Luca ovviamente no.
Ci prepariamo con calma, una calma che non mi soddisfa dato che ho terminato di lasciare posti per raggiungerne altri, però sono, in qualche modo, sereno.Il cammino mi ha insegnato che bisogna accettare quello che viene, non passivamente ma, appunto, serenamente.Sapevo che mi sarei fermato e immaginavo che avrei dovuto farlo lasciando andare delle persone a cui sarei stato legato, quindi è giusto così.
Usciamo dall'ostello per fare colazione al bar sotto di esso, anche qui ce la prendiamo comoda e, una volta terminata, io e Luca ci mettiamo fuori a fumare una sigaretta guardando passare la vita normale di una mattina qualunque a Burgos.Persone dirette a lavoro, ragazzi che vanno a scuola e ragazze strette in leggins che richiamano i nostri sguardi sul loro lato B.
Quando anche gli altri si sono rifocillati ci mettiamo in contatto con Francesca per andare a prendere subito i posti in uno dei tre albergue.Il municipale non accetta persone che abbiano già pernottato una notte, tranne per casi medici, quindi andiamo direttamente a uno poco distante, da sedici posti letto e al centro della città.Il tizio che ci accoglie ci chiede cinque euro e si mette a cantare una canzone di Julio Iglesias con la chitarra.Il posto è al secondo piano di un edificio dove sotto c'è una piccola chiesa, lasciamo i nostri zaini vicino ai letti e poi usciamo per due passi nella mattinata spagnola.
Questa è una gran bella città e ricordo perfettamente i posti che ho visto nel 2005, quando seguii il cammino in auto insieme a una persona, fu un viaggio speciale, che contribuì a rafforzare il desiderio che già avevo di farlo, prima o poi, a piedi.
Il poi è giunto, e quando l'ho deciso è stato inaspettato, avrei potuto farlo negli anni precedenti, ma giungo alla conclusione che le cose arrivano nel momento che devono e vanno via altrettanto.
Mentre viaggio con i miei pensieri ci avviciniamo alla piazza della cattedrale, le vie intorno brulicano di turisti, abitanti e, naturalmente, di pellegrini.Si riconoscono immediatamente, con le loro andature zoppicanti che non intaccano i loro sguardi contenti.
Entro in un negozio di souvenir e inizio a fare compere per gli amici che sono a casa, alle mie nipoti, che non vedo l'ora di riabbracciare, avevo già preso un paio di orecchini per entrambe nella giornata di Pamplona, Quel pomeriggio ero in giro con Francesca, come oggi del resto, ed ho quella strana sensazione che sia passato tanto di quel tempo insieme al fatto che, invece, sembra ieri.
Scelgo con cura quello che devo portare alle persone a casa, poi raggiungo gli altri che mi attendono nella piazza antistante la cattedrale.
Ieri siamo arrivati che l'aria era ancora umida di pioggia, oggi invece c'è un sole timido ma fa bene il suo lavoro.Lo penso quando alzo il naso verso le guglie di questa costruzione gotica che sembra il centro da cui parte tutta la città, i suoi marmi si innalzano e piegano come rami lavorati verso il cielo.Mi fermo ad osservare la punta estrema di una delle guglie, osservo i suoi gargoyle e le statue scolpite in bilico verso il precipizio sottostante.
Quando abbasso gli occhi, ho una visuale più terrena, dato che incrocio lo sguardo di una ragazza che riconosco subito.Si chiama Melody e ci siam visti, per la prima e unica volta da quando ho iniziato il cammino, nel rifugio a metà strada della prima tappa, quella che portava a Roncisvalle.Ero ancora con Pierpaolo, avevo già incontrato Mike e iniziavo ad odiare i caffè spagnoli.
Lei sarebbe rimasta nel rifugio per quella notte, la schiena non le permetteva di andare avanti e, quando la vedo, sono contento che sia arrivata fin qui.
Ci salutiamo con un abbraccio, poi mi presenta due ragazzi di Trieste, Matteo e Paolo, che fanno molto Apostoli come nome ma, in realtà, scoprirò che hanno i miei stessi vizi per cui la santità ci sarà preclusa.
Con loro ci sono anche Didie, un ragazzo di Torino che suona l'ukulele e Lucilla, in cammino con la madre.
Ogni volta che conosco un gruppo di persone, mi stupisco di come possa esser eterogeneo nella diversità di vite di ognuno.
Ad ogni modo, dopo una suonata di ukulele e due chiacchiere, ci dirigiamo verso una delle panchine nella piazza della cattedrale per una birra e qualche impressione sul cammino.I momenti passano via in fretta, arrivano altri pellegrini che, in un modo o nell'altro, qualcuno di noi ha conosciuto fin'ora, poi, all'improvviso, sento bussare alle mie spalle mentre sono impegnato in un discorso qualunque e, se non erro, dicendo qualche minchiata.
Quando mi giro, la prima cosa che penso è che il cammino mi ha voluto fare un ultimo regalo prima di lasciarmi tornare a casa, poi dico tutt'altro.
MACHECCAZZOCIFAIQUIGRANDEMIKEEEEE.
Già, è proprio lui, ancora vestito nel suo nero che dovrebbe farlo sembrare più magro e quel sorriso da ragazzone buono, con le sue vesciche ancora vive e doloranti e il suo inglese reso più duro dall'accento tedesco della sua terra.
Non mi vergogno affatto, ma avevo gli occhi lucidi di felicità quando ci siamo abbracciati, e nemmeno lui pensava di trovarmi ancora lungo questa via.Gli altri sorridono quando mi volto verso di loro, non sapevano nulla ma l'avevano visto arrivare alle mie spalle qualche attimo prima e hanno lasciato che la sorpresa fosse completa e inaspettata.
