venerdì 11 settembre 2015

Al bar di Elvis siamo sulle giuste tracce.Da Sahagun a Reliegos.22 maggio.

Dopo i giorni delle partenze a due, passati con Giacomo, stamattina si parte in tre.Le ragazze spagnole dormono come se non ci fosse un domani e noi ci prepariamo per affrontare l'oggi che avanza lentamente nel cielo.
Scambiamo battute con Joao mentre prepariamo gli zaini e ci accingiamo a lasciare l'albergue per un tratto che dovrebbe portarci a Burgo Ranero.Dico dovrebbe perchè poi in realtà arriveremo da un'altra parte dove inizierò a percepire il Cammino quasi come l'anno scorso.
Ma andiamo con ordine.
Prima di uscire da Sahagun facciamo uno stop ad un alimentari per Joao e a un bar dirimpetto per me e Giacomo.Una colazione veloce con l'ormai ben conosciuto caffè e poi via, in questa fredda, ma fredda fredda eh, mattina di maggio.
Sono quasi le otto eppure ho le mani modello marmo di carrara e berretto di lana in testa, insieme a uno scaldacollo per evitare inopportuni mal di gola.
Non ricordo lo scorso anno un freddo del genere, pur essendo partito a settembre inoltrato e avendo fatto tappe con più boschi e montagne.
Ma il pellegrino cammina con ogni tempo e così facciamo noi, finchè il sole non si decide ad esplodere il suo calore alzandosi del tutto in quella lastra azzurra sopra la nostra testa e a farci riscaldare di un tepore che via via diventa sudore.
Intanto siamo già usciti da Sahagun passando per l'Arco di San Benito e oltrepassando il rio Cea sopra un ponte di pietra, proseguendo poi per la via che costeggia la nazionale fino ad un incrocio dove possiamo scegliere se andare dritti, puntando verso El Burgo Ranero, oppure girare a destra e prendere una vecchia "calzada" romana.Un breve conciliabolo dove facciamo anche una minzione adeguata all'ora, un controllo sulla mia guida in italiano e su quella inglese di Giacomo, per poi decidere di seguire la "calzada".
Sulle guide c'è scritto che sarà un tratto molto solitario, con solo un paesino tra noi e Reliegos, piccolo pueblo scelto come arrivo per questa giornata.Le guide non dicono che è molto più solitario e arido che non quello fatto per arrivare a Ledigos.
Ce ne accorgiamo quando, dopo aver attraversato un ponte sopra una ferrovia, iniziamo a camminare su una pista di terra battuta con un orizzonte fatto apposta per perderci gli occhi.Niente ombra, niente alberi, solo arbusti battuti dal sole e tre pellegrini che avanzano parlottando tra loro.Giacomo e Joao fanno conoscenza, mentre io mi defilo un po' per fare video e foto in questa tappa di sole e solitudine.Gli alberi in realtà ci sono, ma in lontananza ai nostri lati e quindi inutili con la loro ombra distante dal mio naso che si arrossa sempre di più.
Ci fermiamo a mattinata inoltrata, per fare una seconda colazione trasformata in pranzo, nel patio esterno di un albergue a Calzadilla de los Hermanillos, nel quale, dopo poco, ci raggiungono anche le due ragazze spagnole della sera prima.Io do indicazioni a un'altra ragazza che passa da quelle parti, dicendole che deve fare riserva di acqua, dato che non c'è altro fino a Reliegos.Viene dall'Est Europa, forse Russia, e mi ringrazia tanto per averle dato questa dritta che poi tanto dritta non è, voglio dire, basta guardare le guide.
Ad ogni buon conto, riprendiamo la camminata lasciando le due spagnole ancora a mangiare e la tipa russa a fare una pausa.
Joao inizia a fare illazioni sul mio vero scopo nel dare indicazioni alla russa, di li a poco inizierà un tormentone che ci accompagnerà per il resto del cammino e, nei giorni seguenti, si tramuterà anche in un soprannome per Giacomo.
L'italiano di Joao è un fluire calmo di parole che mi fanno ridere, a volte, per come sono pronunciate.
"Smeti de enganare donne con la tua faccia, BarbaBianca.Tu pensare sempre a PIM-PIM-PIM"
In realtà io ci penso come ci pensa qualsiasi altro essere umano sulla terra e, per tutto il cammino, anche avendo delle occasioni, non dormirò mai con una donna, anzi sono stati altri a tornare con un regalo del cammino sotto forma di compagno/compagna o addirittura figlio.
Passiamo il tempo così, inframezzandolo con discorsi seri e altri meno o cercando un mezzo metro quadro di ombra data da un arbusto per fare una sosta di qualche minuto.E i km passano, a tratti silenziosi, altri più scherzosi e ridanciani, altri ancora ognuno con il suo passo e distante dagli altri.
In questo nulla che sembra infinito, una piccola figura, davanti a noi di qualche centinaio di metri, avanza tranquilla come se non esistesse caldo e stanchezza.Quando ci troviamo più vicini da poterla distinguere io e Giacomo riconosciamo la signora che assomiglia a mia madre tra dieci anni.Diamo veloci ragguagli a Joao sulla persona e, quando ci troviamo al suo fianco, la salutiamo con il rispetto che si deve a prescindere verso una donna della sua età.Rispetto che aumenta quando pensiamo che si sta facendo da sola tutta questa strada e, per di più, scegliendo i tratti più isolati.Scopriamo che si chiama Carol ed è americana, facciamo qualche decina di metri con lei, chiaramente rallentando il nostro passo, per poi continuare augurandole Buen Camino.
Quando ci allontaniamo, come è capitato la volta scorsa, continuo a girarmi ogni tanto, finchè di lei non rimane che un minuscolo punto in lontananza alle mie spalle.Nel frattempo arriviamo quasi alla fine della tappa, passiamo in mezzo a un'area di riposo costituita, in un breve avvallamento del percorso, da un paio di boschetti ai lati della strada, per poi risalire ancora verso il sole nudo nel cielo e continuare per un paio di km fino ad arrivare all'inizio del paese.Poco prima eravamo rimasti interdetti per qualche minuto in presenza di una biforcazione dove non vedevamo frecce a segnare il percorso.
Raggiungiamo l'albergue municipale e prendiamo posto in una camerata il cui pavimento in legno scricchiola come il ponte di un galeone durante una tempesta.Il passaggio tra i letti, inoltre, è stretto e trovare posto per lo zaino diventa impresa non facile.Di fatto, se avessimo qualche cannone alle finestre, sarebbe proprio il sottocoperta di una nave dell'Invicible Armada.
Facciamo una doccia dopo la quale io mi astengo dall'andare a fare la spesa per la cena, cosa che faranno Joao e Giacomo, e decido per una birra in un bar del paese.Nel frattempo abbiamo anche avvisato l'hospitalero della presenza di una donna con una certa età incontrata lungo la tappa, leggermente preoccupati di non averla ancora vista arrivare.Il tizio ci dice di non temere e, nel caso il ritardo si faccia più evidente, che ci penserà lui ad avvisare chi di dovere.
Il pomeriggio è ancora caldo quando esco dall'albergue e incrocio una ragazza con una treccia da Pocahontas e un sorriso d'avorio quando mi saluta in un inglese oxfordiano, per poi entrare nell'albergue.Non ho nemmeno il tempo di formulare un invito a cena alla tipa che l'hospitalero mi attacca discorso snocciolando aneddoti e mostrandomi un libro sul cammino.
Mi lascia andare dopo avermi spiegato che il cammino è diviso in tre parti: Fisica, Mentale e Spirituale.
La prima è da SJPDP a Burgos, la seconda da Burgos a Leon, la terza da Leon a Santiago.
Effettivamente ci sta come spiegazione, anche se la parte fisica io la sparpaglierei lungo tutti i 920 km che conducono a Finisterre partendo da quel piccolo paesino francese.Conclude il suo discorso facendomi presente che già da domani il paesaggio cambierà e sarà meno noioso, le mesetas sono praticamente finite.
Ad ogni modo, dopo averlo salutato, mi faccio una passeggiata verso quello che sembra il centro del paese, sempre che ci sia un centro in questi agglomerati di case che sembrano dimenticati da Dio se non fosse per quelli che indossano uno zaino e giornalmente vanno ad infoltire la popolazione, seppure per una notte.
Incrocio Joao e Giacomo che tornano con le vettovaglie e dico loro che li attendo al bar che vedo di fronte a me.
Almeno credo sia un bar, dato che l'edificio è di un azzurro cielo e su questo sfondo ci sono decine di scritte tra cui spicca Bar Elvis e, sulla facciata, al posto di due finestre murate ci sono due occhi pitturati.Quando entro il dubbio è fugato dal bancone e dal tipo che c'è dietro, si è un bar, ma molto particolare.Quasi surreale direi.
Pareti piene zeppe di scritte fatte da mani provenienti da ogni parte del mondo, bandiere di ogni nazione appese alle pareti insieme a magliette che pellegrini precedenti hanno lasciato qui.Dietro al bancone il tizio, che si chiama Sinìn, indossa un basco sopra una barba che viene da molto prima della moda hipster.Gli occhi pieni di vita e le labbra sempre a dire qualcosa, che sia una battuta o la strofa di un pezzo che si propaga nell'aria.La scelta musicale, chiaramente, comprende pezzi di Elvis ma anche di Jonny Cash.Al bancone ci sono le due spagnole della sera prima insieme ad altri due pellegrini, birra che va e che viene, posaceneri perchè qua si fuma e non si discute e tortillas da gustare prima con gli occhi che con il palato.
Faccio video a profusione, chiedo birre da offrire e preparo da fumare per tutti.Nel frattempo arrivano anche Joao e Giacomo, l'ora è ancora quella dell'aperitivo e ce lo gustiamo tra chiacchiere e risate.Di quelle che ti rimettono al mondo, che tolgono la fatica dalle gambe facendoti dimenticare il sudore della giornata e i pensieri della vita.
Il portoghese se la canta su "Walk The Line" e io passo da fumare, Giacomo invece fraternizza con le spagnole e ordina ancora da bere.
Me ne sto li, un po' tra i miei pensieri e tra quelli degli altri quando vedo una cosa che mi riporta al settembre scorso, che mi fa immaginare per un attimo di girarmi e trovare le persone di quel tratto di cammino a bere e scherzare. Con Luca, Paolo e Matteo a fumare insieme, Francesca a chiederci se le abbiamo dato tutto da lavare, Pol il catalano che parla amabilmente con qualche pellegrino appena incontrato, Joao con una chitarra in mano a suonare accompagnato dalle mani di Federika, Gracia e Alicia. Mike nella sua tuta nera e gli occhi che ridono e tutti gli altri che a settembre scorso hanno diviso i loro passi con me.
Anche se dura un momento, è una sensazione bellissima.
La cosa che mi regala quest'emozione è una maglietta attaccata al muro tra le tante.
Appartiene a Joey l'irlandese, che ha fatto il cammino per tanti motivi, tra cui quello di promuovere la lotta a favore dei bambini afflitti dal cancro, come recita la scritta sulla t-shirt.
Finora, insieme all'incontro con Joao, è stata la sorpresa più bella da quando son partito da Burgos.
Chiamo Joao e gli mostro la maglia, lui annuisce e sorride in una maniera diversa dalla mia, capisco che ha saputo lasciare andare i ricordi meglio di me, senza rimanerne, in qualche modo, intrappolato.
Ho comunque una botta di energia positiva in seguito a questo momento e ritrovo lo spirito giusto per assaporare gli eventi del cammino.
Quando torniamo all'albergue mando la foto della maglia ad Emma, la figlia di Joey, poi iniziamo a preparare la cena.In cucina, oltre a noi tre c'è anche un ragazzone olandese che cammina con una giacca di velluto verde e il resto dell'abbigliamento che sembra si sia trovato per caso sul cammino dopo che era uscito a compare le sigarette ad Amsterdam. Inoltre suona il mandolino e a Joao questa cosa piace come il miele agli orsi, quindi parte una jam session da parte del tipo con il portoghese a battere il tempo sul tavolo.
In tutto questo la tipa dell'Est incontrata lungo la strada si fa vedere in cucina e iniziamo a chiacchierare.
Quando mi chiede da dove sono partito le rispondo da SJPDP, quando mi chiede da quando rispondo da settembre scorso. Lo sguardo di lei rimane perplesso e io colgo la palla al balzo. Le dico che è da settembre e che sto facendo un km al giorno, per poi fermarmi e continuare il giorno dopo. Lei scoppia a ridere chiedendo conferma a Joao, il quale non conferma ma nemmeno smentisce.Rimango un po'basito dal fatto che la tipa possa credere a questo, basterebbe pensare che da stamattina i km sono stati ben più di uno da quando ci siamo incrociati, eppure lei non smette di ridere pensando che sia vero.
La coinvolgiamo anche nel cantare una tipica canzone russa facendoci compagnia durante i preparativi per il mangiare poi, all'improvviso, entra in scena anche la tipa Pocahontas che si rivela essere una ragazza inglese che sta facendo il cammino di corsa per non ho capito bene quale causa di beneficenza.
La cena passa così, tra me che ogni tanto dico alla russa " one km for day" e Giacomo che scambia parole con l'inglesina.
Ce ne andiamo a letto che  non è ancora del tutto buio, l'inglesina dorme ai miei piedi e la russa al suo fianco, la sottocoperta del galeone scricchiola ad ogni passo dei pellegrini che, alla spicciolata, arrivano per infilarsi nei sacchi a pelo.
Mi chiedo se va meglio e mi rispondo che, si, va meglio ma c'è sempre un "ma" da qualche parte dentro di me.

