martedì 11 novembre 2014

"E se fossi suo figlio?".Da Logrono a Ventosa. 24 settembre.

Stamattina ce la prendiamo comoda, quando mi alzo saranno le otto scarse e Luca è ancora un tutt'uno con il sacco a pelo.
Mi preparo e sistemo lo zaino, poi vado nella camerata dove Gracia e Alicia stanno ancora dormendo. Cerco di non svegliarle quando le bacio per salutarle, invano.
La maggiore, Gracia, apre due bei occhi scuri che diventano subito umidi, non vorrebbe che partissimo ma anche lei deve tornare a lavoro nella sua città, Valencia.Mi abbraccia forte, poi tocca alla sorella scendere dal letto e sussurrarmi parole buone.Dico agli altri che li aspetto fuori, anche Federika partirà oggi per far ritorno a Berlino e insieme scendiamo le scale per farci una sigaretta all'aperto.
I ritardatari saranno Luca e Jo, con quest'ultimo non messo benissimo sui polpacci, nel frattempo il portoghese e il catalano raggiungono me e la berlinese insieme alle due sorelle.
Attendo qualche altro minuto, poi informo João che intanto andrò avanti.Abbraccio le tre donne senza mostrare una commozione che invece sento salimi fino alla gola.Non è un addio, da qualche parte, in qualche tempo futuro, ci rivedremo.
M'incammino senza voltarmi, dopo una ventina di metri sento Federika che mi saluta nel modo in cui mi ha chiamato la prima volta, Feibi, aggiungendo "no pain, no gain".Senza sofferenza non c'è ricompensa, una delle prime cose che le dissi mentre camminavamo.
Devo girarmi e aprire le braccia, dopo aver mandato un bacio in quest'aria spagnola poi, quello che vedranno, sarà solo uno zaino con le gambe che si allontana.
L'uscita dalla città non è semplicissima, devo chiedere almeno tre o quattro volte prima di vedere qualche freccia o conchiglia. Non è semplice ma porta verso un parco appoggiato intorno a un lago, faccio foto a papere, anatre e cigni, attraverso un breve tratto che sembra un bayou della Louisiana, con rami d'alberi inzuppati nell'acqua e gracidare di rane sparso nell'aria, infine raggiungo una sorta di chalet dove mi fermo per un'oretta buona.
Oggi il mio umore è altalenante, per questo ho deciso di fare questo primo tratto da solo.
Ad ogni modo, dopo una buona colazione, una visita al bagno e una sigaretta, mentre attendo che il mio telefono mandi un video a Simona, conosco un signore di circa ottant'anni.
Se ne sta seduto sulla veranda esterna dello chalet, quando gli passo vicino mi augura Buen camino, così è inevitabile fare due chiacchiere.
Si presenta dicendo che il suo nome non è usuale, si chiama Amable, e continua affermando che cerca di portarlo con giusta causa, parlando e passando il tempo con i pellegrini che fanno pausa li.
Non ricordo di dove fosse, ma si è trasferito a Logrono parecchi anni fa e non si è più mosso, anche perché la moglie non ama mettere il naso oltre qualche km di distanza.Il suo Cammino è li, fermo nel movimento degli altri, lo assapora in questo modo, chiedendo da dove si è partiti, che tempo si è trovato, dove si intende arrivare e da quale parte del mondo si proviene.
Voglio farmi una foto con questo nonno, a cui somiglio un po' per via del candore delle nostre barbe, accetta con piacere, poi faccio per salutarlo e rimettere le mie cose nello zaino quando arrivano gli altri quattro.
Ok, ora camminiamo insieme, nonno Amabile mi ha dato la giusta positività.
Rimetto giù lo zaino, tra un bocadillo e qualche foto che Jo vuole con me passiamo altro tempo su questa riva di lago sotto un sole quasi estivo.Conosco anche un altro irlandese sopra i settanta che si fa sciogliere un gelato in mano per quanto parla.Mi racconta di suo padre, che è stato in non so bene quale campo di battaglia nella seconda guerra mondiale, e mi fa ricordare mio nonno che se l'è fatta in Grecia, e di uno zio di mio padre, di cui ho ancora le lettere spedite dai campi di prigionia alla moglie.
Queste chiacchiere mi fanno sentire fortunato ed è con questo spirito che riprendo lo zaino invitando gli altri ad andare.Oggi dovremmo fare una trentina di km e siamo praticamente appena usciti da Logrono.
Ricominciamo tutti con qualcosa nello stomaco e affrontiamo una pendenza niente male, poi ci avviciniamo a Navarrete costeggiando una rete metallica a lato dell'autostrada, piena di croci in legno lasciate da chi ci ha preceduto. Io e Jo siamo poco più avanti degli altri, ne approfitto per riprendere la storia che mi raccontò quella notte a Pamplona.Voglio sapere di più, la Storia, perché anche quella lo è, mi attira da sempre e la sua, di storia, ha tutta l'aria di poter essere una parte del mio diario di viaggio.
