giovedì 31 marzo 2016

Nuove conoscenze, nuove meditazioni.Da Reliegos a Leon.23 maggio.

Lasciamo l'albergue e il suo pavimento da galeone che il sole è già uscito per bene dalla coperta notturna.
Una colazione veloce e, come tutte le mattine da qualche mese a questa parte, un limone spremuto in due bicchieri d'acqua saranno il combustibile fino alla prima sosta.
Il paesaggio non varia molto e io attendo l'inizio di questa benedetta parte spirituale che inizierà dopo Leon, la nostra meta di oggi, a cui arriveremo dopo circa ventiquattro km.Seguendo la via segnata dalle frecce passiamo per Mansilla de Las Mulas impiegandoci poco più di un'ora e costeggiando per un tratto la nazionale, non sarà la prima e nemmeno l'ultima volta che camminiamo con le auto che sfrecciano a fianco in un curioso controsenso della vita.
Una breve pausa dove rivediamo per qualche minuto Carol, intenta anche lei a mangiare una mela, mentre noi ci accomodiamo su una panchina degli autobus a consumare la nostra frutta, prima di appesantire di nuovo le spalle con gli zaini e dare un saluto ai tanti anni americani.
Il paesaggio non è avvolgente come i boschi navarresi o ampio come le mesetas, la mano dell'uomo si vede e anche parecchio.Sebbene molti di questi paesi siano poco più che sputi di case, come se qualche betoniera avesse tossito i rimasugli di cemento delle grandi città, la cosiddetta civilizzazione ci appare di continuo con lingue d'asfalto, gas di scarico e benzinai che sembrano pietre miliari di una nuova era.Che non mi piace, aggiungo.
Ad ogni modo, cerco di isolarmi da tutto questo e di godermi comunque la passeggiata nell'andare a ritmo con gli altri.
Prima di arrivare a Puente Villarente, un altro agglomerato di servizi moderni e nulla più, passiamo su un ponte che pare sia medievale, anche se ora sembra che l'età di mezzo abbia lasciato il passo all'età del presente.Ne approfittiamo per fermarci sotto alle sue arcate, sulla sponda del Rio Porma e prenderci una pausa di una mezz'ora buona.Via le scarpe e i calzini tecnici, piedi nell'acqua gelida e qualche video per ricordare i momenti.Mi cimento nella specialità del "sassopiattoasaltaresullacqua", nella quale sono campione di serate con gli amici in riva al mare dove abito.Anni e anni di preparazione e allenamenti fanno giungere uno dei sassi, rigorosamente piatti e ben bilanciati, dall'altra parte del Rio, simile a una ranocchia di pietra che salta da una ninfa all'altra.Scrosciare di applausi da Joao, Giacomo e dei due tedeschi incontrati nei giorni precedenti che, nel frattempo ci hanno raggiunto per godere anche loro di un po' di riposo.Solennemente ritiro il premio per il lancio più lungo.Una pacca sulle spalle dal portoghese.
Si è fatto quasi mezzogiorno, mancano ancora una dozzina di chilometri per l'arrivo a Leon, quindi riprendiamo la marcia continuando sulla statale e uscendo da questo posto che, tra gli alberi, ci ha comunque regalato dei bei momenti.Dopo il paese, una deviazione a destra ci fa passare sulla terra battuta evitando i pericoli delle auto e dei Tir e continuare fino a sfiorare un altro paesino e seguire il sole che, intanto, sta toccando quasi le tredici.Non facciamo pause, vogliamo arrivare a un'ora decente in città e, dato che il periodo è quello dove inizia l'affluenza, oltre al fatto che Leon è anche una meta da cui molti decidono di far partire il proprio cammino, trovare posti da dormire senza dover girare a vuoto come invece successe a Burgos l'anno prima.
Poggiamo i nostri piedi sul suolo di Leon che sono passate le quindici da poco, dopo aver passato il tratto industriale precedente alla città, passando sopra un cavalcavia perfetto per evitare il caos della circonvallazione.
Dove andiamo?
Giacomo dice che vuole dormire nel monastero benedettino, io e Joao, facendo spallucce diciamo che va bene, basta che ci sia un letto e, se possibile, una cucina.Ci sono entrambi,in camerate ampie e piene, come supponevamo, di pellegrini.Ci accoglie un'hospitalera italiana, che scopro venire da Edimburgo.In dieci secondi mi prenoto per essere ospitato da lei per una mia eventuale vacanza da quelle parti, in molto meno mi dimentico di prendere il contatto e la cosa sfuma come vapore di un the bollente.
Ok, prendiamo i posti, facciamo una doccia, una lavata ai calzini, mutande e maglietta, e ci prepariamo per uscire a dare uno sguardo alla città.Lo faremo separati dato che Giacomo si fionda alla cattedrale, Joao a chiacchierare con la sua donna olandese al telefono e deambulando come una quaglia senza meta e io invece quagliando una buona birra in compagnia dei due tedeschi rivisti in giro per le vie storiche della città.Cè un addio al celibato e al nubilato con persone vestite da qualsiasi cosa.Ci sediamo all'esterno di un locale con in cui mi son fatto trascinare da una PR con un sorriso da svenimento e uno sguardo che mi avrebbe venduto anche del ghiaccio in Siberia.Spunta fuori anche Etienne, il canadese di qualche giorno prima, e si unisce presentandoci un olandese alto quasi due metri fermatosi due giorni qui per farsi curare un dente.Un gruppo di ragazzi spagnoli, che non c'entrano nulla con il Camino, vengono da me a chiedermi se ho delle cartine.Hanno occhio lungo e sorriso che non lascia dubbi, regalo loro una decina di cartine lunghe e dopo poco mi arriva un cadeau dal tipo a cui le ho date.
"Hermano, para ti.Buen camino" mi fa strizzandomi l'occhio e io annuisco, non tanto per il regalo, che a molti non servirebbe e lo troverebbero inadeguato, ma per il gesto.Una mano sul cuore è il mio gesto per lui.
La birra finisce che arrivano anche Joao e Giacomo, quest'ultimo dice che non è potuto entrare in cattedrale dato che c'era un matrimonio o almeno credo dica una cosa del genere, visto che le sue parole sono sormontate dall'ordinazione di un'altra birra che i tedeschi offrono a tutti.
Rientriamo in albergue che ancora non vogliamo cenare, quindi usiamo il tempo per andare a controllare gli indumenti lavati e che ho appeso in una parte remota del cortile monasteriale.Ascolto, non volendo, anche dei discorsi di italiani mentre si recano a mangiare il menù del pellegrino.Sono ragazzi giovani e non so ancora che, con uno di loro, arriverò a Santiago.
Vado a cercare i miei due compagni di passi per uscire e vedere se vogliamo cucinare o mangiare fuori, propendiamo per la seconda ipotesi passando le due ore seguenti a un tavolo nella piazza davanti al monastero.Lo facciamo con la compagnia dell'inglesina oxfordiana e della ragazza dell'est conosciute il giorno prima.Dormono nell'albergo attaccato all'albergue, e ci invitano a passare la serata fuori con loro a divertirsi in questo sabato spagnolo.Dobbiamo declinare, anche se per un attimo valuto  l'ipotesi di dormire buttato da qualche parte fuori e lasciare le mie cose nell'albergue.Se ci fosse stato Luca probabilmente sarebbe andata così ma, con Joao e Giacomo, non avrei la spalla adatta a questa idiozia, quindi si passa il resto del tempo nell'attesa di rientrare, mentre il sole cala lento alle spalle delle costruzioni in stile western di questa parte di città.Tanto western che non mi stupirei di veder uscire qualcuno dei personaggi di Sergio Leone da uno degli edifici, con le balconate esterne sorrette da pali di legno, in stile saloon.Decidiamo di avviarci all'albergue dopo una cena passabile ma, comunque, condita da tante chiacchiere e risate con le due ragazze e, quando rientriamo, abbiamo ancora una mezz'ora prima di entrare in branda, quindi mi reco in bagno con spazzolino e dentifricio.Allo specchio incontro gli sguardi di altri ragazzi, sono gli italiani che ho sentito parlare.Un saluto schiumoso di dentifricio e iniziano le presentazioni.Si fanno le solite domande da pellegrini e poi mi si chiede di dare l'età a uno di loro.Un ragazzo di Roma, con barba lunga e qualche ruga leggera sugli occhi.Scatta la mia figura di merda, implacabile.
"Avrai un 35 anni, no?"
Trenta millisecondi di silenzio spettrale e poi gli altri ridono come se non ci fosse un domani, mentre lui mi guarda come se guardasse un cieco.
"Emhh, ne ho 22" mi risponde.
"Bene, pensavo di andare a fumare qualcosa prima di dormire, qualcuno vuol venire?"
Si propone Salvatore, uno che potrebbe essere il fratello minore di Luca, e Francesco, mentre il romano con i suoi tredici anni in più che gli ho affibbiato se ne va in camerata.
Lungo le scale che portano all'esterno raccogliamo anche un giovane irlandese e ci dirigiamo appena fuori il grande portone in legno dell'albergue.Preparo un pò di allegria con Salvo e Francesco che mi chiedono dove l'abbia trovata.
"Chiedi e ti sarà dato" rispondo io cpn una citazione biblica e sorridendo.
Fumiamo quel che basta a fare un giro completo per tutti, poi siamo richiamati dalla ragazza italiana che fa l'hospitalera, quella a cui dimentico di chiedere la mail per essere ospitato in Scozia.Quando mi appoggio sul letto c'è ancora un barlume di luce che entra dalla finestra dietro di me, ma il cigolio delle molle spezza quell'attimo di piacevole perdizione dei miei pensieri.Sdraiato e ancora circondato da brevi rumori di assestamento, mi accorgo che al centro del corridoio divisorio tra le file dei letti, un tizio sta seduto nella posizione del loto.
Ci rimane un tempo indefinibile, tanto che penso voglia dormire così per qualche problema al suo letto, invece sta meditando, e la sua alzata dal pavimento coincide con la mia abbassata di palpebre in favore di un sonno che, lentamente, prende tutti quanti.