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domenica 23 agosto 2015

Fermi a metà del discorso.Da Ledigos a Sahagun.21 maggio.

La mattinata è fredda e il fatto di avere i bagni fuori non mi aiuta ad uscire dal bozzolo molto volentieri.Credo di avere la faccia mischiata dal sonno quando brontolo qualche buongiorno in tre-quattro lingue random a qualcuno che incrocio sul tragitto letto-bagno.Giacomo è già pronto, in realtà credo sia una sorta di reincarnazione di Paul dello scorso anno sotto alcuni aspetti.Il primo ad alzarsi, senza vizi, un'ipotesi di diventare frate in testa, però di sicuro con più esperienza di vita, anche per via  di un'età maggiore.
Ad ogni modo mi attende nel bar dell'albergue mentre io  raccatto le mie cose cercando di non darla vinta alla mia MV.Finora è andata bene, ma lo so che rimane sempre li, alle mie spalle cerebrali, in attesa di prendersi la sua vittoria giornaliera.
Dopo colazione ci mettiamo in marcia per quelli che oggi saranno solo 17 km di passeggiata fino a Sahagun, dove stasera m'incontrerò con Joao.
Nei giorni passati ho dovuto ripetere, ogni volta alle persone con cui ho parlato, che ho interrotto lo scorso anno per questioni di tempo, che devo incontrarmi con un portoghese conosciuto nella prima parte del mio cammino, che abbiamo deciso di finirlo insieme e tutto il resto.
Ognuno dei pellegrini mi ha detto cose del tipo "it's Wonderful", "nice man", "good idea" e così via, io spero che sia davvero così, che l'incontro con Joao mi riporti quell'impatto emotivo che finora non ho avuto.Questo è il quinto giorno di cammino e io, spesso, mi sento un pesce dentro un nuovo acquario.Riconosco i miei simili ma non conosco davvero nessuno di loro, come invece era successo l'anno scorso dopo nemmeno un giorno dal mio arrivo a Bayonne.
Con questi pensieri a far da motore alle mie gambe arriviamo a Terradillos de los Templarios in nemmeno un'ora.Altra sosta per la seconda colazione e poi via, di nuovo sulla strada che taglia i campi circostanti con precisione geometrica.
Prima di arrivare a Moratinos incontriamo una spirale fatta di pietre che mi fa tornare in mente quella dell'anno scorso, poco prima di Burgos che era, però, di dimensioni maggiori.Il paese ci accoglie con quelle che sembrano case degli Hobbit.Scavate sotto le colline e con un comignolo che esce dalla terra come fosse un fungo solitario, una porta incastonata tra fianchi di terra e nessun segno di vita.Io e Giacomo facciamo un giro intorno a queste strane cose che sembrano case, cercando di sbirciare all'interno.L'arcano ci verrà svelato nei giorni seguenti, in realtà sono una sorta di cantine degli abitanti del luogo, dove vengono conservate varie vettovaglie, presumo prosciutti vino e quant'altro.
Noto anche un'altra cosa, ovvero che la maggior parte dei paesi dove sto passando questa volta sono talmente piccoli da sembrare disabitati, sono poche le persone del posto che si vedono in giro, in compenso ci sono sempre le cicogne che finora non ci hanno giocato nessuno scherzo.Immagino che ricevere un "regalo" da parte loro sia come ricevere un uovo fresco in testa, solo che non è un uovo.
Comunque Moratinos ce la lasciamo alle spalle in un batter d'occhio, insieme alle sue case di mattoni impastati con paglia e argilla, dopo esser passati dietro la chiesa del paese e usciti dallo stesso seguendo le immancabili frecce gialle.Ancora qualche km e raggiungiamo San Nicolas del real Camino, dove facciamo un'altra pausa, seduti ad un tavolo all'aperto verso una chiesa che sembra la gemella di quella di Moratinos.Qui chiacchieriamo con un paio di pellegrini di cui perderemo le tracce praticamente subito e, a proposito di tracce, ci chiediamo dove siano Jost e sua moglie, senza averne, tuttavia, la più pallida idea.
Non siamo molto distanti da Sahagun, con un rapido calcolo mentale deduciamo che in meno di due ore dovremmo esserci, quindi non ci affatichiamo più di tanto a percorrere questi km che mancano, prendendoci il tempo per fare foto e dare sguardi più attenti in giro.Prima di arrivare alla nostra meta, passiamo su un vecchio ponte di pietra che conduce a un eremo poggiato in uno spiazzo verde, dove rivediamo un canadese con cui abbiamo passato il pomeriggio a Itero de la Vega insieme a Sean l'irlandese.Due chiacchiere con lui, uno sguardo all'eremo che però è chiuso e poi riandare, passando in mezzo a due colonne di pietra lavorate che, ad uno sguardo attento, delimitano la metà esatta del cammino.
Cazzarola. sono a metà, penso.Ho vissuto la metà delle emozioni che possono essere trovate su questa via e ho sentito la terra sbriciolarsi sotto i miei passi per 400 km.Sono a metà e vorrei vivere il resto come la metà precedente, ma sarà il cammino a decidere, non io.
Per arrivare al paese c'è ancora qualche km, una mezz'ora abbondante di cammino, al termine della quale entriamo in un pueblo che non è affatto disabitato, anzi, abbastanza grande rispetto a quelli degli ultimi giorni.Sean, con cui nel frattempo abbiamo condiviso questi ultimi km, dice che ne ha abbastanza e si fermerà in un Hotel all'ingresso della cittadina.Noi continuiamo verso l'albergue Domus Viatoris, dove prendiamo posto anche per Joao.
Una volta sistemata la branda, ci dedichiamo a una doccia e poi al bucato, nel frattempo Joao mi manda un sms dicendomi che ha dimenticato la sua Credencial a casa e mi chiede se qui la vendono.Si parte bene, mi dico con un sorriso mentre mi avvicino alla reception dove danno risposta affermativa.Quindi una volta svolto il mio compito non mi resta altro che fumare "allegria" fuori nel patio dell'albergue e, dopo qualche tiro, mi rendo conto di non essermi regolato nella mistura dato che andrò a finire dritto dritto sul mio letto per prendere un sonno profondo di circa due ore e mezza.
Quando apro gli occhi non trovo Giacomo, allora decido di andare a fare uno spuntino da qualche parte, scegliendo un pub stile irlandese dove mi serviranno un'ottima birra e un bocadillo.Chiaro che c'è anche Sean, con cui scambio, tuttavia, poche parole.Ritorno all'albergue e con Giacomo decidiamo di uscire ancora per cena, nel frattempo i messaggi con Joao continuano e rimaniamo per incontrarci nella piazza dove l'anno scorso lui ha dato la festa per la sua partenza con tutti gli altri.Festa di cui si vanta, dato che è stata la prima volta dove Pol, ovvero padre Pol come lo chiamavamo tutti, si è ubriacato.Saprò poi, da Francesca, che quella volta rientrarono nell'albergue alle 6.00 del mattino e iniziarono a camminare dopo pranzo.
Insomma riprendiamo la via che porta al centro, scendendo a fianco di un'arena che spero sia in disuso, almeno così pare.Arriviamo al classico posto dove c'è un menù per pellegrini, benchè sia, devo ammettere, un locale ottimo dove prendersi una sbornia, e ci ritroviamo i due tedeschi con cui avevamo bevuto una birra ad Itero.Si siedono con noi per mangiare insieme e attendere l'arrivo del famoso Joao, perchè ormai è diventato così.Nel frattempo, mentre consumiamo il pasto, chiacchieriamo delle solite cose da pellegrini.Dove pensano di fermarsi domani, se hanno visto quella chiesa o quel tratto particolare durante i giorni scorsi, se hanno notato che bel posto era quello tra le mesetas, dove hanno dormito nei giorni precedenti.Chiaramente le stesse domande vengono rivolte a noi di rimando.
Dopo circa un'ora, dove nel frattempo ho aggiornato Francesca del fatto che Joao sta arrivando, eccolo qui, passare davanti all'enorme finestra del locale che dà sulla strada.Tempo cinque secondi e mi trovo questo portoghese davanti dopo averlo visto, l'ultima volta, alla fine dello scorso settembre.Ci abbracciamo fraternamente, con quel senso speciale di amicizia che alcune esperienze contribuiscono a far nascere e cementare.Come di consueto mi chiama "Barbabianca", per ovvi e canuti motivi, io lo apostrofo con un gentilissimo e fine "A boia", prima di presentarlo agli altri e ordinare da bere per tutti.Ci facciamo una foto da mandare via Whatsup al gruppo dell'anno scorso.La bresciana risponde subito con un'emoticon dai lucciconi agli occhi, gli altri ci abbracciano virtualmente e ci dicono di andare avanti.A me sembra che, come dentro una stanza in penombra, dove posso a malapena intuire la disposizione delle cose, si sia accesa una piccola luce per darmi una vista migliore.La sensazione di aver quantomeno sfiorato quel famoso filo di cui cercavo l'appiglio nei giorni precedenti.Vedremo cosa accadrà andando avanti.
Nel frattempo dobbiamo andare all'albergue invece, dato che ci stiamo avvicinando all'ora della chiusura e Joao deve ancora prendere posto.Quando rientriamo, all'esterno nel patio, comodamente sedute e con un paio di coperte addosso per la temperatura rigida, ci sono due ragazze insieme ad un tizio che ci salutano offrendoci anche da bere.Decliniamo per il tempo che serve a Joao di sbrigare tutte le formalità come credenziale nuova e relativo primo timbro, poi lui e Giacomo se ne vanno a dormire, io invece mi accomodo fuori portando due tiri di "allegria" e bevendo dalla cerveza di Annalì, mentre Karol approfitta della mia "allegria" e l'altro tipo chiacchiera con me in inglese dato che è l'unico a saperlo.Insomma si fa una certa ora e, prima di andarmene, Annalì mi molla un bacio sul collo che, per un attimo, mi mette i brividi, ma è troppo tardi e saluto il terzetto con l'intento di vederci nei giorni successivi sulla via.
Steso sul letto, con le mani incrociate dietro la testa, per la prima volta dopo cinque giorni, mi trovo a pensare che Sara, una ragazza con cui non ho camminato l'anno scorso ma si è aggregata agli altri ripartendo proprio da Burgos dopo che l'anno prima aveva fatto lo stesso mio tratto, mi disse, un giorno che l'avevo conosciuta tramite Francesca, che ripartire era stato, per lei, come non essersi mai fermata e che, anzi, il tratto da Burgos in poi le aveva lasciato più amicizie ed emozioni che l'anno precedente.
Ho ancora molti giorni di cammino da fare e, in silenzio, mi auguro che da domani sia così anche per me.

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lunedì 10 agosto 2015

80 anni e non sentirli.Da Carrion de los Condes a Ledigos.20 maggio.