Prima di iniziare con le domande gli chiedo se potrò scrivere quello che mi ha detto e dirà, è una forma di rispetto che avrò con tutti coloro i quali mi racconteranno una parte della loro vita.Come tutti,mi dirà di si ma stando attento al modo.Alcune ferite, per un popolo, è difficile si rimarginino.
Mi racconta dei suoi anni dai 15 ai 18, di come sia stato partecipe di quella protesta e in che maniera, di quando è stato arrestato e dei tre anni di galera.Delle botte subite ogni giorno nelle carceri di Belfast, e del suo silenzio.La mia memoria fa gli straordinari, non posso dimenticare una testimonianza del genere, seppur assimilata in inglese.
Ancora oggi, ho negli occhi quelle centinaia di metri dove abbiamo camminato e parlato.
Interrompiamo le chiacchiere quando gli altri, allungando il passo, ci raggiungono e, insieme, raggiungiamo i resti di un hospital per pellegrini del 1100.La località si chiama San Juan de Acre, poco dopo entriamo in Navarrete.
Visitiamo la chiesa del paese poi, a causa di due polpacci ormai rossi come ferro in una fornace, portiamo Jo in presidio medico.
Paul fa da traduttore e Jo viene portato in una stanza dove avrà due iniezioni.Quando usciamo dal posto, decidiamo di buttarci su un prato a mangiare qualcosa.Sono quasi le sedici quando riprendiamo, Jo sta meglio ma non alla grande, Luca ha sempre male ai tendini e io dico sempre cazzate lungo il cammino.
Usciamo dal paese passando a fianco al cimitero dove fuori, seduti su una panchina, c'è una coppia che abbiamo già incrociato nei giorni passati.Lui ha appena preso una chitarra e João ci fa ascoltare un fado portoghese, dopo averli ringraziati e fatto un video c'incamminiamo ancora.
Ci rendiamo conto che si sta facendo tardi e i due "malati" non possono andare più veloce, così decidiamo di non raggiungere Najera ma fermarci a Ventosa.
Buco di nemmeno 100 anime, è un paesino dove c'è un unico albergue che raggiungiamo verso le 18.Io entro un attimo, poi lascio parlare João e Paul con chi lo conduce, attendendo fuori insieme a Jo e Luca stravaccati in strada.Sono esausti e la notizia che ci arriva non migliora le cose.
Tutto pieno dicono il portoghese e il catalano.
Ok, andiamo a comprare qualcosa da mangiare, faccio io, ma no, l'unico posto dove vendono qualcosa è questo albergue e non può venderci nulla se non abbiamo il posto letto.
Cazzo cazzo cazzo! Non abbiamo da dormire e nemmeno da mangiare? Ma che minchia vuol dire?
Calma, ci vuole calma, dico a João se può andare a sentire il parroco della chiesa, magari è parente di quello a Bayonne e ci aiuta.
Ok il portoghese parte e torna dopo una decina di minuti.Una cattiva e una che può(attenzione, può) esser buona, ci dice a proposito delle notizie che porta.Dai, iniziamo con l'amaro, sputa João!
Il prete non c'è, viene una volta a settimana, dice.No dai, è una presa per il culo vero?Cioè qua oltre a non avere un alimentari e far la spesa la mattina dall'ambulante che alle nove ne va, hanno pure il prete a turni?
Chiaro che oggi non c'è, bene andiamo con l'altra, ovvero una tipa che affitta una casa privata, cinque persone 90 eurozzi.
Ma siamo a Ventosa o a Tortuga, chiedo io facendo riferimento a un'eventuale benda su un occhio tipica dei pirati, a causa del prezzo.
Qui inizia un conciliabolo se accettare o meno il ricatto e Luca,chiaramente, propone subito di dormire fuori.
Fuori eh, bello, di sicuro con un certo romanticismo peones, e anche da pellegrini maledetti, ma vaffanculo c'è un'umidità che domattina dovremo usare le istruzioni per rimontarci le ossa.
Esprimo così il mio pensiero a riguardo, e poi fuori dove, che nemmeno una stalla vediamo in giro.
Arriviamo al punto che la questione merita di esser dibattuta davanti a una birra, così andiamo nell'unico bar del paese, dove tra l'altro c'è il contatto con la pirata.
Jo, davanti alla bevanda bionda dice che paga tutto lui, noi ci opponiamo fermamente, poi la votazione decide che prendiamo la casa.Ora resta la questione cibarie.
Il bar fa da mangiare, ovvio, ma spendere altri dieci euro a persona ci riesce dura.Porto Paul con me, a cercare qualche autoctono che ci faccia da tassista fino al paese precedente, così da far spesa e dare qualcosa per il disturbo.Niente, nemmeno in Io Sono Leggenda c'è questa difficoltà, ma siamo a Ventosa, paese di cento anime in estate.
No,nel caso qualcuno non lo ricordi.
Torniamo dentro senza buone notizie poi, a me, il concetto di essere discriminato in questa esperienza non va giù, ma proprio per niente.
Guardo gli altri e dico loro che torno all'albergue per chiedere spiegazioni, di aspettarmi per andare nella (presumibile) topaia che ci hanno affittato.