On air


venerdì 11 settembre 2015

Al bar di Elvis siamo sulle giuste tracce.Da Sahagun a Reliegos.22 maggio.

Dopo i giorni delle partenze a due, passati con Giacomo, stamattina si parte in tre.Le ragazze spagnole dormono come se non ci fosse un domani e noi ci prepariamo per affrontare l'oggi che avanza lentamente nel cielo.
Scambiamo battute con Joao mentre prepariamo gli zaini e ci accingiamo a lasciare l'albergue per un tratto che dovrebbe portarci a Burgo Ranero.Dico dovrebbe perchè poi in realtà arriveremo da un'altra parte dove inizierò a percepire il Cammino quasi come l'anno scorso.
Ma andiamo con ordine.
Prima di uscire da Sahagun facciamo uno stop ad un alimentari per Joao e a un bar dirimpetto per me e Giacomo.Una colazione veloce con l'ormai ben conosciuto caffè e poi via, in questa fredda, ma fredda fredda eh, mattina di maggio.
Sono quasi le otto eppure ho le mani modello marmo di carrara e berretto di lana in testa, insieme a uno scaldacollo per evitare inopportuni mal di gola.
Non ricordo lo scorso anno un freddo del genere, pur essendo partito a settembre inoltrato e avendo fatto tappe con più boschi e montagne.
Ma il pellegrino cammina con ogni tempo e così facciamo noi, finchè il sole non si decide ad esplodere il suo calore alzandosi del tutto in quella lastra azzurra sopra la nostra testa e a farci riscaldare di un tepore che via via diventa sudore.
Intanto siamo già usciti da Sahagun passando per l'Arco di San Benito e oltrepassando il rio Cea sopra un ponte di pietra, proseguendo poi per la via che costeggia la nazionale fino ad un incrocio dove possiamo scegliere se andare dritti, puntando verso El Burgo Ranero, oppure girare a destra e prendere una vecchia "calzada" romana.Un breve conciliabolo dove facciamo anche una minzione adeguata all'ora, un controllo sulla mia guida in italiano e su quella inglese di Giacomo, per poi decidere di seguire la "calzada".
Sulle guide c'è scritto che sarà un tratto molto solitario, con solo un paesino tra noi e Reliegos, piccolo pueblo scelto come arrivo per questa giornata.Le guide non dicono che è molto più solitario e arido che non quello fatto per arrivare a Ledigos.
Ce ne accorgiamo quando, dopo aver attraversato un ponte sopra una ferrovia, iniziamo a camminare su una pista di terra battuta con un orizzonte fatto apposta per perderci gli occhi.Niente ombra, niente alberi, solo arbusti battuti dal sole e tre pellegrini che avanzano parlottando tra loro.Giacomo e Joao fanno conoscenza, mentre io mi defilo un po' per fare video e foto in questa tappa di sole e solitudine.Gli alberi in realtà ci sono, ma in lontananza ai nostri lati e quindi inutili con la loro ombra distante dal mio naso che si arrossa sempre di più.
Ci fermiamo a mattinata inoltrata, per fare una seconda colazione trasformata in pranzo, nel patio esterno di un albergue a Calzadilla de los Hermanillos, nel quale, dopo poco, ci raggiungono anche le due ragazze spagnole della sera prima.Io do indicazioni a un'altra ragazza che passa da quelle parti, dicendole che deve fare riserva di acqua, dato che non c'è altro fino a Reliegos.Viene dall'Est Europa, forse Russia, e mi ringrazia tanto per averle dato questa dritta che poi tanto dritta non è, voglio dire, basta guardare le guide.
Ad ogni buon conto, riprendiamo la camminata lasciando le due spagnole ancora a mangiare e la tipa russa a fare una pausa.
Joao inizia a fare illazioni sul mio vero scopo nel dare indicazioni alla russa, di li a poco inizierà un tormentone che ci accompagnerà per il resto del cammino e, nei giorni seguenti, si tramuterà anche in un soprannome per Giacomo.
L'italiano di Joao è un fluire calmo di parole che mi fanno ridere, a volte, per come sono pronunciate.
"Smeti de enganare donne con la tua faccia, BarbaBianca.Tu pensare sempre a PIM-PIM-PIM"
In realtà io ci penso come ci pensa qualsiasi altro essere umano sulla terra e, per tutto il cammino, anche avendo delle occasioni, non dormirò mai con una donna, anzi sono stati altri a tornare con un regalo del cammino sotto forma di compagno/compagna o addirittura figlio.
Passiamo il tempo così, inframezzandolo con discorsi seri e altri meno o cercando un mezzo metro quadro di ombra data da un arbusto per fare una sosta di qualche minuto.E i km passano, a tratti silenziosi, altri più scherzosi e ridanciani, altri ancora ognuno con il suo passo e distante dagli altri.
In questo nulla che sembra infinito, una piccola figura, davanti a noi di qualche centinaio di metri, avanza tranquilla come se non esistesse caldo e stanchezza.Quando ci troviamo più vicini da poterla distinguere io e Giacomo riconosciamo la signora che assomiglia a mia madre tra dieci anni.Diamo veloci ragguagli a Joao sulla persona e, quando ci troviamo al suo fianco, la salutiamo con il rispetto che si deve a prescindere verso una donna della sua età.Rispetto che aumenta quando pensiamo che si sta facendo da sola tutta questa strada e, per di più, scegliendo i tratti più isolati.Scopriamo che si chiama Carol ed è americana, facciamo qualche decina di metri con lei, chiaramente rallentando il nostro passo, per poi continuare augurandole Buen Camino.
Quando ci allontaniamo, come è capitato la volta scorsa, continuo a girarmi ogni tanto, finchè di lei non rimane che un minuscolo punto in lontananza alle mie spalle.Nel frattempo arriviamo quasi alla fine della tappa, passiamo in mezzo a un'area di riposo costituita, in un breve avvallamento del percorso, da un paio di boschetti ai lati della strada, per poi risalire ancora verso il sole nudo nel cielo e continuare per un paio di km fino ad arrivare all'inizio del paese.Poco prima eravamo rimasti interdetti per qualche minuto in presenza di una biforcazione dove non vedevamo frecce a segnare il percorso.
Raggiungiamo l'albergue municipale e prendiamo posto in una camerata il cui pavimento in legno scricchiola come il ponte di un galeone durante una tempesta.Il passaggio tra i letti, inoltre, è stretto e trovare posto per lo zaino diventa impresa non facile.Di fatto, se avessimo qualche cannone alle finestre, sarebbe proprio il sottocoperta di una nave dell'Invicible Armada.
Facciamo una doccia dopo la quale io mi astengo dall'andare a fare la spesa per la cena, cosa che faranno Joao e Giacomo, e decido per una birra in un bar del paese.Nel frattempo abbiamo anche avvisato l'hospitalero della presenza di una donna con una certa età incontrata lungo la tappa, leggermente preoccupati di non averla ancora vista arrivare.Il tizio ci dice di non temere e, nel caso il ritardo si faccia più evidente, che ci penserà lui ad avvisare chi di dovere.