Lasciamo il monastero che l'alba è già sveglia da un pezzo.Non è tardissimo ma nemmeno così presto come il giorno precedente.Ne approfittiamo per fare colazione nel bar delle birre di ieri pomeriggio.Ci sono facce conosciute, ma senza nomi, all'interno del locale.Sono quelle che in questi primi quattro giorni di cammino abbiamo incrociato senza tuttavia avere occasione di conoscerle bene.Ne capiteranno altre, penso, mentre finisco il secondo croissant e faccio un cenno a Giacomo che sono pronto per andare.Mettiamo lo zaino in spalla e percorriamo il paese seguendo le frecce che ci conducono alla sua uscita.Attraversiamo il ponte sul rio Carrion per trovarci davanti un monastero adibito ora a biblioteca sul Cammino.Ci sfila a fianco mentre con Giacomo iniziamo un discorso sui vari ordini monastici, da dove derivano, la differenza tra l'uno e l'altro.Mi parla di quale ordine vorrebbe far parte, poi, dopo un'oretta scarsa di cammino, imbocchiamo la via Aquitana, l'antica strada romana incastonata in quei 17 km di niente presenti in questa tappa.Mi guardo intorno ma non vedo tutta questa desertificazione, ci sono alberi ai lati, non moltissimi ma ci sono, e tratti dove qualche filo d'ombra arriva sulla mia pelle screpolata dal sole.Già, ho ancora una pelle, sopratutto sul naso, anche se non si direbbe.
Ci fermiamo per qualche minuto a guardare un vortice di polvere alla nostra sinistra, oltre un campo di grano e un filare d'alberi, saranno duecento metri di distanza ma il piccolo twister si vede benissimo, anche se non capiamo come sia possibile dato che non c'è vento.Continuiamo a camminare fino a un'area di sosta, una delle due menzionate dalla guida, dove ci prendiamo una mezz'ora per sgranocchiare qualcosa e svuotare la vescica.Un gruppo di donne in bicicletta ci chiede una foto, tengo il dito premuto sul display del cellulare quel che basta per farne una 20ina in sequenza, poi mi risiedo sulla panca sotto alla tettoia.
Stiamo quasi per andare via quando arriva una signora da sola, minuta, con lo zaino a far da scudo a quella schiena che di anni se n'è messi tanti sopra.Si siede vicino a noi e noto che somiglia a mia madre, solo con una decina d'anni in più.Pilucca qualcosa da mangiare con un sorso d'acqua, mentre ci scambiamo due parole in inglese.Non stiamo molto con lei, ce ne andiamo augurandole Buen camino, senza nemmeno sapere il suo nome, per evitare le ore più calde della giornata.Avevo già fatto un programma per arrivare il 21 a Sahagun dove attendere l'arrivo di Joao, e il programma prevede che oggi arriveremo a Ledigos per poi fare domani solo 17 km.Mi giro a guardarla per qualche istante mentre ci allontaniamo da lei, è quasi invisibile vicino allo zaino e mi viene voglia di abbracciarla, come si abbraccerebbe una madre.
Giro la testa e guardo avanti, mi trovo a fare due conti con il fisico, una sorta di check mentale.Le spalle non mi fanno male, le gambe ad ogni fine tappa accusano qualcosa, ma è normale, ho avuto una sola vescica piccolissima sul quinto dito del piede destro.Memore delle lezioni chirurgiche dello scorso anno, ho prontamente sedato sul nascere quello che sarebbe potuto diventare un fastidioso cotrattempo.Tra l'altro, consiglio di Giacomo, ho iniziato ad usare la vasellina su entrambi i piedi e devo dire che funziona alla grande.Questi famigerati km di solitudine finiscono quando Calzadilla de la Cueza, ci appare in fondo a una breve discesa sterrata.Prima di entrare in paese noto una ragazza con lo zaino non perfettamente allineato, anzi, direi pesantemente sbilanciato da una parte.La chiamo e le dico se posso sistemarglielo sciorinando un buon inglese, in un altrettanto buon inglese lei mi dice di si.Dopo circa trenta secondi ci facciamo una gran risata scoprendo che è italiana anche lei.
Entriamo insieme nel paese e io penso che magari una figura femminile ci sta bene in un gruppo che cammina, considerando che da domani Joao sarà con noi, anche perchè è effettivamente carina.Ma il Cammino ha deciso altro, dato che lei si fermerà qui mentre noi continueremo, non dopo aver fatto una sosta mangereccia all'albergue che fa anche da bar.Consumiamo con gusto due bocadillos e una birra, ancora una volta facce conosciute si alternano tra i tavoli con altre mai viste prima, un cane gira intorno alla ricerca di briciole e il sole inizia a farmi sudare, sopratutto se non tolgo la felpa in pile.Ci rimettiamo in marcia salutando una signora americana che era al nostro tavolo, mancano circa 7 km a Ledigos e dovremmo impiegare circa due ore per arrivare.
Dopo l'uscita dal paese abbiamo una scelta, una deviazione verso sinistra ci farebbe passare per un tratto senza affiancare la nazionale trafficata.Ci guardiamo per un attimo e decidiamo per l'aperta campagna, evitando così, per un po' di tempo, rumore di auto e fumi di scarico.Quando riprendiamo il tracciato originario, passiamo per un tratto dove, a terra, ci sono svariate frecce fatte di sassi, insieme ad altre scritte e cuori formati sempre da pietre.Spesso si incontrano sul Cammino opere del genere lasciate dai pellegrini e, a volte, quando non si riesce a vedere la freccia gialla dipinta o il cartello giusto, perchè magari nascosti dalla vegetazione, aiutano non poco.Da un paio di giorni, alla nostra destra, molto in lontananza, sfumati come solo la natura sa esserlo, ossia con quella pace lontana che, tuttavia, riesci a percepire, ci sono i monti della Catena Cantabrica.Guardo quella linea che divide il cielo dalla terra, ferma nella sua increspatura, come fosse una sorta di guida che mi indica la direzione giusta.
Rispettiamo la tabella che ci siamo prefissati, senza fretta e chiacchierando, anche se quando arriviamo al piccolo paese di ottanta abitanti siamo un po' stanchi.Prendiamo posto nell'unico albergue, dove c'è un giardino con una piscina coperta da un telone, un patio interno, un paio di camerate, bagni con docce esterni e una cucina degna dei sette nani, non tanto per l'altezza quanto per l'esigua metratura.
Non è tardi quando arriviamo, quindi abbiamo tempo per fare tutto il necessario, a partire dalle birre.Dopo una doccia e il bucato, arriva anche il tempo per provare "l'allegria" donatami.Me ne faccio una seduto sull'erba del giardino con un sole che lentamente, molto lentamente, se ne va verso Ovest.Chiacchiero con due signori francesi, uno è di Bayonne e allora tento di capire, in un francese alla pantera rosa, se conoscono padre Sebastiano, della cattedrale.Non sono molto convinti pur avendo messo quanti più particolari possibili tra un "oui" e un "tres bien" ma arriva l'ora di cena a salvarmi le chiappe da un intrico di erre mosce che rotolano nelle mie orecchie tutte trotterellando.
Dobbiamo fare il secondo turno, data la cucina da nani, e cuciniamo dopo un gruppo di americani che abbiamo già intravisto nei giorni scorsi.A dire il vero abbiamo notato sopratutto un'americana, per ovvi motivi, aggiungo.
Comunque le vettovaglie acquistate nel piccolo emporio dello stesso albergue, insieme alle spezie rimediate dalla cameriera, ci fanno fare una buona pasta assaggiata anche da uno degli americani e da un canadese di nome Etienne, un tizio giovane che sta facendo il cammino insieme ai genitori.Ha la faccia da surfista e anche le abitudini, visto che non disdegna qualche tiro di "allegria" dopo i pasti.
La sera è fresca e non invoglia molto a star fuori, anche se mi concedo un'altra sigaretta prima di andare a letto.Stando fuori, poggiato al muro dell'albergue e ascoltando il silenzio che inizia a salire, facendo scemare tutti gli altri rumori, mi rendo conto che sarà diverso questa volta, di sicuro ci saranno legami, di sicuro alla fine non sarò scontento, di sicuro sento che devo arrivare a Finisterre, ma so che saranno sensazioni diverse dall'anno scorso.Spengo la sigaretta e rimango altri cinque minuti a godermi il definitivo calare del silenzio poi, dopo una lavata ai denti, mi infilo nel sacco a pelo.
Quando chiudo gli occhi, in quei momenti in cui si cerca di lasciare gli ormeggi dai pensieri e navigare verso il sonno, mi domando dove sia quella signora così minuta che somiglia a mia madre.

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venerdì 31 luglio 2015

Ancora in due, ma almeno c'è "allegria".Da Itero de la Vega a Carrion de los Condes.19 maggio.

A Itero de la Vega il sonno se ne va via che sono le cinque e mezza circa.Il trambusto per i preparativi di due orientali, azzardo giapponesi, ma potrebbero essere anche coreani o vietnamiti per quanto ne sappia, sveglia mezza camerata.Io e Giacomo siamo inclusi in quella metà chiaramente, quindi dopo le abluzioni di rito e una veloce sistemata allo zaino, ci troviamo pronti che ancora la luce del mattino non ha preso servizio del tutto.Ne approfitto, mentre usciamo dal paese, per provare la nuova luce ricaricabile usb che ho acquistato prima di partire.Funziona alla grande, almeno per i primi dieci minuti, poi lo zampino della mia MV si mostra subdolamente vivo.Effettivamente andava caricata prima.
Sarà che sto molto attento alla bottiglia dell'acqua e a non dimenticare nulla sotto il cuscino o sopra il letto quando vado via, che tutto il resto passa nella mia mente con la stessa presa di un tizio sopra un vetro cosparso di sapone liquido.Scivola via che è una bellezza.
Ripongo la luce in una tasca della giacca a vento e continuiamo a camminare.Dobbiamo fare anche colazione e in paese era ancora tutto chiuso quando siamo partiti, quindi dovremo fermarci al primo "pueblo" sveglio e attivo per mettere qualcosa sotto i denti.Ho anche intenzione di fermarmi a Boadilla per portare i saluti a Serafin, l'hospitalero di cui mi ha parlato Francesca.Credo sia un modo come un altro per riprendere in mano quel filo interrotto a settembre e che ancora mi sfugge dalle dita.Una traccia invisibile che mi ostino a seguire e che mi fa pensare di non aver capito nulla del senso del cammino. Non posso ritrovare quelle sensazioni, sono diverso io, diversa la compagnia, diverso anche il paesaggio che attraverso benché il percorso sia lo stesso.Non voglio accettarlo eppure dovrò farlo. Con questi pensieri intervallati da chiacchiere, io e Giacomo percorriamo il tratto che ci porta a Boadilla, superando i due orientali della mattina lungo una pista di terra battuta alle cui spalle la luce del sole inizia ad impolverare per bene il giorno, facendosi largo tra strati di nuvole svogliate.
Arrivati in paese busso alla porta dell'albergue ma sembra deserto.Nessuna risposta dall'interno e il filo continua a sfuggire.Troviamo un'altro albergue aperto dove prendere un caffè americano, pane burro e marmellata ma non sono soddisfatto quando esco per fumare una sigaretta e riprendere il cammino.Con Giacomo programmiamo un'altra sosta a Fromista che incontriamo dopo aver sfilato a fianco di un canale artificiale che termina con una chiusa all'ingresso del paese.In un bar incontriamo un gruppo di italiani in vacanza.Hanno tutti una certa età e ci guardano come se per loro fosse una cosa impossibile fare quello che stiamo facendo, rimarrebbero ancora più stupiti se vedessero età maggiori della loro con lo zaino in spalla e camminare soli per questa via, a me è capitato l'anno scorso e capiterà anche quest'anno. In giro per il paese vediamo anche Sean, l'irlandese trovato due volte in due giorni. I due ragazzi del bar, alla mia richiesta di dove poter trovare un po' di "allegria", mi dicono che c'è un albergue dallo stile peace and love a una decina di km da qui, dove fanno feste di pellegrini la sera e dove, se loro facessero il cammino, si fermerebbero sicuramente.Annuisco e con Giacomo facciamo una visita alla chiesa prima di uscire dallo stesso e seguire una pista parallela alla strada asfaltata.Ora il sole è completamente padrone del cielo ma non è un'aria da togliersi la giacca a vento.Arrivati a Villarmentero de Campos troviamo il posto suggerito dai due baristi. Dato che è ora di pranzare ne approfittiamo per un bocadillo e una birra, consumati nella veranda, mentre due asini e un paio cani girano pigramente nel campo retrostante. Qua si può dormire all'interno o anche all'esterno in varie tende, un teepee indiano e anche una carrozza da circo. Almeno così mi sembra. Il volontario dell'albergue è un ragazzo spagnolo proprietario di uno dei cani che lo segue come un'ombra.Lo vedo mentre apre una tabacchiera che non contiene tabacco ma solo "allegria".Gli chiedo se posso averne il giusto per rilassarmi e quanto vuole.Prende un paio di fiori e mi dice " Vaja con Dios, hermano".Si, andrò con Dio e i suoi regali, penso mentre lo ringrazio mutamente battendomi una mano all'altezza del cuore.
Facciamo un'altro timbro mentre arriva Sean che ci dice si fermerà qui.Noi no, dobbiamo arrivare a Carrion de los Condes per avere tappe umane fino a Sahagun, dove Joao si farà vivo.Quindi, a malincuore, riprendo la via insieme a Giacomo.Due punti minuscoli in uno spazio verde e immenso tagliato a metà dal sentiero che percorriamo sotto il sole del primo pomeriggio.Lungo la via ci sfila un altro paese minuscolo con una chiesa enorme alla sommità, quasi fosse un cappello troppo grande su quella testa di case.Arriviamo a Carrion stancamente, l'ultimo tratto è stato assolato e alla fine della tappa saranno più di 30 i km fatti.Inizio a cercare nei vari albergue i due taiwanesi, ma di loro non c'è traccia, saprò più tardi che sono andati addirittura più avanti.In questa ricerca sono accompagnato da uno svogliato Giacomo che propone di andare a dormire nel Monasterio di Santa Clara.Dopo una mezz'ora di girovagare nella vana ricerca, acconsento alla sua proposta.Il tizio che ci accoglie ripete in continuazione le stesse cose, poi ci fa strada nell'edificio mostrandoci i vari servizi e la camera dove dormiremo, che ha tre letti ma ci dormiremo solo io e lui.Giacomo fa il bucato mentre io esco un po' e mi fermo a parlare con una ragazza, incrociata in questi primi giorni, al tavolo di un bar.Si fanno le solite chiacchiere da pellegrini, ovvero da dove si è partiti, il perchè, il percome e tutte queste cose qua, mentre il pomeriggio si attarda nel divenire sera e vengo raggiunto da Giacomo.La ragazza declina il nostro invito a mangiare insieme e quindi, dopo averla salutata, ci dirigiamo verso uno dei locali che propina il solito menù del pellegrino.Una cena veloce, prima di ritirarci verso la nostra "cella".A letto do uno sguardo alla guida e mi accorgo che l'indomani ci attende una tappa non lunga dato che, invece di arrivare a Terradillos de los Templarios, ci fermeremo a Ledigos.Il punto è che in mezzo a questi 23 km e qualcosa ce ne stanno circa 17 senza punti di rifornimento.
Così, tanto perchè è il Cammino.

