I due francesi vanno via che noi ci stiamo ancora stiracchiando e non sentire nemmeno una voce femminile mi suona strano.
Oggi dovremo fare i km che non abbiamo percorso ieri, quindi si rispetta la guida e dobbiamo arrivare a Santo Domingo della Calzada, ovvero circa trentamila metri più ad ovest.
Bene, il cielo è limpido nella sua aurora ma l'umidità si fa sentire e i diciotto euro a testa spesi per non dormire all'aperto hanno una valenza maggiore.
Faccio un paio di foto quando usciamo, il sole se ne sta ancora basso sull'orizzonte e sembra un piccolo buco bianco nell'infinito rosa sfumato del mattino.
Andiamo al bar del giorno prima e, sorpresa, bevo un caffè ottimo e cremoso, mi complimento con il tizio e poi esco fuori a fumare una sigaretta con Luca e Jo. Su uno dei tavoli esterni facciamo le prime chiacchiere con un coreano che abbiamo visto spesso nei giorni passati. Un tipo simpatico, con uno zaino particolare che sembra da alta montagna, almeno per quello che uno nato sul mare può capire di alta montagna.
Quando siamo tutti pronti, lasciamo il coreano ancora seduto e, con varie strette di mano, lo salutiamo.
Costeggiamo per un po' la strada asfaltata, poi ci inoltriamo nella più familiare e naturale pista in terra, facendo una sosta per delle foto idiote.
Avete presente quei cartonati che uno si mette dietro e di suo ha solo la faccia mentre il resto è dipinto o stampato sul cartonato stesso?
Ecco, in genere c'è dei supereroi o, nei parchi a tema, di qualche personaggio inerente. Qua invece c'è un pellegrino medioevale, con tanto di bisaccia da cui sgorga vino, nell'intento di bere, ovvio è pubblicità per una cantina del luogo.Luca e Jo in effetti sarebbero dei perfetti testimonial quando, a turno, li inquadro per la foto.
Dopo nemmeno altra mezz'ora di cammino,circondati da vigneti e sopraffatti da un cielo il cui azzurro è sempre più intenso, raggiungiamo uno degli ormai noti furgoncini tipo porchetta ma che di porchetta non sono.
Ollallà, e cosa sta fumando il tizio che lo gestisce? A Luca e Jo si illuminano gli occhi, i miei invece sono tipo luci stroboscopiche.
E insomma eh...e quindi... beh ti tratti bene per essere in una sperduta pista di terra battuta dai trattori sotto il sole.
Credo che i nostri sguardi traducano in morse quello che stiamo pensando, tanto che il tipo condivide con noi la sua"allegria".
Ed è contagiosa, maremma cane se lo è.
Sopratutto quando siamo raggiunti da un gruppetto di giapponesi e uno di loro canta con convinzione e sentimento una parte, la più difficile, di O'sole mio.
Esplosione di applausi, brindisi vari con caffè birra e acqua e poi si riparte.
Raggiungiamo Najera, ipotetica meta di ieri, dopo esser passati per il Poyo di Rolando, una collina che dà il nome alla leggenda omonima.
Mi/vi risparmio la scrittura/ricerca: Il poyo di Rolando
l'ingresso in città è preceduto da una via periferica dove prendiamo da mangiare in un supermarket, poi la stessa via ci conduce verso un ponte pedonale sotto il quale, sdraiati sull'erba fresca, consumiamo i nostri panini cullati dal mormorio del fiume davanti a noi.
Molto pericoloso, la pennica, quella subdola maschera della pigrizia postprandiale, è sempre in agguato, quindi alzarsi e attraversare il ponte per proseguire.
Alle spalle di questo paese c'è uno scialle di colline rosse come ocra che sembrano il set per un film di Sergio Leone, tanto da farmi fischiettare l'aria di '"Per un pugno di dollari".
Mentre mi diletto e camminiamo verso l'uscita di Najera, una tipa quantomeno singolare mi si avvicina e chiede dove sta un supermarket.
Le do qualche indicazione poi, dato che si presenta come una irlandese, lascio la palla a Jo, qualcosa mi stona di questa tizia.
In effetti è lei ad essere stonata, ma ce ne accorgiamo dopo, quando abbiamo già accettato di farla camminare con noi.
Non smetterà mai di parlare fino all'arrivo a Santo Domingo della Calzada, ma io me ne starò alla larga facendo gran parte del tratto da solo, andando avanti incastrato nei miei viaggi mentali.
Ad un certo punto Jo trova la scusa per mollarla agli altri, dicendole che deve aspettarmi visto che mi sono fermato causa pipì molto lunga.
Quando lo raggiungo mi guarda quasi pregandomi di non lasciarlo ancora con lei.