Il pomeriggio è ancora caldo quando esco dall'albergue e incrocio una ragazza con una treccia da Pocahontas e un sorriso d'avorio quando mi saluta in un inglese oxfordiano, per poi entrare nell'albergue.Non ho nemmeno il tempo di formulare un invito a cena alla tipa che l'hospitalero mi attacca discorso snocciolando aneddoti e mostrandomi un libro sul cammino.
Mi lascia andare dopo avermi spiegato che il cammino è diviso in tre parti: Fisica, Mentale e Spirituale.
La prima è da SJPDP a Burgos, la seconda da Burgos a Leon, la terza da Leon a Santiago.
Effettivamente ci sta come spiegazione, anche se la parte fisica io la sparpaglierei lungo tutti i 920 km che conducono a Finisterre partendo da quel piccolo paesino francese.Conclude il suo discorso facendomi presente che già da domani il paesaggio cambierà e sarà meno noioso, le mesetas sono praticamente finite.
Ad ogni modo, dopo averlo salutato, mi faccio una passeggiata verso quello che sembra il centro del paese, sempre che ci sia un centro in questi agglomerati di case che sembrano dimenticati da Dio se non fosse per quelli che indossano uno zaino e giornalmente vanno ad infoltire la popolazione, seppure per una notte.
Incrocio Joao e Giacomo che tornano con le vettovaglie e dico loro che li attendo al bar che vedo di fronte a me.
Almeno credo sia un bar, dato che l'edificio è di un azzurro cielo e su questo sfondo ci sono decine di scritte tra cui spicca Bar Elvis e, sulla facciata, al posto di due finestre murate ci sono due occhi pitturati.Quando entro il dubbio è fugato dal bancone e dal tipo che c'è dietro, si è un bar, ma molto particolare.Quasi surreale direi.
Pareti piene zeppe di scritte fatte da mani provenienti da ogni parte del mondo, bandiere di ogni nazione appese alle pareti insieme a magliette che pellegrini precedenti hanno lasciato qui.Dietro al bancone il tizio, che si chiama Sinìn, indossa un basco sopra una barba che viene da molto prima della moda hipster.Gli occhi pieni di vita e le labbra sempre a dire qualcosa, che sia una battuta o la strofa di un pezzo che si propaga nell'aria.La scelta musicale, chiaramente, comprende pezzi di Elvis ma anche di Jonny Cash.Al bancone ci sono le due spagnole della sera prima insieme ad altri due pellegrini, birra che va e che viene, posaceneri perchè qua si fuma e non si discute e tortillas da gustare prima con gli occhi che con il palato.
Faccio video a profusione, chiedo birre da offrire e preparo da fumare per tutti.Nel frattempo arrivano anche Joao e Giacomo, l'ora è ancora quella dell'aperitivo e ce lo gustiamo tra chiacchiere e risate.Di quelle che ti rimettono al mondo, che tolgono la fatica dalle gambe facendoti dimenticare il sudore della giornata e i pensieri della vita.
Il portoghese se la canta su "Walk The Line" e io passo da fumare, Giacomo invece fraternizza con le spagnole e ordina ancora da bere.
Me ne sto li, un po' tra i miei pensieri e tra quelli degli altri quando vedo una cosa che mi riporta al settembre scorso, che mi fa immaginare per un attimo di girarmi e trovare le persone di quel tratto di cammino a bere e scherzare. Con Luca, Paolo e Matteo a fumare insieme, Francesca a chiederci se le abbiamo dato tutto da lavare, Pol il catalano che parla amabilmente con qualche pellegrino appena incontrato, Joao con una chitarra in mano a suonare accompagnato dalle mani di Federika, Gracia e Alicia. Mike nella sua tuta nera e gli occhi che ridono e tutti gli altri che a settembre scorso hanno diviso i loro passi con me.
Anche se dura un momento, è una sensazione bellissima.
La cosa che mi regala quest'emozione è una maglietta attaccata al muro tra le tante.
Appartiene a Joey l'irlandese, che ha fatto il cammino per tanti motivi, tra cui quello di promuovere la lotta a favore dei bambini afflitti dal cancro, come recita la scritta sulla t-shirt.
Finora, insieme all'incontro con Joao, è stata la sorpresa più bella da quando son partito da Burgos.
Chiamo Joao e gli mostro la maglia, lui annuisce e sorride in una maniera diversa dalla mia, capisco che ha saputo lasciare andare i ricordi meglio di me, senza rimanerne, in qualche modo, intrappolato.
Ho comunque una botta di energia positiva in seguito a questo momento e ritrovo lo spirito giusto per assaporare gli eventi del cammino.
Quando torniamo all'albergue mando la foto della maglia ad Emma, la figlia di Joey, poi iniziamo a preparare la cena.In cucina, oltre a noi tre c'è anche un ragazzone olandese che cammina con una giacca di velluto verde e il resto dell'abbigliamento che sembra si sia trovato per caso sul cammino dopo che era uscito a compare le sigarette ad Amsterdam. Inoltre suona il mandolino e a Joao questa cosa piace come il miele agli orsi, quindi parte una jam session da parte del tipo con il portoghese a battere il tempo sul tavolo.
In tutto questo la tipa dell'Est incontrata lungo la strada si fa vedere in cucina e iniziamo a chiacchierare.
Quando mi chiede da dove sono partito le rispondo da SJPDP, quando mi chiede da quando rispondo da settembre scorso. Lo sguardo di lei rimane perplesso e io colgo la palla al balzo. Le dico che è da settembre e che sto facendo un km al giorno, per poi fermarmi e continuare il giorno dopo. Lei scoppia a ridere chiedendo conferma a Joao, il quale non conferma ma nemmeno smentisce.Rimango un po'basito dal fatto che la tipa possa credere a questo, basterebbe pensare che da stamattina i km sono stati ben più di uno da quando ci siamo incrociati, eppure lei non smette di ridere pensando che sia vero.
La coinvolgiamo anche nel cantare una tipica canzone russa facendoci compagnia durante i preparativi per il mangiare poi, all'improvviso, entra in scena anche la tipa Pocahontas che si rivela essere una ragazza inglese che sta facendo il cammino di corsa per non ho capito bene quale causa di beneficenza.
La cena passa così, tra me che ogni tanto dico alla russa " one km for day" e Giacomo che scambia parole con l'inglesina.
Ce ne andiamo a letto che  non è ancora del tutto buio, l'inglesina dorme ai miei piedi e la russa al suo fianco, la sottocoperta del galeone scricchiola ad ogni passo dei pellegrini che, alla spicciolata, arrivano per infilarsi nei sacchi a pelo.
Mi chiedo se va meglio e mi rispondo che, si, va meglio ma c'è sempre un "ma" da qualche parte dentro di me.

On air




domenica 23 agosto 2015

Fermi a metà del discorso.Da Ledigos a Sahagun.21 maggio.