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giovedì 23 luglio 2015

Passo a passo con l'inquietudine.Da Hontanas a Itero de la Vega.18 maggio.

I taiwanesi se ne sono andati già da un pezzo quando io e Giacomo facciamo colazione al bar dell'albergue.Il solito caffè che non mi soddisfa ha per compagnia un croissant che non è male.Mi preparo una sigaretta e poi esco per fare due tiri di preparazione alla camminata che ci attende oggi.L'aria è fredda come una banchisa del polo e io ho avuto la bella idea, vedendo il sole entrare dalla finestra mentre ero ancora nel letto, di trasformare i pantaloni in pantaloncini e indossare la maglietta senza nemmeno una felpa sopra.Reintegro il vestiario necessario prima che il fumo mi geli nei polmoni e poi faccio segno a Giacomo che siamo pronti a partire.
Usciamo dal paese notando alcune facce già viste il giorno prima, è una delle sensazioni del Cammino, riconoscere persone che non conosci, associare zaini a visi, e lingue alle varie nazioni del mondo.Il paesaggio mantiene alcuni tratti collinari dove i papaveri pitturano di rosso i fianchi della terra.La strada, per il primo tratto su asfalto, si trasforma poi in un sentiero campestre delimitato dallo stesso rosso.Praticamente camminiamo in un corridoio di papaveri e silenzio, sorpassando un giapponese che sembra uscito da un bunker di Iwo Jima.Io sono irrequieto anche se non lo mostro, sento che mancano degli ingranaggi al meccanismo a cui mi ero abituato lo scorso anno e, tra me, penso che per fortuna tra quattro giorni incontrerò di nuovo Joao.Ho già anticipato a Giacomo che devo arrivare a Sahagun entro il 21 di maggio, quindi abbiamo 4 giorni con oggi per fare i km che mancano, all'incirca una novantina.
Passiamo sotto le rovine di un vecchio convento, quello di San Anton, del decimo secolo.Pare che ci sia anche un albergue per pellegrini oggi, messo su alla bene e meglio.Anche lo scorso anno, ho pensato, dopo pochi giorni, che il Cammino andrebbe fatto più volte, per non perdere dei rifugi o albergue che sono, generalmente, in mezzo alle tappe che le guide propongono.Questo è uno di quelli.
Continuiamo per la strada che è tornata asfaltata e che ci conduce, sotto un sole ormai alto, a Castrojeritz dove ci fermiamo per una pausa, facendo due chiacchiere con un tedesco che non rivedrò più, almeno fino a Santiago.
Il paese finisce con una discesa che porta ad attraversare l'asfalto, per poi divenire tratto piano in perfetto stile bucolico.Pecore, campi, canali d'irrigazione e una inquietante meseta da salire.Durante la salita, lascio Giacomo indietro e seguo il mio ritmo.Lo seguo a fatica, ad esser sinceri, tanto che il mio respiro assomiglia al mantice di un fabbro del medioevo e il sudore che mi cola dalla fronte mi fa credere di essere proprio quel fabbro.Il sole picchia in maniera clamorosa, al punto che inizio a percepire la mia metà sinistra della faccia come un uovo alla coque.
Intelligentemente non uso nessuna crema e non tiro fuori nemmeno il cappello, tutto questo grazie alla mia indomita pigrizia.Nei giorni seguenti mi pentirò di questa scelta.
Arriviamo in cima alla meseta e ci fermiamo a riposare sotto la tettoia apposita da pellegrino.Mille scritte di mille e più passaggi diversi, storie diverse, emozioni diverse, sono la testimonianza di chi è passato prima di me.Cerco anche qualcosa che possa farmi ritrovare il passaggio degli altri lo scorso anno.Trovo solo una frase che non appartiene a Luca, Joey e gli altri, ma potrebbe esser stata benissimo scritta da loro."Porcaputtana e di questa salita di merda".
Chiaro, coinciso, che dà il senso della fatica, indubbiamente.Riprendiamo gli zaini e muoviamo i passi sulla meseta che prima o poi andrà in discesa.Non è distante il punto in cui la terra si mette a scendere con una pendenza del 18 per cento ma, prima di dare le ginocchia in pasto alla pendenza, ci fermiamo ancora ad ammirare il paesaggio davanti a noi.Mi viene voglia di tirare gli occhi al di là dell'orizzonte, se solo si potesse fare.Ci sono dei posti, nel mondo, che ti rimettono in linea con quello che veramente sei, dandoti l'esatta misura di come appari su questa terra.Davanti alla distesa di campi segnati da una linea bianca che dovrò seguire, mi sento niente.La sensazione più bella che si può avere davanti alla natura, sapere di non esser nulla eppure farne parte.
Finita la discesa segue una pianura senza alberi che conduce a una fonte dove mettiamo i nostri piedi a mollo e facciamo un piccolo spuntino.Oggi avrei voluto arrivare a Boadilla del Camino, dove c'è un albergue consigliatomi da Francesca e dagli altri.Mi ha chiesto anche di portare i loro saluti a Serafin l'hospitalero ma non credo di farcela e comunico a Giacomo che probabilmente mi fermerò qualche km prima.Lui annuisce poi mi fa cenno di ripartire, almeno ovunque sia che arriviamo, ci arriviamo presto.
Nel tragitto passiamo di fronte all'albergue di San Nicolas, gestito da italiani.Poco prima di arrivarci Giacomo mi fa notare che c'è un'auto con targa italiana, nel silenzio le sue parole arrivano alle orecchie di due signori seduti fuori all'ingresso."Novara" dice uno.Io sarei tentato di rispondergli che poteva essere anche Canicattì, tanto sempre Italia sarebbe stata, ma rimango zitto.Quando ci troviamo davanti all'ingresso, ci viene spiegato che è gestita dalla Confraternita di Perugia e che non c'è acqua corrente nè tantomeno elettricità.Non sarebbe un problema, penso tra me, ma c'è qualcosa nella persona che gestisce il tutto che non mi fa venir voglia di fermarmi, anche se una parte di me vorrebbe.
"Non vi fermate a casa vostra?", ci domanda l'hospitalero, con un tono di voce burbero, quasi fosse una domanda retorica.
No, non ci fermiamo, e andiamo avanti.Se avessi avuto ancora qualche dubbio, quel tono me lo ha eliminato del tutto.Magari sarò fatto male io ma non mi pento nemmeno per un passo della scelta fatta.Salutiamo e proseguiamo per la strada che attraversa il Ponte Fitero, ancora qualche km e arriviamo a Itero de la Vega, dove decidiamo di porre fine alle fatiche della giornata.
Nell'albergue troviamo gli irlandesi della sera prima, ma nessuna traccia dei taiwanesi, dei quali mi arriverà una mail dove dicono che sono a Boadilla.Passiamo il resto della giornata bevendo birra, whiskey e chiacchierando.La sera ceniamo in un bar del paese dove beviamo una birra insieme a due tedeschi incontrati durante la giornata, poi ci dirigiamo di nuovo verso l'albergue.La calura del giorno ha lasciato posto a un vento freddo e fastidioso che ci fa accelerare il passo.Quando entriamo sono quasi tutti già nei letti.
Io, dopo essermi lavato i denti e infilato nel sacco a pelo, fisso lo sguardo sul soffitto, continuando a chiedermi, finchè non mi addormento, cos'è che non va questa volta.

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venerdì 10 luglio 2015

Dove sono gli altri?.Da Burgos ad Hontanas.17 maggio.