Gli chiedo di raccontarmi tutto, di quando è arrivato e di quanto si fermerà, di come è arrivato e, sopratutto, con chi ha diviso il cammino.
Risponde alla mia sequenza di domande tra una risata e l'altra, poi mi dice grazie.
Il mio sguardo diviene interrogativo, grazie di cosa, e già penso che la mia MV stia partecipando alla festa ma viene mandata subito via dalla sua spiegazione.
Mi dice che ha avuto momenti duri, che le sue vesciche continuano a sanguinare, che ha dovuto fare qualche tratto in autobus pur non volendo e, un giorno, aprendo il suo marsupio, ha trovato il biglietto che gli lasciai la mattina a Zubiri, poco prima dell'inizio della terza tappa, quella verso Pamplona.
Go On Mike, Always Go On.
Continua spiegando che, quando l'ha letto, era in uno di quei momenti difficili che assalgono molti pellegrini, quelli in cui puoi pensare di lasciar stare, che forse puoi farlo in più volte e non necessariamente in una sola, poi, quelle poche parole lette in quel momento, gli han dato la voglia e la spinta di continuare.
Non riesco a trovare qualcosa da dire, riesco solo ad abbracciarlo e dire grazie a mia volta, e non so chi sto ringraziando se lui per avermi dato modo di conoscerlo, se qualcuno più in alto, se il cammino, se la mia volontà o semplicemente la carta che ha mantenuto quelle parole al sicuro.
Dopo questa botta di energia positiva dico che dobbiamo assolutamente mangiare tutti insieme a pranzo, e optiamo per un posto dove ci fanno ottimi hamburger, poi lui torna nel suo albergo, dove può riposare in una stanza privata e senza confusione, rimanendo d'accordo che la sera ci troveremo ancora, dato che sarà la mia ultima in mezzo a questo gruppo strampalato di persone che si sono trovate e accolte lungo una strada.
Il pomeriggio scorre via tra una dormita e incombenze varie, tra cui stampare la carta d'imbarco per il volo di ritorno e controllare i mezzi per raggiugere Bordeaux tra tre giorni.
Nel frattempo ci accorgiamo che i letti prenotati non sono i nostri, o almeno non tutti.Su quello dell'irlandese c'è sistemato un tizio che si porta dietro un apparecchio per aiutarlo a respirare.Una cosa grossa, tipo uno zaino, ma non indago oltre.Se fosse successo in una delle prime tappe, probabilmente avrei attaccato bottone e cercato di capire come facesse a fare il cammino in quelle condizioni, adesso non lo trovo adeguato.
Su altri due letti invece, ci sono pellegrini che non ho visto mai.La soluzione sarebbe di dormire in terra su due materassi e io mi propongo, dato che non dovrò camminare l'indomani.Gli altri due che saranno a livello suolo sono Francesca e Luca.
Quando, in stile Nick Carter, scendono le prime ombre della sera, cerchiamo di radunarci tutti per andare in un bar dove fanno una paella niente male.Troviamo, con messaggi vari, ognuno di noi che nel frattempo si era dedicato a un giro in città, a riposare oppure a leggere da qualche parte.
Tutti tranne Jo.
Dove cazzo sta l'irlandese che ha un telefono dell'epoca Cavouriana ed è nemico della tecnologia?
Non riusciamo a trovarlo per tutta la serata, benchè io, durante la cena, esca più volte a fare un giro nei dintorni, sbirciando in ogni locale che serva una birra.
Al ritorno all'albergue lo troviamo seduto nel bar sotto allo stesso, impegnato a consumare l'ennesima bionda.Dice che a un certo punto non ci ha più visto e non sapeva dove fossimo andati, non faccio vedere il dispiacere nel non aver mangiato insieme questa sera, ma gli propongo di fumare una sigaretta prima di andare a dormire.
Quando saliamo nell'albergue, le luci sono ancora accese, il trambusto leggero di chi si prepara per la notte è il rumore di sottofondo, insieme a lievissimi suoni provenienti dai cellulari di due coreani che per tutto il giorno sono stati sul letto a trafficarci sopra.
Dopo una lavata di denti mi accingo a prender posto sopra i due materassi sdraiati in terra, con Francesca nel mezzo e Luca dall'altro lato. ognuno imbozzolato nel suo sacco a pelo.C'è anche Didie, sistemato su uno stuoino e incastrato tra un tavolo e la parete, ridiamo entrambi per la sistemazione ma in questa esperienza ci si adatta a tutto.
Le luci vengono spente poco dopo il passaggio dell'hospitalero che ci augura la buonanotte e ricorda di riposare per via della camminata dell'indomani.Nel silenzio interrotto dalla ricerca della miglior posizione per dormire, io chiedo a Didie di suonare qualcosa con l'ukulele.
"Ma sarà il caso Fà?"
"Suona Didie, nessuno romperà le palle, fidati"
Francesca si accoccola sulla mia spalla, mentre io rimango a fissare il soffitto striato dal bagliore esterno che filtra dalle finestre socchiuse e Didie inizia a suonare.
Una di quelle melodie dal peso di una farfalla, note che sfiorano pianissimo l'udito, sonorità dai colori pastello, questa è la musica che quel piccolo strumento manda in giro per questa camerata da sedici letti.
Prima di addormentarmi penso che, dopo quella di mia madre, questa sia stata la miglior ninnananna della mia vita.
On air