La mattinata è fredda e il fatto di avere i bagni fuori non mi aiuta ad uscire dal bozzolo molto volentieri.Credo di avere la faccia mischiata dal sonno quando brontolo qualche buongiorno in tre-quattro lingue random a qualcuno che incrocio sul tragitto letto-bagno.Giacomo è già pronto, in realtà credo sia una sorta di reincarnazione di Paul dello scorso anno sotto alcuni aspetti.Il primo ad alzarsi, senza vizi, un'ipotesi di diventare frate in testa, però di sicuro con più esperienza di vita, anche per via  di un'età maggiore.
Ad ogni modo mi attende nel bar dell'albergue mentre io  raccatto le mie cose cercando di non darla vinta alla mia MV.Finora è andata bene, ma lo so che rimane sempre li, alle mie spalle cerebrali, in attesa di prendersi la sua vittoria giornaliera.
Dopo colazione ci mettiamo in marcia per quelli che oggi saranno solo 17 km di passeggiata fino a Sahagun, dove stasera m'incontrerò con Joao.
Nei giorni passati ho dovuto ripetere, ogni volta alle persone con cui ho parlato, che ho interrotto lo scorso anno per questioni di tempo, che devo incontrarmi con un portoghese conosciuto nella prima parte del mio cammino, che abbiamo deciso di finirlo insieme e tutto il resto.
Ognuno dei pellegrini mi ha detto cose del tipo "it's Wonderful", "nice man", "good idea" e così via, io spero che sia davvero così, che l'incontro con Joao mi riporti quell'impatto emotivo che finora non ho avuto.Questo è il quinto giorno di cammino e io, spesso, mi sento un pesce dentro un nuovo acquario.Riconosco i miei simili ma non conosco davvero nessuno di loro, come invece era successo l'anno scorso dopo nemmeno un giorno dal mio arrivo a Bayonne.
Con questi pensieri a far da motore alle mie gambe arriviamo a Terradillos de los Templarios in nemmeno un'ora.Altra sosta per la seconda colazione e poi via, di nuovo sulla strada che taglia i campi circostanti con precisione geometrica.
Prima di arrivare a Moratinos incontriamo una spirale fatta di pietre che mi fa tornare in mente quella dell'anno scorso, poco prima di Burgos che era, però, di dimensioni maggiori.Il paese ci accoglie con quelle che sembrano case degli Hobbit.Scavate sotto le colline e con un comignolo che esce dalla terra come fosse un fungo solitario, una porta incastonata tra fianchi di terra e nessun segno di vita.Io e Giacomo facciamo un giro intorno a queste strane cose che sembrano case, cercando di sbirciare all'interno.L'arcano ci verrà svelato nei giorni seguenti, in realtà sono una sorta di cantine degli abitanti del luogo, dove vengono conservate varie vettovaglie, presumo prosciutti vino e quant'altro.
Noto anche un'altra cosa, ovvero che la maggior parte dei paesi dove sto passando questa volta sono talmente piccoli da sembrare disabitati, sono poche le persone del posto che si vedono in giro, in compenso ci sono sempre le cicogne che finora non ci hanno giocato nessuno scherzo.Immagino che ricevere un "regalo" da parte loro sia come ricevere un uovo fresco in testa, solo che non è un uovo.
Comunque Moratinos ce la lasciamo alle spalle in un batter d'occhio, insieme alle sue case di mattoni impastati con paglia e argilla, dopo esser passati dietro la chiesa del paese e usciti dallo stesso seguendo le immancabili frecce gialle.Ancora qualche km e raggiungiamo San Nicolas del real Camino, dove facciamo un'altra pausa, seduti ad un tavolo all'aperto verso una chiesa che sembra la gemella di quella di Moratinos.Qui chiacchieriamo con un paio di pellegrini di cui perderemo le tracce praticamente subito e, a proposito di tracce, ci chiediamo dove siano Jost e sua moglie, senza averne, tuttavia, la più pallida idea.
Non siamo molto distanti da Sahagun, con un rapido calcolo mentale deduciamo che in meno di due ore dovremmo esserci, quindi non ci affatichiamo più di tanto a percorrere questi km che mancano, prendendoci il tempo per fare foto e dare sguardi più attenti in giro.Prima di arrivare alla nostra meta, passiamo su un vecchio ponte di pietra che conduce a un eremo poggiato in uno spiazzo verde, dove rivediamo un canadese con cui abbiamo passato il pomeriggio a Itero de la Vega insieme a Sean l'irlandese.Due chiacchiere con lui, uno sguardo all'eremo che però è chiuso e poi riandare, passando in mezzo a due colonne di pietra lavorate che, ad uno sguardo attento, delimitano la metà esatta del cammino.
Cazzarola. sono a metà, penso.Ho vissuto la metà delle emozioni che possono essere trovate su questa via e ho sentito la terra sbriciolarsi sotto i miei passi per 400 km.Sono a metà e vorrei vivere il resto come la metà precedente, ma sarà il cammino a decidere, non io.
Per arrivare al paese c'è ancora qualche km, una mezz'ora abbondante di cammino, al termine della quale entriamo in un pueblo che non è affatto disabitato, anzi, abbastanza grande rispetto a quelli degli ultimi giorni.Sean, con cui nel frattempo abbiamo condiviso questi ultimi km, dice che ne ha abbastanza e si fermerà in un Hotel all'ingresso della cittadina.Noi continuiamo verso l'albergue Domus Viatoris, dove prendiamo posto anche per Joao.
Una volta sistemata la branda, ci dedichiamo a una doccia e poi al bucato, nel frattempo Joao mi manda un sms dicendomi che ha dimenticato la sua Credencial a casa e mi chiede se qui la vendono.Si parte bene, mi dico con un sorriso mentre mi avvicino alla reception dove danno risposta affermativa.Quindi una volta svolto il mio compito non mi resta altro che fumare "allegria" fuori nel patio dell'albergue e, dopo qualche tiro, mi rendo conto di non essermi regolato nella mistura dato che andrò a finire dritto dritto sul mio letto per prendere un sonno profondo di circa due ore e mezza.
Quando apro gli occhi non trovo Giacomo, allora decido di andare a fare uno spuntino da qualche parte, scegliendo un pub stile irlandese dove mi serviranno un'ottima birra e un bocadillo.Chiaro che c'è anche Sean, con cui scambio, tuttavia, poche parole.Ritorno all'albergue e con Giacomo decidiamo di uscire ancora per cena, nel frattempo i messaggi con Joao continuano e rimaniamo per incontrarci nella piazza dove l'anno scorso lui ha dato la festa per la sua partenza con tutti gli altri.Festa di cui si vanta, dato che è stata la prima volta dove Pol, ovvero padre Pol come lo chiamavamo tutti, si è ubriacato.Saprò poi, da Francesca, che quella volta rientrarono nell'albergue alle 6.00 del mattino e iniziarono a camminare dopo pranzo.
Insomma riprendiamo la via che porta al centro, scendendo a fianco di un'arena che spero sia in disuso, almeno così pare.Arriviamo al classico posto dove c'è un menù per pellegrini, benchè sia, devo ammettere, un locale ottimo dove prendersi una sbornia, e ci ritroviamo i due tedeschi con cui avevamo bevuto una birra ad Itero.Si siedono con noi per mangiare insieme e attendere l'arrivo del famoso Joao, perchè ormai è diventato così.Nel frattempo, mentre consumiamo il pasto, chiacchieriamo delle solite cose da pellegrini.Dove pensano di fermarsi domani, se hanno visto quella chiesa o quel tratto particolare durante i giorni scorsi, se hanno notato che bel posto era quello tra le mesetas, dove hanno dormito nei giorni precedenti.Chiaramente le stesse domande vengono rivolte a noi di rimando.
Dopo circa un'ora, dove nel frattempo ho aggiornato Francesca del fatto che Joao sta arrivando, eccolo qui, passare davanti all'enorme finestra del locale che dà sulla strada.Tempo cinque secondi e mi trovo questo portoghese davanti dopo averlo visto, l'ultima volta, alla fine dello scorso settembre.Ci abbracciamo fraternamente, con quel senso speciale di amicizia che alcune esperienze contribuiscono a far nascere e cementare.Come di consueto mi chiama "Barbabianca", per ovvi e canuti motivi, io lo apostrofo con un gentilissimo e fine "A boia", prima di presentarlo agli altri e ordinare da bere per tutti.Ci facciamo una foto da mandare via Whatsup al gruppo dell'anno scorso.La bresciana risponde subito con un'emoticon dai lucciconi agli occhi, gli altri ci abbracciano virtualmente e ci dicono di andare avanti.A me sembra che, come dentro una stanza in penombra, dove posso a malapena intuire la disposizione delle cose, si sia accesa una piccola luce per darmi una vista migliore.La sensazione di aver quantomeno sfiorato quel famoso filo di cui cercavo l'appiglio nei giorni precedenti.Vedremo cosa accadrà andando avanti.
Nel frattempo dobbiamo andare all'albergue invece, dato che ci stiamo avvicinando all'ora della chiusura e Joao deve ancora prendere posto.Quando rientriamo, all'esterno nel patio, comodamente sedute e con un paio di coperte addosso per la temperatura rigida, ci sono due ragazze insieme ad un tizio che ci salutano offrendoci anche da bere.Decliniamo per il tempo che serve a Joao di sbrigare tutte le formalità come credenziale nuova e relativo primo timbro, poi lui e Giacomo se ne vanno a dormire, io invece mi accomodo fuori portando due tiri di "allegria" e bevendo dalla cerveza di Annalì, mentre Karol approfitta della mia "allegria" e l'altro tipo chiacchiera con me in inglese dato che è l'unico a saperlo.Insomma si fa una certa ora e, prima di andarmene, Annalì mi molla un bacio sul collo che, per un attimo, mi mette i brividi, ma è troppo tardi e saluto il terzetto con l'intento di vederci nei giorni successivi sulla via.
Steso sul letto, con le mani incrociate dietro la testa, per la prima volta dopo cinque giorni, mi trovo a pensare che Sara, una ragazza con cui non ho camminato l'anno scorso ma si è aggregata agli altri ripartendo proprio da Burgos dopo che l'anno prima aveva fatto lo stesso mio tratto, mi disse, un giorno che l'avevo conosciuta tramite Francesca, che ripartire era stato, per lei, come non essersi mai fermata e che, anzi, il tratto da Burgos in poi le aveva lasciato più amicizie ed emozioni che l'anno precedente.
Ho ancora molti giorni di cammino da fare e, in silenzio, mi auguro che da domani sia così anche per me.