Durante la notte apro gli occhi un paio di volte.In una di queste scopro la tizia nel letto a fianco al mio seduta e sveglia.Ci facciamo segni eloquenti e silenziosi, come una pattuglia di marines nel folto di una foresta.Io mimo il fatto di infilarmi un cappio saponato al collo, lei ride sommessamente, poi la lascio alla sua insonnia, dando un'altra possibilità a Morfeo.Quando l'alba si fa prepotente dalle finestre, tutti iniziano i preparativi per la giornata che verrà.Io mi rigiro pigramente nel sacco a pelo, prima di scendere dal letto e dare un'occhiata in giro.
Dove sono gli altri?
Questa domanda sarà ricorrente nella giornata di oggi ma, per ora, non me ne rendo conto.Dopo aver sistemato lo zaino ed essermi dato una sciacquata per riprendere contatto con la realtà, mi ritengo pronto per riprendere il discorso interrotto quel 29 settembre.
Esco e vado a far colazione al bar della paella mancata, poi, mentre addento un croissant, mi viene in mente che non ho un supporto a farmi compagnia, allora ritorno all'albergue e chiedo all'hospitalero se qualcuno ha lasciato un bastone che potrei usare.Il tizio mi guarda e me ne indica uno che ha trovato poggiato stamattina all'esterno del portone dell'albergue.Se ne stava li, inclinato sul muro, nell'angolo.
Io guardo il tizio, lui guarda me, poi io guardo il bastone, poi il bastone guarda noi due.Affare fatto, verrai con me, dico a quel pezzo di legno afferrandolo con la destra.Mi carico lo zaino e inizio a camminare.L'aria è fredda e la cattedrale è severa nelle sue guglie tanto eleganti quanto inquietanti, ma mi guardo intorno mentre percorro il tratto che fa uscire dalla città.
Bello, tutto molto bello ma, dove sono gli altri?
Durante i passi, immagino che li troverò ad attendermi dietro al prossimo angolo o in un punto di sosta a chiacchierare e fumare una sigaretta.Nulla di tutto questo, chiaramente, allora inizio a parlare con una coppia australiana, almeno finchè non veniamo richiamati da una ragazza che ci dice stiamo sbagliando strada.Prendiamo quella giusta per camminare ancora un po' insieme, finchè non decido che il mio passo è più veloce e auguro loro buen camino.Ora mi trovo solo nella strada sterrata e polverosa, il cielo non è sereno e ho una gran malinconia dei miei compagni di camino.A distrarmi ci pensa l'incontro con Lee e Blackie, due ragazzi di Taiwan con cui condivido una mezz'ora buona prima di fermarmi a fumare una sigaretta.Quando sono nei preparativi tabacchiferi, vengo superato dalla moglie di Jost.Le chiedo dove sia il marito e mi fa segno che è indietro.Al terzo tiro, mentre volgo le spalle alla strada e fisso un punto indefinito cercando di immaginare quello che vivrò in questo mese, passa Jost che chiacchiera con un ragazzo.Me ne rendo conto quando lo riconosco da dietro, con i suoi capelli bianchi legati a coda e già distante una ventina di metri.Accellero il passo, chiamandolo.Mi presenta Giacomo, un italiano che vive a York, chimico farmacologico e con inclinazioni da frate.In breve Jost perde il nostro andare per guadagnare quello della moglie, così io e Giacomo iniziamo a camminare insieme, visto che anche lui pensa di raggiungere Hontanas come fine tappa della giornata.Durante i km dividiamo qualche decina di metri con un italiano facente parte di un terzetto, il quale ci dice che sono in anticipo di tre giorni sui tempi di marcia.Tra il dire questa cosa e il percepire che non sarà affatto un mio compagno di cammino, intercorre lo stesso tempo che passa tra due battute d'ali di un colibrì.Continuiamo in un paesaggio che mi è nuovo, non ci sono i boschi dei Paesi Baschi e della Navarra, e nemmeno i vigneti della Roja a sfilarci al fianco, ma l'inizio di un tratto pianeggiante in altopiano, le mesetas, che ci porteremo dietro fino a Leon.Facciamo la prima pausa in un paesino dopo Burgos, per Giacomo è la prima volta sul cammino e non è partito da SJPDP, con mio grande disappunto, ma dalla città del Cid.Ci si è trovato per caso, non sapendo cosa fare durante i suoi giorni di ferie, ma sul cammino non ci si arriva per caso.Ne parliamo davanti a un caffè e un croissant in un bar, mentre sulla strada asfaltata passa una processione di auto d'epoca.In queste prime ore di cammino mi viene da chiedere a chiunque abbia un albergue o un bar se ricordano un gruppo eterogeneo e sconclusionato passato l'anno scorso.A Giacomo non faccio altro che magnificare i rapporti che si possono creare lungo questa via, eppure gli confido che non mi sento ancora dentro il Cammino come successe l'anno scorso già dal primo giorno anzi, dalla prima ora.Con questi discorsi e pensieri continuiamo a seguire la lingua bianca di polvere che scorre sotto i nostri piedi, mentre la giornata vira verso il soleggiato e il sereno.Passiamo in mezzo a campi che sembrano oceani verdi, tanto il vento smuove le spighe ancora giovani in un movimento ondulato e continuo.Affrontiamo il primo altopiano per trovare, in cima, una fontana e una seduta all'ombra degli alberi.Piedi nell'acqua fredda e sensazione meravigliosa in tutto il corpo, poi raggiungiamo Hornillos del Camino e ci fermiamo per una pausa, è ora di mangiare qualcosa di sostanzioso per avere energie e riposare le gambe in vista dei km che ci separano da Hontanas.
Ad Hornillos incontro la signora francese con cui ho atteso il bus a Madrid, due chiacchiere con lei, un panino e salutiamo anche Jost che, nel frattempo, ha raggiunto il paese e deciso di fermarsi li per oggi.A noi mancano altri 11 km per la fine della tappa, e sono km dove faremo un altro paio di mesetas e il sole inizierà ad avere i raggi pesanti.Dopo la seconda ci saranno 5 km di piattume in cui gli occhi si perdono sulla linea dell'orizzonte a cercare qualche segno di vita.In realtà Hontanas è accoccolata in un avvallamento che te la fa scoprire all'improvviso dando il primo accenno con la torre della chiesa che, da lontano, sembra piantata in mezzo al sentiero.
Ci facciamo la discesa che porta all'albergue municipal, ma è tutto pieno, e anche quello di fronte, quindi risaliamo all'inizio del paese per prendere posto in uno nuovo e di recente costruzione.Primo timbro di questo nuovo capitolo sulla mia credenziale e sistemiamo gli zaini in una camerata con pochi letti e bagno privato.Un lusso che mi lascia interdetto, ma che gradisco.Facciamo quello che va fatto, ovvero una doccia, il bucato e la spesa per la cena, dato che si può usare la cucina.Poi scatta il momento birra all'esterno, seduti in un pratino fresco e dove conosco un americano che sembra tanto Donald Sutherland. A proposito, il pratino è talmente fresco che mi ritrovo il culo fradicio. Ritrovo anche i due ragazzi di Taiwan che gradiranno molto la nostra pasta all'italiana e conosciamo un irlandese e un australiano con origini irlandesi.
Per il tempo della cena e dell'ora seguente, dove intoniamo canti irlandesi e i ragazzi di Taiwan mi chiedono se si può trovare "allegria" da queste parti, mi sembra di aver ritrovato un po' della sensazione dell'anno scorso.Verso le 23 risaliamo tutti alle camerate e dopo le abluzioni di rito sto per salire sul mio letto a castello nuovissimo e comodissimo, ma la mia MV si fa una risatissima.Ho dimenticato i panni ad asciugare fuori e la notte è umida come la schiena sudata di un minatore del Salisburghese.Quando esco ho solo un pantaloncino e una maglietta leggerissima e mi maledico all'istante percependo un freddo che mi fa dubitare di esser nel bel mezzo della Spagna.
Nel momento in cui sono finalmente a letto, prima di chiudere gli occhi dopo questo primo giorno di cammino, mi ritorna in mente quella domanda.
Dove sono gli altri?

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sabato 16 maggio 2015

De nuevo tu.Burgos.16 maggio.

Guardo la pista di volo staccarsi rapidamente dal contatto con l'aereo, scivolando verso il basso e sparire dal campo visivo in pochi minuti.Sono stato accompagnato all'aeroporto da Stefania dato che alla mia richiesta fatta ad Athos e il Mancio, la loro risposta è stata: "hai rotto le palle con questi voli da Ciampino".Ho provato a giocare la carta della desertificazione del raccordo anulare durante il sabato mattina, ma non hanno voluto sentire storie benchè si siano proposti per venirmi a prendere al ritorno.Il motivo è semplice, il volo di ritorno sarà a Fiumicino.
Effettivamente non posso dargli torto, farsi una parte di raccordo anulare è una vera tortura per la sacca procreativa anche in prospettiva desertica, quindi ho ovviato su chi la sacca procreativa non ce l'ha.
Durante il volo cerco di riposare un po', visto l'orario antelucano in cui mi sono svegliato ma, quando arrivo all'aeroporto di Madrid, sono sveglio come qualcuno che soffre d'insonnia cronica da una vita e prende 14 caffè al giorno con cocaina al posto dello zucchero.
La cosa mi aiuta a dipanarmi nell'aeroporto di Madrid dove l'autobus che devo prendere per arrivare a Burgos è situato in un altro terminal rispetto a quello dove sono atterrato.
Una volta al terminal giusto, acquisto il biglietto e scopro di dover attendere due ore prima di partire.Ne approfitto per fare qualche chiamata che attesti la mia sopravvivenza e qualche messaggio alle persone che l'anno scorso hanno camminato con me.
Dopo il primo caffè sciacquabudella spagnolo mi avvio verso la stazione degli autobus, dove conosco una signora francese che farà anche lei il cammino da Burgos, e due ragazze italiane che partiranno da Astorga, svariati giorni di cammino dopo Burgos.Peccato, entrambe interessanti e carine ma, dopo aver chiacchierato sul cammino e avermi chiesto delucidazioni in quanto era la loro prima volta, devo salutarle mentre salgono sull'autobus che le porterà a Leon.
Nel frattempo autobus vanno e vengono e del mio nemmeno l'ombra o un colpo di clacson in lontananza.La piazzola si svuota mano a mano che gli altri viaggiatori si accomodano per località differenti.Sta per assalirmi il dubbio amletico se sia la piazzola giusta, quando eccolo arrivare.
Scintillante, con wifi interno, El Pais omaggio insieme a bottiglie di acqua fresca in frigorifero, schermi lcd con cartoon e auricolari per ascoltare musica dalla radio posta sul sedile davanti al mio.
In Spagna si trattano bene sugli autobus, non c'è che dire, quasi simile al 105 che da Termini porta sulla Casilina.
In viaggio, faccio finta di leggere il quotidiano spagnolo, ma per il resto del tempo ascolto musica classica dalla radio e sonnecchio vagamente.
Arrivo a Burgos che sono quasi le sei del pomeriggio, ho una maglietta tecnica e pantaloncini.La temperatura che ho lasciato in Italia e anche a Madrid è sostituita da un'aria fredda come un cubetto di ghiaccio infilato nelle mutande.Infilo una felpa, la giacca e mi dirigo subito all'albergue municipale, quello dove l'anno prima non ero riuscito a dormire.Per un attimo penso di andare all'altro, ma poi ritengo che la malinconia prenderebbe il sopravvento.
Prendo posto, sistemo lo zaino e tiro fuori il sacco a pelo con un automatismo che mi stupisce un po', non mi sento ancora dentro il Cammino ma il Cammino evidentemente è dentro di me.
Mi guardo intorno, zaini poggiati ai piedi dei letti, persone che riposano e altre che escono dalle docce.
Io invece esco per andare a prendere una saponetta, portasapone e gel per i capelli.Non curerò la barba ma, se facessi lo stesso con i capelli, ogni mattina sembrerei la controfigura brutta del cugino IT.
Giro in città come una talpa, ovvero ciecamente e senza una meta precisa, finchè non ritorno davanti all'albergue e mi siedo nel bar di fronte ad esso.
Inizio a sentire un certo languore e l'anno scorso ho mangiato un'ottima paella in questo posto.Chiaramente oggi non è giornata di paella, allora spazzolo un piatto vegetale con parecchie verdure, aggiungendoci un paio di birre e iniziando a fare due chiacchiere con Jost, tizio tedesco con moglie di pari età, pressapoco sulla sessantina.Ci conosciamo un po', gli racconto del fatto di aver spezzato in due il Cammino per via del poco tempo a disposizione, ma quest'anno arriverò in fondo, fino all'oceano.Parliamo anche di lui, di quando è stato svariati anni in India per diventare un maestro di Yoga, di come sia stato spinto a venire da queste parti.Tutto questo in inglese chiaramente, e altrettanto chiaramente le tracce della conversazione che rimangono nella mia MV sono pari a quelle di una scatola nera d'aereo rimasta nelle fiamme per circa due giorni.
Ci salutiamo dicendoci che il giorno dopo ci saremmo visti sulla via, poi torno al letto del mio albergue per una notte ancora indecisa se calare del tutto o sostare sulla zona di penombra.Sarà anche per il fatto che c'è una manifestazione musicale in città, che raccoglie svariati gruppi tipici di tutta la Spagna.Continueranno a suonare fino a un'ora indecente anche sotto le nostre finestre e, in camerata, ci sarà pure chi li accompagnerà con un russare degno di un accampamento romano.
Buona notte eh.

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venerdì 8 maggio 2015

Prologo (again).8 giorni al via.