Lungo il breve tratto monto la famosa faccia da culo, quella che in certe occasioni viene utile.
Entro nell'albergue e trovo i due coniugi proprietari e la tizia di mezza età che presumo lavori lì. Parlo con lei, in inglese le chiedo di voler comprendere il perché, senza tono polemico ma con gentilezza.Risponde che per legge non si può, che comunque devo chiedere all'uomo presente. Uso un italiano lento e frammenti di uno spagnolo acquisito in questi giorni, ovvero il nulla.
Mi risponde che non può vendermi da mangiare perché non ha licenza, e fa capire che in paese potrebbero fare una spiata al fisco.Da buon italiano comprendo che la spiata potrebbe venire solo da chi guadagna dando da mangiare ai pellegrini, ok tutto chiaro.
Al primo tentativo, dove propongo di uscire con la merce nascosta o di passare con il favore delle tenebre, mi va male, anche paventando la leggendaria omertà italica.
Mhh, ok dov'è la faccia da culo? Eccola qua, riprovo e stavolta mi gioco il jolly come in Giochi senza Frontiere.
Guardo il tizio baffuto che continua a scuotere la testa in un diniego poi, quando parlo, ferma il suo mantra negativo.
"Ma se io fossi suo figlio, e avessi fame, sarebbe contento se mi negassero la possibilità di acquistare del cibo?"
Questo volevo dire ma, alla parola fame, lui comprende il senso e,con le mani poggiate sui fianchi, fissandomi, dice "prendi quello che vuoi, va bene".
Torno di corsa al bar, raccatto Luca e il mio zaino, faccio cenno agli altri che va tutto bene, loro mi guardano come se avessi le squame sulla pelle e il naso da ornitorinco, andiamo di nuovo dal tizio, prendiamo pasta, sugo pronto e pane, il tipo ci fa anche lo sconto, lo abbraccio come si abbraccia un padre e vedo i suoi occhi inumidirsi, nascondo il cibo nello zaino come un trafficante colombiano e, finalmente facciamo ritorno al bar.
Il tutto in sette minuti scarsi.
Al tavolo, gli altri tre attendono perplessi una spiegazione, io taglio corto dicendo a João e Paul di attivarsi per la casa, qua ci sono troppe orecchie indiscrete e l'inglese lo possono capire.
Con Jo e Luca rimaniamo a finirci la birra e dopo una ventina di minuti andiamo anche noi alla probabile topaia.Spero solo che almeno ci sia una cucina decente e pulita, se poi dovremo dormire in terra, amen, almeno abbiamo un tetto sulla testa.
Mentre elucubro in questo tardo pomeriggio spagnolo, João mi fa una telefonata. Hanno incontrato due ragazzi francesi che dormono fuori e ha detto loro che possono accamparsi nella topaia. Ovviamente dico che va bene, e incontriamo questi due "franzosi" lungo la strada che vanno a prendere qualcosa da mangiare dal baffo.Uno di questi due può acquistare, dato che ha il posto letto nell'albergue.
Ok, ci vediamo tra poco,faccio io, e intanto João ci viene incontro con un sorriso che sembra finto. Bene, la casa non è una topaia ma bellissima, ha due bagni, una cucina enorme e letti comodi, un giardino con amaca su cui si affaccia una vetrata che racchiude una sala dove mangeremo, pavimenti in parquet e muri a vista come le travi sul soffitto, un grammofono, libri e un arredamento davvero bello completano il tutto.
Che culo!
E uno dei due francesi cosa fa nella vita?Il cuoco!
Doppio culo, indubbiamente.
O è il Cammino a premiare la positività?
Risposte che ora non ci interessano, siamo contenti, facciamo una doccia rigenerante e Adrian, il cuoco, intanto cucina, c'è anche un'argentina a cena con noi, ma lei dormirà in albergue.Per ospitalità, durante la cena, ascolteremo in sottofondo i Gotan Project.
Passiamo una serata rilassante, a me vengono in mente Francesca, Gracia, Alicia e Federika, sarebbe stato perfetto con loro, anche se a noi maschietti sarebbe toccato dormire in terra, ma ci sono coperte in abbondanza e, se avessi potuto, avrei preferito così.
Mi viene in mente anche Mike, e Gilberto, e Sua e Pierpaolo, persone che mi hanno dato della buona energia, da cui ho ricevuto più di quello che mi sarei aspettato, che sebbene abbiano il loro cammino, egoisticamente vorrei camminassero ancora con noi.
Laviamo i piatti e poi ci fiondiamo nei letti, almeno chi può.
Prima di farlo, mi fumo una sigaretta davanti a una notte fresca e stellata.C'è un silenzio surreale e il fumo che espiro è l'unica forma di nuvola nell'aria ferma.
In quel momento, mi trovo a sorridere al buio per quello che sto vivendo.

On air






2 commenti:

Unknown ha detto...

Il racconto coinvolge, il tango travolge...bravo!

Pilgrim ha detto...

In realtà è il Cammino che avvolge e sconvolge il modo di pensare e vivere.
Baci.