On air



lunedì 10 agosto 2015

80 anni e non sentirli.Da Carrion de los Condes a Ledigos.20 maggio.

Lasciamo il monastero che l'alba è già sveglia da un pezzo.Non è tardissimo ma nemmeno così presto come il giorno precedente.Ne approfittiamo per fare colazione nel bar delle birre di ieri pomeriggio.Ci sono facce conosciute, ma senza nomi, all'interno del locale.Sono quelle che in questi primi quattro giorni di cammino abbiamo incrociato senza tuttavia avere occasione di conoscerle bene.Ne capiteranno altre, penso, mentre finisco il secondo croissant e faccio un cenno a Giacomo che sono pronto per andare.Mettiamo lo zaino in spalla e percorriamo il paese seguendo le frecce che ci conducono alla sua uscita.Attraversiamo il ponte sul rio Carrion per trovarci davanti un monastero adibito ora a biblioteca sul Cammino.Ci sfila a fianco mentre con Giacomo iniziamo un discorso sui vari ordini monastici, da dove derivano, la differenza tra l'uno e l'altro.Mi parla di quale ordine vorrebbe far parte, poi, dopo un'oretta scarsa di cammino, imbocchiamo la via Aquitana, l'antica strada romana incastonata in quei 17 km di niente presenti in questa tappa.Mi guardo intorno ma non vedo tutta questa desertificazione, ci sono alberi ai lati, non moltissimi ma ci sono, e tratti dove qualche filo d'ombra arriva sulla mia pelle screpolata dal sole.Già, ho ancora una pelle, sopratutto sul naso, anche se non si direbbe.
Ci fermiamo per qualche minuto a guardare un vortice di polvere alla nostra sinistra, oltre un campo di grano e un filare d'alberi, saranno duecento metri di distanza ma il piccolo twister si vede benissimo, anche se non capiamo come sia possibile dato che non c'è vento.Continuiamo a camminare fino a un'area di sosta, una delle due menzionate dalla guida, dove ci prendiamo una mezz'ora per sgranocchiare qualcosa e svuotare la vescica.Un gruppo di donne in bicicletta ci chiede una foto, tengo il dito premuto sul display del cellulare quel che basta per farne una 20ina in sequenza, poi mi risiedo sulla panca sotto alla tettoia.
Stiamo quasi per andare via quando arriva una signora da sola, minuta, con lo zaino a far da scudo a quella schiena che di anni se n'è messi tanti sopra.Si siede vicino a noi e noto che somiglia a mia madre, solo con una decina d'anni in più.Pilucca qualcosa da mangiare con un sorso d'acqua, mentre ci scambiamo due parole in inglese.Non stiamo molto con lei, ce ne andiamo augurandole Buen camino, senza nemmeno sapere il suo nome, per evitare le ore più calde della giornata.Avevo già fatto un programma per arrivare il 21 a Sahagun dove attendere l'arrivo di Joao, e il programma prevede che oggi arriveremo a Ledigos per poi fare domani solo 17 km.Mi giro a guardarla per qualche istante mentre ci allontaniamo da lei, è quasi invisibile vicino allo zaino e mi viene voglia di abbracciarla, come si abbraccerebbe una madre.
Giro la testa e guardo avanti, mi trovo a fare due conti con il fisico, una sorta di check mentale.Le spalle non mi fanno male, le gambe ad ogni fine tappa accusano qualcosa, ma è normale, ho avuto una sola vescica piccolissima sul quinto dito del piede destro.Memore delle lezioni chirurgiche dello scorso anno, ho prontamente sedato sul nascere quello che sarebbe potuto diventare un fastidioso cotrattempo.Tra l'altro, consiglio di Giacomo, ho iniziato ad usare la vasellina su entrambi i piedi e devo dire che funziona alla grande.Questi famigerati km di solitudine finiscono quando Calzadilla de la Cueza, ci appare in fondo a una breve discesa sterrata.Prima di entrare in paese noto una ragazza con lo zaino non perfettamente allineato, anzi, direi pesantemente sbilanciato da una parte.La chiamo e le dico se posso sistemarglielo sciorinando un buon inglese, in un altrettanto buon inglese lei mi dice di si.Dopo circa trenta secondi ci facciamo una gran risata scoprendo che è italiana anche lei.
Entriamo insieme nel paese e io penso che magari una figura femminile ci sta bene in un gruppo che cammina, considerando che da domani Joao sarà con noi, anche perchè è effettivamente carina.Ma il Cammino ha deciso altro, dato che lei si fermerà qui mentre noi continueremo, non dopo aver fatto una sosta mangereccia all'albergue che fa anche da bar.Consumiamo con gusto due bocadillos e una birra, ancora una volta facce conosciute si alternano tra i tavoli con altre mai viste prima, un cane gira intorno alla ricerca di briciole e il sole inizia a farmi sudare, sopratutto se non tolgo la felpa in pile.Ci rimettiamo in marcia salutando una signora americana che era al nostro tavolo, mancano circa 7 km a Ledigos e dovremmo impiegare circa due ore per arrivare.
Dopo l'uscita dal paese abbiamo una scelta, una deviazione verso sinistra ci farebbe passare per un tratto senza affiancare la nazionale trafficata.Ci guardiamo per un attimo e decidiamo per l'aperta campagna, evitando così, per un po' di tempo, rumore di auto e fumi di scarico.Quando riprendiamo il tracciato originario, passiamo per un tratto dove, a terra, ci sono svariate frecce fatte di sassi, insieme ad altre scritte e cuori formati sempre da pietre.Spesso si incontrano sul Cammino opere del genere lasciate dai pellegrini e, a volte, quando non si riesce a vedere la freccia gialla dipinta o il cartello giusto, perchè magari nascosti dalla vegetazione, aiutano non poco.Da un paio di giorni, alla nostra destra, molto in lontananza, sfumati come solo la natura sa esserlo, ossia con quella pace lontana che, tuttavia, riesci a percepire, ci sono i monti della Catena Cantabrica.Guardo quella linea che divide il cielo dalla terra, ferma nella sua increspatura, come fosse una sorta di guida che mi indica la direzione giusta.
Rispettiamo la tabella che ci siamo prefissati, senza fretta e chiacchierando, anche se quando arriviamo al piccolo paese di ottanta abitanti siamo un po' stanchi.Prendiamo posto nell'unico albergue, dove c'è un giardino con una piscina coperta da un telone, un patio interno, un paio di camerate, bagni con docce esterni e una cucina degna dei sette nani, non tanto per l'altezza quanto per l'esigua metratura.
Non è tardi quando arriviamo, quindi abbiamo tempo per fare tutto il necessario, a partire dalle birre.Dopo una doccia e il bucato, arriva anche il tempo per provare "l'allegria" donatami.Me ne faccio una seduto sull'erba del giardino con un sole che lentamente, molto lentamente, se ne va verso Ovest.Chiacchiero con due signori francesi, uno è di Bayonne e allora tento di capire, in un francese alla pantera rosa, se conoscono padre Sebastiano, della cattedrale.Non sono molto convinti pur avendo messo quanti più particolari possibili tra un "oui" e un "tres bien" ma arriva l'ora di cena a salvarmi le chiappe da un intrico di erre mosce che rotolano nelle mie orecchie tutte trotterellando.
Dobbiamo fare il secondo turno, data la cucina da nani, e cuciniamo dopo un gruppo di americani che abbiamo già intravisto nei giorni scorsi.A dire il vero abbiamo notato sopratutto un'americana, per ovvi motivi, aggiungo.
Comunque le vettovaglie acquistate nel piccolo emporio dello stesso albergue, insieme alle spezie rimediate dalla cameriera, ci fanno fare una buona pasta assaggiata anche da uno degli americani e da un canadese di nome Etienne, un tizio giovane che sta facendo il cammino insieme ai genitori.Ha la faccia da surfista e anche le abitudini, visto che non disdegna qualche tiro di "allegria" dopo i pasti.
La sera è fresca e non invoglia molto a star fuori, anche se mi concedo un'altra sigaretta prima di andare a letto.Stando fuori, poggiato al muro dell'albergue e ascoltando il silenzio che inizia a salire, facendo scemare tutti gli altri rumori, mi rendo conto che sarà diverso questa volta, di sicuro ci saranno legami, di sicuro alla fine non sarò scontento, di sicuro sento che devo arrivare a Finisterre, ma so che saranno sensazioni diverse dall'anno scorso.Spengo la sigaretta e rimango altri cinque minuti a godermi il definitivo calare del silenzio poi, dopo una lavata ai denti, mi infilo nel sacco a pelo.
Quando chiudo gli occhi, in quei momenti in cui si cerca di lasciare gli ormeggi dai pensieri e navigare verso il sonno, mi domando dove sia quella signora così minuta che somiglia a mia madre.