In tutto questo passiamo davanti a una sorta di palo, leggendo poi la guida scoprirò che era usato per legarvi poco simpaticamente i condannati a morte nei secoli scorsi.
Quindi per un tratto siamo io e Jo, mentre Paul e Luca si cibano le chiacchiere senza senso della tipa. Pare che volesse anche occupare la Casa Bianca con la bandiera irlandese.
Con Jo ci fermiamo per una pausa in un tratto campestre ricco di incroci e deviazioni a volte fuorvianti, lo facciamo all'ombra di un unico albero davanti a balle dorate ammassate una sull'altra che sembrano condomìni di fieno.
Ne approfitto per farmi un paio di foto, intanto João lo vediamo avanti, un minuscolo movimento all'orizzonte s'una strada che, in lontananza, diventa un filo sempre più sottile.
Paul e Luca sono dietro con la stordita, ma non tardano molto ad arrivare, e quando lo fanno io riparto.Ho questo difetto, se non sono in sintonia con una persona è lampante come un faro nella notte, non posso farci nulla.
Mi confermeranno poi che hanno valutato qualsiasi soluzione per levarsela di torno, compresa quella di farla fuori e gettarla in un fosso, ma non sarebbe stato nello spirito del Cammino.
Insomma, alla fine arriviamo alla meta giornaliera, con João che ha preso i posti per tutti, io piazzato secondo e gli altri a seguire dopo una mezz'ora.
Faccio un giro per l'albergue che è un'ottima struttura, dotato di più piani, con bagni separati per le donne e gli uomini, una grande cucina e un bel giardino dove si può fare il bucato e rilassarsi.
A proposito della cucina, guarda un po' chi c'è. Già, proprio Adrian, il cuoco della sera prima che stasera farà da mangiare per una trentina di persone, a pagamento però.
Praticamente lui tira su i soldi in questo modo, ha un cartello attaccato allo zaino che recita più o meno così.
"Sono un cuoco, se vuoi posso cucinare per te che sei pellegrino"
Si parte dall'aperitivo fino al dolce, per la somma di dieci euro a persona, chiaramente l'acquisto delle cibarie è compreso.
Fatti due conti, questo tipo si è guadagnato quella sera più di duecento euro, niente male per fare una cosa di cui si ha passione.
Noi ci cuciniamo da soli, a far la spesa vanno João e Paul, mentre Luca e Jo escono a cercare quell'allegria della mattina.
Ovviamente entrambe le missioni vanno a buon fine, e so che sarà una serata impegnativa questa.
Praticamente io non esco dall'albergue, tra una lavata di magliette e una mezza pennica attendo buono buono che sia ora di cucinare.
Alle 22 la cucina deve esser lasciata pulita e si chiude ma, questa sera, Adrian ha monopolizzato fornelli, forno, bombola del gas e accendini, quindi facciamo un po' tardi, però l'hospitalero vista la situazione ci lascia finire ben oltre l'orario canonico. Tra l'altro Luca e Jo hanno appuntamento con un rasta proprio a quell'ora, quindi mettiamo in scena una pantomima per farli uscire a quell'ora.Praticamente Jo fa finta di aver dimenticato il telefono in un bar, in seguito, molto in seguito, questo avverrà realmente.
L'irlandese è così calato nella parte che inizia a recitare quando siamo ancora in tre, oh Jo guarda che non devi convincere noi, aspetta un attimo.
Ad ogni modo la cosa funziona, così dopo aver mangiato e fatto i piatti scendiamo nel giardino a provare l'allegria del rasta.
Troviamo anche il "franzoso" cuoco, con il quale diventiamo cinque coppie di polmoni, e meno male aggiungo.
Questa non è allegria, è devastazione, ma di quelle buone, tant'è che con il cuoco inizio un discorso in inglese che non so nemmeno io dove mi ha portato, però rimango meravigliato da quanto ho usato bene la lingua di Albione.Al punto di obbligare la mia memoria vanga a non dimenticare la mia performance.Oh, son soddisfazioni eh.Ancora adesso rammento quella capacità di percepire ogni cassetto del mio cervello aprirsi alla mia necessità, non ho sbagliato un verbo o una parola.
Il problema arriva quando decido di salire e tornare al secondo piano nella camerata con Jo che segue la luce del mio cellulare come un cane molecolare e che, nonostante questo, dà una tibiata antologica su uno scalino.
Soffoco una risata che avrebbe effetti devastanti sul sonno degli altri, e con altri intendo almeno mezzo isolato intorno all'albergue, poi, prima di cadere nel nulla del sonno, sorrido soddisfatto per le ultime parole che ho detto ad Adrian prima di andare.
"Oh franzoso, ti saluta Materazzi"
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