Insomma pare che il tempo sia giunto.A lavoro mi hanno concesso le ferie necessarie per completare questa camminata iniziata l'anno scorso.Non ho avuto molto preavviso, anzi, ho corso il rischio di non poter riprendere a maggio come avevo programmato e di spostare il tutto a settembre ma, evidentemente, le tanto vituperate congiunzioni astrali, questa volta si sono congiunte bene e quindi parto il sedici di maggio, con arrivo previsto a Burgos nel tardo pomeriggio, dopo esser sceso a Madrid e, da lì, preso l'autobus che mi porterà nella città del Cid.
Inizierò a camminare il giorno dopo, che sarà domenica e dovrò ricordarmelo, quantomeno per fare due acquisti di cibarie che torneranno utili lungo la prima tappa.Mentre scrivo, sento i preparativi della mia MV all'interno della mia testa, in questi mesi si è allenata molto e presumo che mi farà compagnia come e più dell'anno scorso.Ho praticamente già il terrore di dimenticare saponette ovunque e, questa volta, non avrò Francesca a dispensare bagnoschiuma a destra e manca.
Appena saputo della possibilità di partire e dopo aver acquistato i biglietti, ho avvertito il portoghese che ci vedremo nel posto dove lui ha lasciato l'anno scorso.Avrò cinque giorni per arrivarci e questo è uno dei motivi per cui ho deciso di partire a maggio.L'altro è che almeno posso vedere una stagione diversa e arrivare all'oceano quando sarà già giugno, così potrò fare il bagno senza spostare iceberg e foche leopardo.
Questa volta avrò due conchiglie.Una, dell'anno scorso, con i nomi della mia famiglia e dei miei amici scritti sopra, l'altra avrà i nomi delle persone che ho conosciuto in quei primi trecento chilometri.
Ok, va bene, d'accordo, fin qui le cose tecniche.E le sensazioni?
Sono varie, vanno dalla malinconia all'euforia, dalla calma alla preoccupazione, dal voler partire e dal non farlo.Incredibilmente.
Mi sembra di aver letto un libro bellissimo, di non volerlo finire per paura che il finale non sia all'altezza dei primi capitoli e, allo stesso tempo, di non vedere l'ora di finirlo per la curiosità che anima da sempre l'animo umano a voler scoprire cose nuove.
In questi giorni che precedono la partenza non ho fatto allenamenti particolari, ho già messo in conto andature claudicanti alla dottor House a fine tappa.
In questi giorni che precedono la partenza, quando sono a letto, cerco di immaginare a come sarà, a quanto dovrò camminare per arrivare all'oceano, e al fatto che spero di incontrare persone come quelle dell'anno passato.
Ogni volta che chiudo gli occhi, immagino una cosa diversa, allora mi dico che tutto quello che immagino sarà diverso da quello che vivrò.
Si, sarà indubbiamente così.

domenica 12 aprile 2015

Tra il tornare e il ripartire c'è il tempo dell'aspettare.Ma intanto, che fine hanno fatto?

Non è stato semplice passare da giornate come quelle del Cammino a quelle che invece si vivono tutti i giorni da una vita.
Partiamo con il dire che, quasi tutti quelli che ho menzionato nel mio diario di viaggio, sono arrivati alla fine dei 900 km.Dico quasi perchè alcuni non so proprio che fine abbiano fatto, come per esempio Marco e Chiara, la coppia di Bologna incontrata sul treno per Bayonne e persa la mattina dopo, causa sveglia tardiva.Con il senno di poi dico che va bene così, ma mi piacerebbe sapere se anche loro hanno raggiunto il faro di Finisterre.Poi c'è Andrea, il tipo di Torino con le tendiniti, quello che aveva fatto l'attore nelle soap opera e che vidi, per l'ultima volta, a Pamplona durante la cena con Mike e gli altri.Nessuno, nemmeno Radio Camino ha saputo darmi nei giorni seguenti, e anche dopo, notizie in merito.
Al momento in cui scrivo la mia MV non ha tracce di altri nomi incontrati di cui non si è saputo altro durante il tragitto, quindi passiamo a chi alla fine c'è arrivato o, come me, ha fermato il Cammino per riprenderlo in seguito.
Il barbalunga Pierpaolo ha raggiunto Santiago in bici e l'ho sentito al telefono quando ero in autostrada, appena uscito dall'aeroporto in Italia.Praticamente è rientrato alla base un giorno prima di me.In seguito ci siamo visti più di una volta, data la poca distanza tra i posti dove abitiamo e in una di quelle volte c'era anche Francesca insieme a Sara, una ragazza che ripartiva da Burgos quando io mi fermavo a Burgos, e quindi non ho avuto il piacere di camminare con lei ma, una volta conosciuta, è stato come l'avessi fatto.Nel marzo appena passato, tra l'altro, ho avuto notizia dal barbalunga che sarà ancora papà.Aveva già comprato la guida sulla via Francigena da fare nel prossimo settembre e si stava già organizzando, per poi rimandare il tutto a data da destinarsi.Quando me l'ha detto l'ho ovviamente preso per il culo nei successivi venti minuti.Dopo gli ho fatto le congratulazioni di rito.Anche suo figlio, ovunque sia, sarà contento di vedere il padre ridere ancora.
Luca è arrivato a Santiago dopo aver passato qualche avventura lungo il percorso.Se non ricordo male (percepisco il fruscio dell'agguato della mia MV) dopo circa una settimana o poco più che erano partiti da Burgos, lui è rimasto indietro.Ha ritrovato Francesca e Paul a Santiago, durante la cerimonia del Botafumeiro, ovvero un grande incensiere che viene fatto oscillare lungo la navata della cattedrale da svariati frati tramite una fune.Un po' lo stesso concetto delle campane.
Dicevo di Luca, che si è perso tutto, che ha deciso di continuare senza avere un soldo confidando nello spirito del cammino (e anche in un po' di culo aggiungo io), che ha conosciuto altre persone una volta rimasto solo, che ha dormito fuori in un bosco durante una delle tappe galiziane, che ha festeggiato il suo compleanno almeno in tre giorni differenti, che ha rivisto George from Alaska quando proprio serviva che lo rivedesse,  che un giorno si è fatto quasi 50 km e quando un ciclista l'ha visto, nel tardo pomeriggio, sgranando gli occhi gli ha chiesto se era il tipo partito a piedi 50 km prima.Luca che, dopo essersi ricongiunto a Paul e Francesca,  ha ritrovato Joey per esser andato a pisciare nei bagni pubblici di Santiago.Lascio immaginare la gioia che c'è stata quando l'ha portato davanti alla bresciana e al catalano, gioia di cui hanno fatto partecipe anche me, e ora ci arriveremo.
Paul, il silenzioso catalano che guai a dirgli spagnolo, ha continuato con i suoi ritmi abituali, sempre vicino a Francesca, arrivando a distanza di una mezz'ora l'uno dall'altro.Dopo il cammino è partito per il Nepal, a dare una mano a costruire una scuola con non so quale Onlus.Se un domani ci fosse da colonizzare Marte non mi sorprenderei di ricevere un messaggio in catalano dal pianeta rosso.
Francesca, invece, è stata la persona che ho visto più volte da quando son tornato.Da queste parti, come ho già detto prima, a Sestri Levante, quando sono stato ospite da Luca in quel di gennaio, e dove ho potuto ammirare le bellezze delle cinque terre.A Valencia, ancora ospiti da Luca, questa volta per 4 giorni insieme anche all'irlandese, nel primo periodo di questo marzo appena passato.
Con lei ho contatti frequenti grazie alla tecnologia, mi racconta della sua vita, di quello che sta facendo e, come Luca e altri, è rimasta soggiogata dal Cammino.Io invece ci sono inzuppato fino al collo, così, tanto per dire eh.
Arriviamo all'irlandese, che ho rivisto praticamente dopo cinque mesi da quella mattinata di Burgos dove i nostri passi si separarono ma con la convinzione di fare, prima o poi, ancora strada insieme.
Quando io e Luca siamo andati a prenderlo alla stazione degli autobus di Valencia, non riusciva quasi a spiccicare parola per quanto fosse contento di rivederci.I primi venti minuti di passeggiata per andare a casa sono stati farciti da "amazing" "incredible" "e "wonderful".
Cinque mesi prima, dopo pochi giorni che ero tornato in Italia e continuavo ad avere contatti e aggiornamenti dal Cammino, mi arriva un messaggio dalla figlia di Jo, Emma, che mi chiedeva  del padre, pensando che io fossi ancora da quelle parti (quanto avrei voluto che non si sbagliasse), in quanto aveva dimenticato il telefono in un albergue e non aveva modo di contattarlo.Aggiungeva che era abbastanza preoccupata, dato che era qualche giorno in attesa di notizie.Ricordo di aver mandato subito un messaggio a Francesca e Paul, che nel frattempo avevano perso Luca, rigirando la richiesta di Emma nell'avere aggiornamenti.Siamo stati in attesa per molti giorni, Radio Cammino non ci dava una mano, la bresciana e il catalano erano ormai avanti agli altri non sapendo niente dell'irlandese e,  nell'attesa io riportavo ad Emma quello che sapevo, ovvero il nulla.Qualche giorno prima che finisse ottobre, mentre tornavo a casa da lavoro, il telefono mi squilla e vedo il numero spagnolo di Francesca.Quando rispondo, ricordo di avere quasi esultato in mezzo alla strada, parlando in inglese con un Jo che si era ritrovato a Santiago durante la famosa pisciata di Luca.
Gilberto, il marchigiano che parlava con le aquile, incontrato durante una sosta della prima tappa, il sabato prima della notizia di Joey, mi manda invece una foto con il grande Mike, entrambi davanti alla cattedrale di Santiago.L'ho ricevuta durante una cena da amici e la didascalia diceva che era fatta per me.Altra cosa che fa bene.Per parlare al telefono con Mike ho dovuto fare una ricerca in rete che se eravamo ancora nell'epoca dei modem a 33kb, mi avrebbe portato via almeno tre mesi.Ce l'ho fatta con la santa ADSL in circa una settimana di fitte ricerche.Alla fine ho trovato il suo numero di casa non sapendo nemmeno dove fosse, se non che era in Svizzera.
George è arrivato anche lui a Santiago, questo me lo ha detto Luca che doveva rendergli una cinquantina d'euro avuti in prestito durante il periodo in cui si era perso tutto.Carl e suo figlio, i due canadesi, hanno risposto a una mia mail durante il mese di dicembre, dicendomi che erano arrivati a Santiago e rinnovandomi l'invito per il Canada.Prima o poi dovrò andare su qualcuno di quei mille laghi.
Romina si è fermata a Burgos con il camminare e ha raggiunto Santiago in treno, ma mi ha detto, parlandoci in questo periodo, che quando sarà il momento riprenderà dalla città del Cid per raggiungere la meta con le sue scarpe.
Sooa, la coreana che ha fatto gran parte del percorso con Mike, ha raggiunto Santiago anche lei e ogni tanto ci contattiamo su faccialibro.
Matteo, Paolo, Melody, Didie , Lucilla e la madre hanno tutti raggiunto la fine, chi prima e chi dopo e, nel loro cammino dopo Burgos, si sono più volte trovati fianco a fianco con Francesca e gli altri.Il suonatore di ukulele, tra l'altro, ha anche esordito nella musica con un suo cd, che non mi sembra poco.Il pezzo che fece quella notte, prima di addormentarci, era infatti un suo inedito.
Sia Charlotte che il siciliano dal riso buonissimo, due persone con cui ho camminato per un solo giorno, quello piovoso da Los Arcos a Logrono, dove poi io e gli altri ci siamo fermati per una notte di festa, sono arrivati anche loro.Da quel che so, l'australiana, dalla sua pagina facebook, ha in attesa una lieta novella.Se sia accaduto durante il cammino o meno, è una domanda su cui io e Francesca non riusciamo a dare una spiegazione, abbiamo un'ipotesi ma non avremo mai la conferma.E comunque no, non sono stato io e nemmeno il siciliano.
Rimane Joao Santiago, detto Jonny il portoghese.
Lui si è fermato a Sahagun, circa una settimana dopo di me.Anche li fecero festa e, udite udite, anzi leggete leggete, Paul  ha preso la prima sbornia della sua vita.Jonny ancora oggi ne va fiero per esserne stato il fautore e io mi rammarico per non esser stato li, un post dal titolo "La sbornia di Paul" sarebbe stato a suo agio nella marea di minchiate scritte finora.Ad ogni modo, Jonny ha già un biglietto per maggio, il 21 per l'esattezza.La mia idea è di partire una settimana prima, così da poter raggiungere Sahagun il giorno stesso in cui arriverà lui e, insieme, fare gli oltre 400 km che restano per arrivare all'oceano.In tutto questo, se tutto andrà come deve andare e se avrà possibilità, Francesca ha detto che vorrà farsi gli ultimi quattro giorni da Santiago a Finisterre con noi.Questo è l'effetto collaterale del Cammino, sentirne il richiamo ogni volta che solo una parola o una persona, o anche un'immagine, riporti alla memoria le sensazioni provate lungo quella via.
Mi pare che abbia citato tutti quelli incontrati ma, vedo nella penombra del mio cervello, l'espressione soddisfatta della mia MV che instilla il dubbio atroce di aver dimenticato qualcuno.In quel caso spero di esser perdonato, non posso farci nulla se la mia memoria coltiva molte oasi di ricordi in un infinito deserto vuoto, e mi ritrovo più spesso a camminare sulla sabbia che non nell'oasi.Prima o poi mi ritroverò anche in quella dei nomi dimenticati.
Ho scritto tutto? ah no, manca ancora qualcosa.
Il mio bastone e la mia bottiglia.
Ricordo entrambi con affetto infinito, mentre si cambiano mano durante i giorni di sole e a farmi compagnia quando ho camminato solo.Il primo è passato da Joao ad Aviv, l'israeliano che è arrivato a finisterre con Luca, ma non so se sia stato, alla fine, bruciato.La seconda l'ho dimenticata in un bar a Burgos.Avevo intenzione di riportarla in Italia e continuare il cammino sempre con lei, quando sarei ripartito.Evidentemente aveva assolto la funzione per cui mi era stata data, oppure la mia MV ha rotto per l'ennesima volta le palle.Propendo per la seconda ipotesi.
Appaiono comunque in molte delle foto che ho fatto, a volte ai margini, figure discrete, anche quando non sono io il soggetto delle foto ma, con la loro presenza, mi ricordano meglio che io c'ero.
Si, io c'ero.
E fremo all'idea di esserci ancora.