On air


venerdì 31 luglio 2015

Ancora in due, ma almeno c'è "allegria".Da Itero de la Vega a Carrion de los Condes.19 maggio.

A Itero de la Vega il sonno se ne va via che sono le cinque e mezza circa.Il trambusto per i preparativi di due orientali, azzardo giapponesi, ma potrebbero essere anche coreani o vietnamiti per quanto ne sappia, sveglia mezza camerata.Io e Giacomo siamo inclusi in quella metà chiaramente, quindi dopo le abluzioni di rito e una veloce sistemata allo zaino, ci troviamo pronti che ancora la luce del mattino non ha preso servizio del tutto.Ne approfitto, mentre usciamo dal paese, per provare la nuova luce ricaricabile usb che ho acquistato prima di partire.Funziona alla grande, almeno per i primi dieci minuti, poi lo zampino della mia MV si mostra subdolamente vivo.Effettivamente andava caricata prima.
Sarà che sto molto attento alla bottiglia dell'acqua e a non dimenticare nulla sotto il cuscino o sopra il letto quando vado via, che tutto il resto passa nella mia mente con la stessa presa di un tizio sopra un vetro cosparso di sapone liquido.Scivola via che è una bellezza.
Ripongo la luce in una tasca della giacca a vento e continuiamo a camminare.Dobbiamo fare anche colazione e in paese era ancora tutto chiuso quando siamo partiti, quindi dovremo fermarci al primo "pueblo" sveglio e attivo per mettere qualcosa sotto i denti.Ho anche intenzione di fermarmi a Boadilla per portare i saluti a Serafin, l'hospitalero di cui mi ha parlato Francesca.Credo sia un modo come un altro per riprendere in mano quel filo interrotto a settembre e che ancora mi sfugge dalle dita.Una traccia invisibile che mi ostino a seguire e che mi fa pensare di non aver capito nulla del senso del cammino. Non posso ritrovare quelle sensazioni, sono diverso io, diversa la compagnia, diverso anche il paesaggio che attraverso benché il percorso sia lo stesso.Non voglio accettarlo eppure dovrò farlo. Con questi pensieri intervallati da chiacchiere, io e Giacomo percorriamo il tratto che ci porta a Boadilla, superando i due orientali della mattina lungo una pista di terra battuta alle cui spalle la luce del sole inizia ad impolverare per bene il giorno, facendosi largo tra strati di nuvole svogliate.
Arrivati in paese busso alla porta dell'albergue ma sembra deserto.Nessuna risposta dall'interno e il filo continua a sfuggire.Troviamo un'altro albergue aperto dove prendere un caffè americano, pane burro e marmellata ma non sono soddisfatto quando esco per fumare una sigaretta e riprendere il cammino.Con Giacomo programmiamo un'altra sosta a Fromista che incontriamo dopo aver sfilato a fianco di un canale artificiale che termina con una chiusa all'ingresso del paese.In un bar incontriamo un gruppo di italiani in vacanza.Hanno tutti una certa età e ci guardano come se per loro fosse una cosa impossibile fare quello che stiamo facendo, rimarrebbero ancora più stupiti se vedessero età maggiori della loro con lo zaino in spalla e camminare soli per questa via, a me è capitato l'anno scorso e capiterà anche quest'anno. In giro per il paese vediamo anche Sean, l'irlandese trovato due volte in due giorni. I due ragazzi del bar, alla mia richiesta di dove poter trovare un po' di "allegria", mi dicono che c'è un albergue dallo stile peace and love a una decina di km da qui, dove fanno feste di pellegrini la sera e dove, se loro facessero il cammino, si fermerebbero sicuramente.Annuisco e con Giacomo facciamo una visita alla chiesa prima di uscire dallo stesso e seguire una pista parallela alla strada asfaltata.Ora il sole è completamente padrone del cielo ma non è un'aria da togliersi la giacca a vento.Arrivati a Villarmentero de Campos troviamo il posto suggerito dai due baristi. Dato che è ora di pranzare ne approfittiamo per un bocadillo e una birra, consumati nella veranda, mentre due asini e un paio cani girano pigramente nel campo retrostante. Qua si può dormire all'interno o anche all'esterno in varie tende, un teepee indiano e anche una carrozza da circo. Almeno così mi sembra. Il volontario dell'albergue è un ragazzo spagnolo proprietario di uno dei cani che lo segue come un'ombra.Lo vedo mentre apre una tabacchiera che non contiene tabacco ma solo "allegria".Gli chiedo se posso averne il giusto per rilassarmi e quanto vuole.Prende un paio di fiori e mi dice " Vaja con Dios, hermano".Si, andrò con Dio e i suoi regali, penso mentre lo ringrazio mutamente battendomi una mano all'altezza del cuore.
Facciamo un'altro timbro mentre arriva Sean che ci dice si fermerà qui.Noi no, dobbiamo arrivare a Carrion de los Condes per avere tappe umane fino a Sahagun, dove Joao si farà vivo.Quindi, a malincuore, riprendo la via insieme a Giacomo.Due punti minuscoli in uno spazio verde e immenso tagliato a metà dal sentiero che percorriamo sotto il sole del primo pomeriggio.Lungo la via ci sfila un altro paese minuscolo con una chiesa enorme alla sommità, quasi fosse un cappello troppo grande su quella testa di case.Arriviamo a Carrion stancamente, l'ultimo tratto è stato assolato e alla fine della tappa saranno più di 30 i km fatti.Inizio a cercare nei vari albergue i due taiwanesi, ma di loro non c'è traccia, saprò più tardi che sono andati addirittura più avanti.In questa ricerca sono accompagnato da uno svogliato Giacomo che propone di andare a dormire nel Monasterio di Santa Clara.Dopo una mezz'ora di girovagare nella vana ricerca, acconsento alla sua proposta.Il tizio che ci accoglie ripete in continuazione le stesse cose, poi ci fa strada nell'edificio mostrandoci i vari servizi e la camera dove dormiremo, che ha tre letti ma ci dormiremo solo io e lui.Giacomo fa il bucato mentre io esco un po' e mi fermo a parlare con una ragazza, incrociata in questi primi giorni, al tavolo di un bar.Si fanno le solite chiacchiere da pellegrini, ovvero da dove si è partiti, il perchè, il percome e tutte queste cose qua, mentre il pomeriggio si attarda nel divenire sera e vengo raggiunto da Giacomo.La ragazza declina il nostro invito a mangiare insieme e quindi, dopo averla salutata, ci dirigiamo verso uno dei locali che propina il solito menù del pellegrino.Una cena veloce, prima di ritirarci verso la nostra "cella".A letto do uno sguardo alla guida e mi accorgo che l'indomani ci attende una tappa non lunga dato che, invece di arrivare a Terradillos de los Templarios, ci fermeremo a Ledigos.Il punto è che in mezzo a questi 23 km e qualcosa ce ne stanno circa 17 senza punti di rifornimento.
Così, tanto perchè è il Cammino.

