibile,in quanto causato dal mio tendine destro quando appoggio il piede a terra.Ma sarà una buona giornata mi dico e, in quel momento, non so quanto avrò ragione.
Muy bien hombre, diamoci una sistemata e raggiungiamo gli altri di sotto.
Li trovo già pronti per trasferirsi nell'albergue dove sono Gracia e la sorella, ha un codice a cifre fuori dall'ingresso e gongoliamo al pensiero che stasera non abbiamo orario di rientro.Quello che si dice "true pilgrim style".
Un caffè veloce e poi via a prender posto, facendo le cose con calma, preparando già il letto per una pennica pomeridiana, confabulare sul da farsi e poi andare a fare una vera colazione.
Le due sorelle io, Luca e João ci troviamo così in un bar, gli altri, esclusa Francesca che è partita per Najera, la prossima tappa, sono a riposare.Jo ha anche un bel paio di polpacci rossi, merito di punture d'insetto a cui è allergico.
Approfitto della colazione per mandar giù una pasticca d'ibuprofene per il mio tendine poi, dopo aver fatto la spesa e tornati, aggiungerò una spalmata del miracoloso balsamo di tigre.
Ogni volta che si entra in un albergue, tra i vari odori c'è anche questo, pungente e che permea di sottofondo tutto il resto.
Ok, sono nemmeno le 12, al supermercato ho comprato anche una saponetta e lamette da barba, quindi andare a lavare due stracci e radersi per una ventina di minuti.Le lamette sono penose, d'altronde per 0,85 centesimi ( confezione da dieci pezzi) è già tanto che non mi si smontino in mano.
E ora che faccio? Esco a fare un giro o mi imbusto?
Buona la prima, cosi mi trovo per il centro città a visitare una chiesa e a fare foto come un turista qualsiasi, però con maglietta tecnica, calzoni corti e infradito.
Impegnato, come un giapponese davanti al colosseo, sento squillare il telefono, la berlinese mi sta chiamando e ci diamo appuntamento per uno spuntino prima di pranzo in un bar della piazza dove c'è sempre vita.
Detto fatto e siamo seduti in attesa di un caffè un cappuccino e una brioche.Ho voglia di zuccheri.
Con Federika passiamo quasi un'ora a chiacchierare pigramente e scambiandoci impressioni su questi giorni catapultati in un altro modo di vivere.Le chiedo se vorrebbe continuare, dato che oggi è la sua ultima sera, mi risponde che le dispiace molto lasciare, che avrebbe bisogno di più tempo in effetti.Poi parliamo degli incontri fatti e io accenno a Mike. Le chiedo se l'ha visto, lei è partita da Pamplona, mi risponde di no, d'altronde lui si è fermato un paio di giorni.
Pago il conto dicendole che è un peccato, le sarebbe stato simpatico e concludo che mi farebbe piacere avere sue notizie prima di terminare il mio cammino a Burgos.
Esiste RadioCamino, un tam tam tra i pellegrini che porta le notizie con la stessa velocità dei tuoi passi, spesso chiedi, a qualcuno che hai intravisto, notizie su qualcun'altro e scopri che chiedono anche di te, di come stai fisicamente, a quale distanza ti trovi.È come scrivere una lettera di carta e spedirla con i metodi del  '700, non sai quando e se arriverà, altrettanto per una risposta.
Torniamo che bisogna ancora preparare il pranzo, non c'è fretta e João è andato a fare un salto dove abbiamo dormito ieri sera, causa dimenticanza infradito.Io ne approfitto, lui e Luca son deputati alla cucina, andando sul letto a scribacchiare un po'.Passa nemmeno mezz'ora e il portoghese mi raggiunge in camerata con una faccia seria.Chiede di parlarmi in privato, gli dico che qua siamo io e lui e forse qualcuno su un letto venti o trenta posti più in là, che può parlare.Niente da fare, dobbiamo andare fuori, è importante.
Stanno bombardando il cammino? Qualcuno ha tirato le cuoia?C'è un invasione aliena o semplicemente si è scotta la pasta?
Insomma João, che cazzo è successo per farmi fare due piani di scale e avere una faccia da foca triste?
MAPPORCADIQUELLAPUTTANA!!
GRANDE MIKE!!!
Me lo trovo seduto e gli altri attorno per vedere che faccia avrei fatto a questa sorpresa.
Credo di avere un occhio che piange ridendo e l'altro che ride piangendo.
Sono contentissimo e anche sbalordito, un'ora fa ne stavo parlando e ora questo fottuto svizzero dalla testa dura è qui.
Minchia, la Carrà avrebbe fatto audience con me!
Insomma un dieci minuti dove chiediamo come è andata negli ultimi giorni, quanto si ferma e l'obbligo a mangiare con noi.
Ok, sappiamo che c'è anche Sua, e l'andiamo a salutare nel gulag di ieri sera,Mike dorme in un hotel e João l'ha incontrato mentre lo svizzero accompagnava la coreana.
Tutti felici, tutti contenti ed è un peccato che Francesca abbia lasciato il gruppo, ma il cammino è così, ti offre aperture ogni giorno, sta a te decidere cosa fare.E poi, sempre su questa strada si sta, è probabile rivedersi.
Bene, c'è da organizzare per stasera, ne parliamo a pranzo, decidendo di fare una pennica pomeridiana e poi, verso le 18, incontrarsi per far festa.
La serata sarà fantastica, un continuo di risate e buoni pensieri accompagnati da ottimo vino e bei momenti, come quando abbiamo preso da un ambulante un bracciale per Federika, che ci ha ringraziato con una gran luce negli occhi, o come quando tutti, a turno, hanno scritto un pensiero sulla mia moleskine, nella propria lingua.
Attestati migliori di qualsiasi laurea, non aggiungo altro.
Oppure il pezzo Dirty old town cantato da João e Jo, un omaggio al verde giardino d'Europa, mentre eravamo ancora seduti a cena.
Dopo, tutti a ballare in una delle piazze con concerti dal vivo di gruppi spagnoli. Non ci capisco una beata minchia ma mi diverto e ballo come non accadeva da quindici anni.Arriva birra da mille mani diverse e, quando torniamo all'albergue, lungo la strada son risate sommesse e abbracci sparsi, così, tanto perché si è contenti.
Salutiamo Mike che se ne va nel suo hotel, sappiamo  davvero sarà l'ultima volta visto che non sa ancora se continuare o fermarsi del tutto.Intanto si prenderà due giorni di riposo anche qui, le sue vesciche hanno deciso in questo modo.
Dentro l'albergue c'è un chiostro, chiaramente non andremo a dormire, certo che no, sono solo le tre meno un quarto.Quindi altro giro di sigarette cercando di parlare piano e ridere ancora più basso.
A giudicare da come siamo stati apostrofati alle tre e mezza, da un'italiana che è scesa grazie al nostro vociare, pensiamo che il parlare basso non rientri nelle nostre virtù.
Ce ne andiamo a letto come liceali in un giorno di gita, contenti di quello che abbiamo avuto e di quello che avremo, anche se domani sarà un giorno senza qualcuno.
Mi scopro a pensare che Francesca mancherà. O sarà la sua abilità nel fare lavatrici?
Il giorno dopo sentirò anche la mancanza del suo bagnoschiuma, dato che dimenticherò qui la saponetta comprata oggi.Again.

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