                                                                                                                                      Fine prima parte.
Iniziata a scrivere nel mese di agosto 2014 e terminata nel mese di aprile 2015.
Nel mentre, tanta buona vita.







martedì 17 febbraio 2015

1, 2 e 3.Di ottobre.Dalla Spagna all'Italia, passando per la Francia.

Oggi è il primo di ottobre, un mese che mi piace.Sarà per il suono del suo nome, che mi ricorda la bruma e le giornate dagli alberi dorati, o perchè ad ottobre ho conosciuto persone importanti nella mia vita, oppure perchè i miei genitori si sono sposati in questo mese.
Oggi però è l'inizio di un ottobre dal sapore più amaro, non troppo, perchè il dolce di settembre è stato tanto, al punto che nel palato ancora ne posso percepire il sentore, però è inevitabile avere la punta dell'amaro che balla sulla lingua, mentre preparo tutte le mie cose e saluto l'hospitalero.
Faccio colazione con gli altri, i triestini, Melody, Lucilla e la mamma, e anche Mike.Li saluto dandogli l'augurio che possano arrivare tutti insieme a Santiago e, da li,fino a Finisterre.Abbraccio Mike come potrei abbracciare un fratello che non ho, gli auguro Suerte e Buen Camino, questa è veramente l'ultima volta che lo incontrerò su questa via e leggo nei suoi occhi tutto il buono che il Cammino mi ha dato, tutto lo stupore che abbiamo avuto rivedendoci quando pensavamo di non avere più occasione, tutta la condivisione che ho avuto con gli altri, tutte le sorprese che mi si sono rivelate in questi gioni passati in una bolla di vita fuori dal mondo ordinario,.
Quando m'incammino verso la stazione degli autobus, l'amaro è condito da una nebbia mattutina che si accovaccia sulle guglie della cattedrale, al punto che sembrano quasi sfumare dentro di essa.
Faccio un'ultima foto a questa città per poi volgere le spalle e infilarmi nella stazione degli autobus, dove scopro di dover attendere circa un'ora e mezza prima di salire su quello che mi porterà ad Irun.
In realtà lo sapevo dal giorno prima, ma la mia MV ha voluto partecipare ancora alla festa.
Ritorno verso il centro, e mi dirigo in una caffetteria sotto l'albergue dove ho dormito, per fare un'altra colazione.Un altro barlume di contentezza quando vi trovo seduto il siciliano del riso buonissimo mangiato a Los Arcos.Ce ne stiamo seduti insieme a parlare un po' del suo cammino, di com'è andata nei giorni in cui non l'ho visto, del lavoro da produttore musicale che porta avanti in quella regione bellissima e difficile che è la Sicilia.
Il tempo, come sempre quando si sta bene, vola via e, guardando l'orologio a parete della caffetteria, mi rendo conto che è ora di andare.Saluto Giovanni, con la promessa che ci contatteremo sul librodellefacce, auguro Buen Camino anche a lui e ritorno nella pancia della stazione degli autobus.
Un'altro caffè, l'ultimo spagnolo, una sigaretta e poi salgo sul mezzo che mi condurrà all'ultimo paese basco prima della Francia.
Il viaggio si snoda tranquillo, quello dentro di me un po' meno.Mi sembra di essere stato strappato da qualcosa che sento mia, a cui sento di appartenere, anche se non riesco a comprendere cosa e in che modo io le appartenga.Cerco di scrivere qualcosa sulla moleskine, poi passo al digitale del tablet, tanto per impegnare la mente e avere l'illusione di continuare ancora.I paesi sfilano via dal finestrino accanto a me, e il panorama cambia quando attraversiamo le linee dure dei rilievi baschi.Per un attimo, ma solo per un attimo, mi sembra di esser tornato nell'autobus sul quale abbiamo fatto, con Luca e Joao, il tratto finale per arrivare a SJPDP.
Quando arrivo ad Irun, si aprono altri cassetti della memoria, molto più vecchi.Ho dormito qui nel 2005, in occasione di un altro viaggio lungo la via di Santiago, quello fatto con quattro ruote sotto al culo e con altra compagnia.Devo dirigermi ad Hendaye, il primo paese francese dove c'è un treno che porta a Bayonne.Dopo una birra e un panino, davanti all'albergo dove pernottai quasi dieci anni prima, monto le gambe in spalla e inizio a camminare verso il confine francese.
Sono quattro o cinque km, nulla di particolare e sono aiutato dalle conchiglie incastonate nei marciapiedi, da qui parte il Cammino del Norte, che ho intenzione di percorrere nel 2016.Le seguo al contrario, verso il paese della Rivoluzione, su cui metto piede dopo esser passato a fianco di una specie di porticciolo fangoso.La marea dell'Atlantico ha quella differenza per la quale le barche rimangono appoggiate al fondo quando si ritrae.In una delle foto che faccio, fermo lo scatto su una sedia a rotelle semisepolta dalla fanghiglia.Allora non è solo l'Italia ad esser un paese poco pulito.
I primi cartelli in francese mi dicono che ci sono, la stazione è quasi all'inizio, quindi dopo nemmeno venti minti di attesa sono sul treno.
Anche lungo la via ferrata c'è nebbia, che rende il paesaggio fuori quasi surreale, gli alberi sono ombre sfumate che entrano ed escono dal mio campo visivo in una maniera quasi ipnotica.Al punto che. lo sguardo fisso all'esterno, si tramuta in uno dalle palpebre chiuse per un breve sonno.
Riesco a svegliarmi prima della fermata a Bayonne, la mia intenzione è quella di tornare dal prete che ci ha ospitato all'inizio, altrimenti dovrò pernottare due notti in un albergo della città.
Quando faccio a ritroso la strada fatta quasi venti giorni prima, la sensazione di deja vu monta come panna preparata da uno chef internazionale.Prendo come riferimento le guglie della cattedrale gotica al centro città e, in una decina di minuti, sono fuori dal presbiterio.Provo a suonare, nulla, nessuna risposta.Guardo l'ora e vedo che il pomeriggio è ancora nella sua fase piena, magari il prete è impegnato in qualcosa oppure dentro la cattedrale.Entro in chiesa e chiedo a un parroco dove posso trovare padre Sebastiano, mi dice dove abita.Mh, si lo so dove abita, penso mentre ringrazio con un francese uscito dalla pantera rosa.Ritorno davanti alla palazzina, riprovo a suonare, ancora nulla.Mi guardo un po' intorno, poi ho l'illuminazione sulla via di Damasco.Cerco nell'ultima pagina della moleskine, dove la copertina è a soffietto in cui puoi mettere qualche appunto o biglietto da visita, o quello che ti pare.Sfoglio le varie carte che sono all'interno come fossero figurine, alla fine lo trovo.Il biglietto da visita di padre Sebastiano, dove c'è il suo numero di cellulare.
Chiamo e, dopo due squilli, eccolo che si affaccia alla finestra.
"Oh Sebastiano, sono io" dico sia al telefono che a lui direttamente.
"Vieni su" mi fa.
Insomma, alla fine avrò una stanza tutta per me, con bagno in camera e cucina a disposizione, la perpetua mi mostra dove sono le cibarie per la colazione, il frigo pieno di cose cucinate che posso prendere quando voglio, in definitiva mi dice di fare come mi pare.
C'è anche Ernesto, un altro missionario della mia età, viene dal centroamerica, dove è stato in quartieri che la Magliana al confronto è un circolo di scacchi.
Entrambi mi dicono che qui è come se fosse la mia casa, posso venire quando voglio a trovarli, purchè non ci siano seminaristi a lezione, in quel caso le camere sarebbero tutte occupate.
Per sdebitarmi vado a fare un po' di spesa, prodotti italiani da lasciare in dispensa, e intanto prendo confidenza con il resto della città che non avevo visto.
Passo due giorni a girare e far foto come un turista qualunque, svegliandomi quando voglio e dormendo nel silenzio di una camera.Mi rendo conto che è la prima volta da molti giorni che dormo da solo.
La prima sera vado a cenare in un locale messicano gestito da un tipo che fa burrito enormi, situato in una via dove presumo ci sia la maggior affluenza di gente, data la varietà e la quantità di posti dove ritrovarsi.La seconda sera andrò nella stessa via, a mangiare un panino ottimo fatto da un tizio con due mustacchi stile primi 900 e la testa calva come un ginocchio.In entrambi i casi finirò la serata in un pub irlandese situato lungo il fiume che attraversa Bayonne.
Per tutto il tempo continuo a messaggiare con Francesca riguardo alle loro tappe e come stanno.
La mattina del 3 ottobre, saluto i due preti, promettendo di passare prima o poi a trovarli ancora, il resto della giornata sarà solo lo spostamento verso Bordeaux tramite treno, poi all'aeroporto tramite bus e, infine, in Italia.
Ad attendere il mio arrivo ci sono Paolo il Mancio e Athos, sotto un'acqua che Dio la manda come si deve, e che costringe il pilota ad atterrare a Fiumicino anzichè a Ciampino.
Quando arrivo a casa, trovo mio padre ad aspettarmi in cima alle scale con gli occhi umidi, nemmeno fossi andato al fronte.Abbraccio i miei e mi cambio, dopo una doccia rigenerante, per una cena di bentornato a casa di Cristiana insieme ad altri miei cari amici.
Più tardi, nel momento in cui entro nel mio letto, rimango per un po' ad occhi aperti nel buio.
C'è un unico pensiero che mi gira tra le pareti della testa, un unico piacevole, desiderato e futuro pensiero.
Non vedo l'ora di riprendere da dove mi son fermato.

On air






giovedì 12 febbraio 2015

C'è un Sole da seguire e qualcuno da salutare.Burgos.30 settembre.