On air



giovedì 23 luglio 2015

Passo a passo con l'inquietudine.Da Hontanas a Itero de la Vega.18 maggio.

I taiwanesi se ne sono andati già da un pezzo quando io e Giacomo facciamo colazione al bar dell'albergue.Il solito caffè che non mi soddisfa ha per compagnia un croissant che non è male.Mi preparo una sigaretta e poi esco per fare due tiri di preparazione alla camminata che ci attende oggi.L'aria è fredda come una banchisa del polo e io ho avuto la bella idea, vedendo il sole entrare dalla finestra mentre ero ancora nel letto, di trasformare i pantaloni in pantaloncini e indossare la maglietta senza nemmeno una felpa sopra.Reintegro il vestiario necessario prima che il fumo mi geli nei polmoni e poi faccio segno a Giacomo che siamo pronti a partire.
Usciamo dal paese notando alcune facce già viste il giorno prima, è una delle sensazioni del Cammino, riconoscere persone che non conosci, associare zaini a visi, e lingue alle varie nazioni del mondo.Il paesaggio mantiene alcuni tratti collinari dove i papaveri pitturano di rosso i fianchi della terra.La strada, per il primo tratto su asfalto, si trasforma poi in un sentiero campestre delimitato dallo stesso rosso.Praticamente camminiamo in un corridoio di papaveri e silenzio, sorpassando un giapponese che sembra uscito da un bunker di Iwo Jima.Io sono irrequieto anche se non lo mostro, sento che mancano degli ingranaggi al meccanismo a cui mi ero abituato lo scorso anno e, tra me, penso che per fortuna tra quattro giorni incontrerò di nuovo Joao.Ho già anticipato a Giacomo che devo arrivare a Sahagun entro il 21 di maggio, quindi abbiamo 4 giorni con oggi per fare i km che mancano, all'incirca una novantina.
Passiamo sotto le rovine di un vecchio convento, quello di San Anton, del decimo secolo.Pare che ci sia anche un albergue per pellegrini oggi, messo su alla bene e meglio.Anche lo scorso anno, ho pensato, dopo pochi giorni, che il Cammino andrebbe fatto più volte, per non perdere dei rifugi o albergue che sono, generalmente, in mezzo alle tappe che le guide propongono.Questo è uno di quelli.
Continuiamo per la strada che è tornata asfaltata e che ci conduce, sotto un sole ormai alto, a Castrojeritz dove ci fermiamo per una pausa, facendo due chiacchiere con un tedesco che non rivedrò più, almeno fino a Santiago.
Il paese finisce con una discesa che porta ad attraversare l'asfalto, per poi divenire tratto piano in perfetto stile bucolico.Pecore, campi, canali d'irrigazione e una inquietante meseta da salire.Durante la salita, lascio Giacomo indietro e seguo il mio ritmo.Lo seguo a fatica, ad esser sinceri, tanto che il mio respiro assomiglia al mantice di un fabbro del medioevo e il sudore che mi cola dalla fronte mi fa credere di essere proprio quel fabbro.Il sole picchia in maniera clamorosa, al punto che inizio a percepire la mia metà sinistra della faccia come un uovo alla coque.
Intelligentemente non uso nessuna crema e non tiro fuori nemmeno il cappello, tutto questo grazie alla mia indomita pigrizia.Nei giorni seguenti mi pentirò di questa scelta.
Arriviamo in cima alla meseta e ci fermiamo a riposare sotto la tettoia apposita da pellegrino.Mille scritte di mille e più passaggi diversi, storie diverse, emozioni diverse, sono la testimonianza di chi è passato prima di me.Cerco anche qualcosa che possa farmi ritrovare il passaggio degli altri lo scorso anno.Trovo solo una frase che non appartiene a Luca, Joey e gli altri, ma potrebbe esser stata benissimo scritta da loro."Porcaputtana e di questa salita di merda".
Chiaro, coinciso, che dà il senso della fatica, indubbiamente.Riprendiamo gli zaini e muoviamo i passi sulla meseta che prima o poi andrà in discesa.Non è distante il punto in cui la terra si mette a scendere con una pendenza del 18 per cento ma, prima di dare le ginocchia in pasto alla pendenza, ci fermiamo ancora ad ammirare il paesaggio davanti a noi.Mi viene voglia di tirare gli occhi al di là dell'orizzonte, se solo si potesse fare.Ci sono dei posti, nel mondo, che ti rimettono in linea con quello che veramente sei, dandoti l'esatta misura di come appari su questa terra.Davanti alla distesa di campi segnati da una linea bianca che dovrò seguire, mi sento niente.La sensazione più bella che si può avere davanti alla natura, sapere di non esser nulla eppure farne parte.
Finita la discesa segue una pianura senza alberi che conduce a una fonte dove mettiamo i nostri piedi a mollo e facciamo un piccolo spuntino.Oggi avrei voluto arrivare a Boadilla del Camino, dove c'è un albergue consigliatomi da Francesca e dagli altri.Mi ha chiesto anche di portare i loro saluti a Serafin l'hospitalero ma non credo di farcela e comunico a Giacomo che probabilmente mi fermerò qualche km prima.Lui annuisce poi mi fa cenno di ripartire, almeno ovunque sia che arriviamo, ci arriviamo presto.
Nel tragitto passiamo di fronte all'albergue di San Nicolas, gestito da italiani.Poco prima di arrivarci Giacomo mi fa notare che c'è un'auto con targa italiana, nel silenzio le sue parole arrivano alle orecchie di due signori seduti fuori all'ingresso."Novara" dice uno.Io sarei tentato di rispondergli che poteva essere anche Canicattì, tanto sempre Italia sarebbe stata, ma rimango zitto.Quando ci troviamo davanti all'ingresso, ci viene spiegato che è gestita dalla Confraternita di Perugia e che non c'è acqua corrente nè tantomeno elettricità.Non sarebbe un problema, penso tra me, ma c'è qualcosa nella persona che gestisce il tutto che non mi fa venir voglia di fermarmi, anche se una parte di me vorrebbe.
"Non vi fermate a casa vostra?", ci domanda l'hospitalero, con un tono di voce burbero, quasi fosse una domanda retorica.
No, non ci fermiamo, e andiamo avanti.Se avessi avuto ancora qualche dubbio, quel tono me lo ha eliminato del tutto.Magari sarò fatto male io ma non mi pento nemmeno per un passo della scelta fatta.Salutiamo e proseguiamo per la strada che attraversa il Ponte Fitero, ancora qualche km e arriviamo a Itero de la Vega, dove decidiamo di porre fine alle fatiche della giornata.
Nell'albergue troviamo gli irlandesi della sera prima, ma nessuna traccia dei taiwanesi, dei quali mi arriverà una mail dove dicono che sono a Boadilla.Passiamo il resto della giornata bevendo birra, whiskey e chiacchierando.La sera ceniamo in un bar del paese dove beviamo una birra insieme a due tedeschi incontrati durante la giornata, poi ci dirigiamo di nuovo verso l'albergue.La calura del giorno ha lasciato posto a un vento freddo e fastidioso che ci fa accelerare il passo.Quando entriamo sono quasi tutti già nei letti.
Io, dopo essermi lavato i denti e infilato nel sacco a pelo, fisso lo sguardo sul soffitto, continuando a chiedermi, finchè non mi addormento, cos'è che non va questa volta.

On Air




venerdì 10 luglio 2015

Dove sono gli altri?.Da Burgos ad Hontanas.17 maggio.

Durante la notte apro gli occhi un paio di volte.In una di queste scopro la tizia nel letto a fianco al mio seduta e sveglia.Ci facciamo segni eloquenti e silenziosi, come una pattuglia di marines nel folto di una foresta.Io mimo il fatto di infilarmi un cappio saponato al collo, lei ride sommessamente, poi la lascio alla sua insonnia, dando un'altra possibilità a Morfeo.Quando l'alba si fa prepotente dalle finestre, tutti iniziano i preparativi per la giornata che verrà.Io mi rigiro pigramente nel sacco a pelo, prima di scendere dal letto e dare un'occhiata in giro.
Dove sono gli altri?
Questa domanda sarà ricorrente nella giornata di oggi ma, per ora, non me ne rendo conto.Dopo aver sistemato lo zaino ed essermi dato una sciacquata per riprendere contatto con la realtà, mi ritengo pronto per riprendere il discorso interrotto quel 29 settembre.
Esco e vado a far colazione al bar della paella mancata, poi, mentre addento un croissant, mi viene in mente che non ho un supporto a farmi compagnia, allora ritorno all'albergue e chiedo all'hospitalero se qualcuno ha lasciato un bastone che potrei usare.Il tizio mi guarda e me ne indica uno che ha trovato poggiato stamattina all'esterno del portone dell'albergue.Se ne stava li, inclinato sul muro, nell'angolo.
Io guardo il tizio, lui guarda me, poi io guardo il bastone, poi il bastone guarda noi due.Affare fatto, verrai con me, dico a quel pezzo di legno afferrandolo con la destra.Mi carico lo zaino e inizio a camminare.L'aria è fredda e la cattedrale è severa nelle sue guglie tanto eleganti quanto inquietanti, ma mi guardo intorno mentre percorro il tratto che fa uscire dalla città.
Bello, tutto molto bello ma, dove sono gli altri?
Durante i passi, immagino che li troverò ad attendermi dietro al prossimo angolo o in un punto di sosta a chiacchierare e fumare una sigaretta.Nulla di tutto questo, chiaramente, allora inizio a parlare con una coppia australiana, almeno finchè non veniamo richiamati da una ragazza che ci dice stiamo sbagliando strada.Prendiamo quella giusta per camminare ancora un po' insieme, finchè non decido che il mio passo è più veloce e auguro loro buen camino.Ora mi trovo solo nella strada sterrata e polverosa, il cielo non è sereno e ho una gran malinconia dei miei compagni di camino.A distrarmi ci pensa l'incontro con Lee e Blackie, due ragazzi di Taiwan con cui condivido una mezz'ora buona prima di fermarmi a fumare una sigaretta.Quando sono nei preparativi tabacchiferi, vengo superato dalla moglie di Jost.Le chiedo dove sia il marito e mi fa segno che è indietro.Al terzo tiro, mentre volgo le spalle alla strada e fisso un punto indefinito cercando di immaginare quello che vivrò in questo mese, passa Jost che chiacchiera con un ragazzo.Me ne rendo conto quando lo riconosco da dietro, con i suoi capelli bianchi legati a coda e già distante una ventina di metri.Accellero il passo, chiamandolo.Mi presenta Giacomo, un italiano che vive a York, chimico farmacologico e con inclinazioni da frate.In breve Jost perde il nostro andare per guadagnare quello della moglie, così io e Giacomo iniziamo a camminare insieme, visto che anche lui pensa di raggiungere Hontanas come fine tappa della giornata.Durante i km dividiamo qualche decina di metri con un italiano facente parte di un terzetto, il quale ci dice che sono in anticipo di tre giorni sui tempi di marcia.Tra il dire questa cosa e il percepire che non sarà affatto un mio compagno di cammino, intercorre lo stesso tempo che passa tra due battute d'ali di un colibrì.Continuiamo in un paesaggio che mi è nuovo, non ci sono i boschi dei Paesi Baschi e della Navarra, e nemmeno i vigneti della Roja a sfilarci al fianco, ma l'inizio di un tratto pianeggiante in altopiano, le mesetas, che ci porteremo dietro fino a Leon.Facciamo la prima pausa in un paesino dopo Burgos, per Giacomo è la prima volta sul cammino e non è partito da SJPDP, con mio grande disappunto, ma dalla città del Cid.Ci si è trovato per caso, non sapendo cosa fare durante i suoi giorni di ferie, ma sul cammino non ci si arriva per caso.Ne parliamo davanti a un caffè e un croissant in un bar, mentre sulla strada asfaltata passa una processione di auto d'epoca.In queste prime ore di cammino mi viene da chiedere a chiunque abbia un albergue o un bar se ricordano un gruppo eterogeneo e sconclusionato passato l'anno scorso.A Giacomo non faccio altro che magnificare i rapporti che si possono creare lungo questa via, eppure gli confido che non mi sento ancora dentro il Cammino come successe l'anno scorso già dal primo giorno anzi, dalla prima ora.Con questi discorsi e pensieri continuiamo a seguire la lingua bianca di polvere che scorre sotto i nostri piedi, mentre la giornata vira verso il soleggiato e il sereno.Passiamo in mezzo a campi che sembrano oceani verdi, tanto il vento smuove le spighe ancora giovani in un movimento ondulato e continuo.Affrontiamo il primo altopiano per trovare, in cima, una fontana e una seduta all'ombra degli alberi.Piedi nell'acqua fredda e sensazione meravigliosa in tutto il corpo, poi raggiungiamo Hornillos del Camino e ci fermiamo per una pausa, è ora di mangiare qualcosa di sostanzioso per avere energie e riposare le gambe in vista dei km che ci separano da Hontanas.
Ad Hornillos incontro la signora francese con cui ho atteso il bus a Madrid, due chiacchiere con lei, un panino e salutiamo anche Jost che, nel frattempo, ha raggiunto il paese e deciso di fermarsi li per oggi.A noi mancano altri 11 km per la fine della tappa, e sono km dove faremo un altro paio di mesetas e il sole inizierà ad avere i raggi pesanti.Dopo la seconda ci saranno 5 km di piattume in cui gli occhi si perdono sulla linea dell'orizzonte a cercare qualche segno di vita.In realtà Hontanas è accoccolata in un avvallamento che te la fa scoprire all'improvviso dando il primo accenno con la torre della chiesa che, da lontano, sembra piantata in mezzo al sentiero.
Ci facciamo la discesa che porta all'albergue municipal, ma è tutto pieno, e anche quello di fronte, quindi risaliamo all'inizio del paese per prendere posto in uno nuovo e di recente costruzione.Primo timbro di questo nuovo capitolo sulla mia credenziale e sistemiamo gli zaini in una camerata con pochi letti e bagno privato.Un lusso che mi lascia interdetto, ma che gradisco.Facciamo quello che va fatto, ovvero una doccia, il bucato e la spesa per la cena, dato che si può usare la cucina.Poi scatta il momento birra all'esterno, seduti in un pratino fresco e dove conosco un americano che sembra tanto Donald Sutherland. A proposito, il pratino è talmente fresco che mi ritrovo il culo fradicio. Ritrovo anche i due ragazzi di Taiwan che gradiranno molto la nostra pasta all'italiana e conosciamo un irlandese e un australiano con origini irlandesi.
Per il tempo della cena e dell'ora seguente, dove intoniamo canti irlandesi e i ragazzi di Taiwan mi chiedono se si può trovare "allegria" da queste parti, mi sembra di aver ritrovato un po' della sensazione dell'anno scorso.Verso le 23 risaliamo tutti alle camerate e dopo le abluzioni di rito sto per salire sul mio letto a castello nuovissimo e comodissimo, ma la mia MV si fa una risatissima.Ho dimenticato i panni ad asciugare fuori e la notte è umida come la schiena sudata di un minatore del Salisburghese.Quando esco ho solo un pantaloncino e una maglietta leggerissima e mi maledico all'istante percependo un freddo che mi fa dubitare di esser nel bel mezzo della Spagna.
Nel momento in cui sono finalmente a letto, prima di chiudere gli occhi dopo questo primo giorno di cammino, mi ritorna in mente quella domanda.
Dove sono gli altri?

On air