Ci svegliamo al suono della chitarra dell'hospitalero, mentre una luce insistente filtra dalla finestra sopra di me.Penso che ogni volta il tizio accenna una canzone di Julio Iglesias, da qualche parte nel mondo muore una fan del medesimo.Forse è tutto un piano per far morire anche lui, magari l'hospitalero ha una collezione di dischi che aumenterà di valore con la dipartita del buon vecchio Julio.
Guardo male anche una minuscola fessura proprio all'angolo della finestra, quello in basso a destra.Per tutta la notte c'è stata una lama ghiacciata sulla mia faccia, finchè non ho preso la decisione di tramutarmi in bozzolo di baco da seta e scomparire all'interno del sacco a pelo.Sento comunque il lato sinistro del viso come fosse di marmo, non duro ma proprio della medesima temperatura di un tavolo d'obitorio .Durante la vestizione scambiamo poche parole, è uno di quei momenti che avevo preventivato e a cui sono andato incontro durante il Cammino.Loro oggi andranno avanti, io no.
Chiedo al tizio se posso rimanere un'altra notte, dato che tornerò in Francia l'indomani per avvicinarmi a Bordeaux, da dove volerò verso casa.Non c'è problema, pago subito e sposto le mie cose su un letto vero.Ogni tanto incrocio lo sguardo con gli altri, monto sempre un sorriso perchè è giusto che vadano liberi da ogni malinconia, anche se poi ognuno la vive a modo suo.Una volta sistemati e preparati gli zaini, propongo di andare a fare colazione davanti all'albergue comunale, dove ci sarà anche Mike per salutare tutti.
Non c'è molta distanza e la mattina inizia ad essere soleggiata, sento le gambe che mi dicono di fottermene di tutto, del lavoro, di casa e dell'obbligo di ritornare.Mi chiedono disperatamente di tornare a prendere lo zaino che ho lasciato sul letto.Non le ascolto, ma prometto loro che l'anno prossimo potranno sfogarsi fino alla fine di questo sentiero lungo 900 km.
Al bar cerco di essere come sono stato nelle settimane precedenti, raccattiamo Mike e parliamo un po' di dove vogliono arrivare oggi, lui no, lui si ferma ancora, le sue vesciche sembrano stimmate perenni.Offro la colazione a tutti, e sembra che non debba accadere nulla di così trascendentale, in effetti è così, ci sono cose, molte cose, moltissime cose che sono peggio di un saluto a degli amici.Però ecco, è difficile da spiegare, e non voglio avere la presunzione di saperlo fare, dico solo che quando si fa un'esperienza del genere, in qualche modo tutto viene amplificato, o magari è semplicemente del buon tempo passato in una maniera naturale, serena, anche avendo in testa i propri problemi.Cosa che, nella vita di tutti i giorni, per qualche misterioso motivo, si riesce a fare raramente.
Si è unito anche Aviv, un israeliano conosciuto il giorno prima tramite non so quale dinamica, ma tant'è, anche lui ha zaino in spalla e prenderà praticamente il mio posto in questo gruppo sconclusionato ma tenuto insieme dal filo del Cammino.
Il momento sta per arrivare, sembra che nessuno voglia dire la fatidica parola: "andiamo?"
Lo faccio io per loro, suggerendo che ormai si stanno facendo le nove e devono iniziare a camminare, non so quanto sarà la tappa di oggi, ma so che arrivare tardi potrebbe far dormire fuori.
Partono un paio di foto con un trancio di cattedrale alle spalle, altri pellegrini ci sfilano davanti, i click degli scatti scandiscono questi istanti dove ci stringiamo più possibile e sorridiamo come in tanti altri scatti fatti nei km precedenti.Mike torna a sedersi al bar, mi attende li mentre io faccio una trentina di metri con gli altri poi, con la massima naturalezza che riesco ad avere, gli dico che è ora.
Quello che segue sono dei momenti che non hanno una faccia ben definita, sono belli e brutti, felici e tristi, umidi e asciutti, non hanno la leggerezza di uno ciao ma nemmeno l'assolutezza di un addio.Hanno la semplicità di un arrivederci, perchè tutti sappiamo che sarà così, prima o poi.
Li ringrazio uno ad uno per quello che hanno condiviso con me, a Luca dico che già sa quale scelta deve fare, è solo questione di accettarla, a Joao do in consegna il mio bastone, chiedendogli se può farlo arrivare all'oceano e bruciarlo lì.A Paul suggerisco di lasciarsi andare di più in qualche eccesso di vita, a Francesca che le voglio bene, tanto bene e che sta già facendo un altro cammino in sè stessa, ed è più difficile e ammirevole di questo.
Alla fine è il turno di Jo, quest'irlandese portato qui dai suoi fantasmi del passato e che sembra aver trovato un senso nel vivere il presente.Ci abbracciamo cercando entrambi di sorridere, eppure abbiamo in gola più nodi di una rete da pesca.Quando mi distacco gli dico che voglio vedere la verde Irlanda e camminarla per i suoi angoli, annuisce e mi da una pacca sulla spalla, girando poi la faccia dagli occhi umidi.
Inizio a fare qualche passo indietro, invito tutti ad arrivare all'oceano, di non fermarsi a Santiago, di seguire il Sole e di camminare anche per me.
Uno a uno inizio a vedere i loro zaini che si muovono seguendo le conchiglie, quando arrivano a una ventina di metri di distanza alzo le braccia, sono immobile e li chiamo: "Peregrinos!!"..si girano e prima che possano alzare le braccia a loro volta, li saluto con la stessa emozione di quando ho sentito da Maika, a SJPDP, le parole che , adesso, sono solo per loro: "Buen Camino peregrinos, Buen Camino!"
Mi volto a quell'immagine, torno al bar e Mike mi sorride consapevole di quel che è stato quel momento, nel frattempo si son seduti anche Matteo Paolo e Melody, insieme a Lucilla con la madre.
Passerò la giornata con loro, visitando la cattedrale dove Didie suonerà e canterà un pezzo.In seguito ci accorgeremo che c'erano più cartelli con divieti di fare foto video e suonare, che persone.Chiaramente io ho fatto un video completo dell'esibizione del torinese.
Ad ogni modo la giornata scorre con una lentezza a tratti esasperante, forse anche per merito di buone cose che fumo con i due triestini, non ricordo nemmeno cosa ho fatto il tardo pomeriggio, tranne che ho dovuto stampare la carta d'imbarco dell'aereo e controllare gli orari degli autobus per l'indomani, destinazione Irun, ultimo paese della Spagna prima della Francia, costa Atlantica.Presumo di aver cenato nello stesso bar dove eravamo tutti la sera prima.Anche Matteo e gli altri prendono posto nell'albergue dove sono io, hanno già dormito in quello comunale e non possono stare un'altra notte li.
Prima di chiudere gli occhi, guardo uno dei messaggi che mi sono arrivati durante il giorno da parte di Francesca.
Ci manchi, dice.
Si, mi mancate anche voi ragazzi, mancate anche voi.


On air


giovedì 22 gennaio 2015

Di nuovi incontri e dell'ennesima sorpresa.Burgos.29 settembre.

Mi stiracchio nel letto con suoni secchi delle mie ossa che si rimettono in posizione.Oggi non ci muoviamo, penso subito, e rimango a guardare il soffitto per un tempo indefinito, finchè Paul bussa alla nostra porta per controllare se siamo svegli o meno.
Luca ovviamente no.
Ci prepariamo con calma, una calma che non mi soddisfa dato che ho terminato di lasciare posti per raggiungerne altri, però sono, in qualche modo, sereno.Il cammino mi ha insegnato che bisogna accettare quello che viene, non passivamente ma, appunto, serenamente.Sapevo che mi sarei fermato e immaginavo che avrei dovuto farlo lasciando andare delle persone a cui sarei stato legato, quindi è giusto così.
Usciamo dall'ostello per fare colazione al bar sotto di esso, anche qui ce la prendiamo comoda e, una volta terminata, io e Luca ci mettiamo fuori a fumare una sigaretta guardando passare la vita normale di una mattina qualunque a Burgos.Persone dirette a lavoro, ragazzi che vanno a scuola e ragazze strette in leggins che richiamano i nostri sguardi sul loro lato B.
Quando anche gli altri si sono rifocillati ci mettiamo in contatto con Francesca per andare a prendere subito i posti in uno dei tre albergue.Il municipale non accetta persone che abbiano già pernottato una notte, tranne per casi medici, quindi andiamo direttamente a uno poco distante, da sedici posti letto e al centro della città.Il tizio che ci accoglie ci chiede cinque euro e si mette a cantare una canzone di Julio Iglesias con la chitarra.Il posto è al secondo piano di un edificio dove sotto c'è una piccola chiesa, lasciamo i nostri zaini vicino ai letti e poi usciamo per due passi nella mattinata spagnola.
Questa è una gran bella città e ricordo perfettamente i posti che ho visto nel 2005, quando seguii il cammino in auto insieme a una persona, fu un viaggio speciale, che contribuì a rafforzare il desiderio che già avevo di farlo, prima o poi, a piedi.
Il poi è giunto, e quando l'ho deciso è stato inaspettato, avrei potuto farlo negli anni precedenti, ma giungo alla conclusione che le cose arrivano nel momento che devono e vanno via altrettanto.
Mentre viaggio con i miei pensieri ci avviciniamo alla piazza della cattedrale, le vie intorno brulicano di turisti, abitanti e, naturalmente, di pellegrini.Si riconoscono immediatamente, con le loro andature zoppicanti che non intaccano i loro sguardi contenti.
Entro in un negozio di souvenir e inizio a fare compere per gli amici che sono a casa, alle mie nipoti, che non vedo l'ora di riabbracciare, avevo già preso un paio di orecchini per entrambe nella giornata di Pamplona, Quel pomeriggio ero in giro con Francesca, come oggi del resto, ed ho quella strana sensazione che sia passato tanto di quel tempo insieme al fatto che, invece, sembra ieri.
Scelgo con cura quello che devo portare alle persone a casa, poi raggiungo gli altri che mi attendono nella piazza antistante la cattedrale.
Ieri siamo arrivati che l'aria era ancora umida di pioggia, oggi invece c'è un sole timido ma fa bene il suo lavoro.Lo penso quando alzo il naso verso le guglie di questa costruzione gotica che sembra il centro da cui parte tutta la città, i suoi marmi si innalzano e piegano come rami lavorati verso il cielo.Mi fermo ad osservare la punta estrema di una delle guglie, osservo i suoi gargoyle e le statue scolpite in bilico verso il precipizio sottostante.
Quando abbasso gli occhi, ho una visuale più terrena, dato che incrocio lo sguardo di una ragazza che riconosco subito.Si chiama Melody  e ci siam visti, per la prima e unica volta da quando ho iniziato il cammino, nel rifugio a metà strada della prima tappa, quella che portava a Roncisvalle.Ero ancora con Pierpaolo, avevo già incontrato Mike e iniziavo ad odiare i caffè spagnoli.
Lei sarebbe rimasta nel rifugio per quella notte, la schiena non le permetteva di andare avanti e, quando la vedo, sono contento che sia arrivata fin qui.
Ci salutiamo con un abbraccio, poi mi presenta due ragazzi di Trieste, Matteo e Paolo, che fanno molto Apostoli come nome ma, in realtà, scoprirò che hanno i miei stessi vizi per cui la santità ci sarà preclusa.
Con loro ci sono anche Didie, un ragazzo di Torino che suona l'ukulele e Lucilla, in cammino con la madre.
Ogni volta che conosco un gruppo di persone, mi stupisco di come possa esser eterogeneo nella diversità di vite di ognuno.
Ad ogni modo, dopo una suonata di ukulele e due chiacchiere, ci dirigiamo verso una delle panchine nella piazza della cattedrale per una birra e qualche impressione sul cammino.I momenti passano via in fretta, arrivano altri pellegrini che, in un modo o nell'altro, qualcuno di noi ha conosciuto fin'ora, poi, all'improvviso, sento bussare alle mie spalle mentre sono impegnato in un discorso qualunque e, se non erro, dicendo qualche minchiata.
Quando mi giro, la prima cosa che penso è che il cammino mi ha voluto fare un ultimo regalo prima di lasciarmi tornare a casa, poi dico tutt'altro.

MACHECCAZZOCIFAIQUIGRANDEMIKEEEEE.

Già, è proprio lui, ancora vestito nel suo nero che dovrebbe farlo sembrare più magro e quel sorriso da ragazzone buono, con le sue vesciche ancora vive e doloranti e il suo inglese reso più duro dall'accento tedesco della sua terra.
Non mi vergogno affatto, ma avevo gli occhi lucidi di felicità quando ci siamo abbracciati, e nemmeno lui pensava di trovarmi ancora lungo questa via.Gli altri sorridono quando mi volto verso di loro, non sapevano nulla ma l'avevano visto arrivare alle mie spalle qualche attimo prima e hanno lasciato che la sorpresa fosse completa e inaspettata.
Gli chiedo di raccontarmi tutto, di quando è arrivato e di quanto si fermerà, di come è arrivato e, sopratutto, con chi ha diviso il cammino.
Risponde alla mia sequenza di domande tra una risata e l'altra, poi mi dice grazie.
Il mio sguardo diviene interrogativo, grazie di cosa, e già penso che la mia MV stia partecipando alla festa ma viene mandata subito via dalla sua spiegazione.
Mi dice che ha avuto momenti duri, che le sue vesciche continuano a sanguinare, che ha dovuto fare qualche tratto in autobus pur non volendo e, un giorno, aprendo il suo marsupio, ha trovato il biglietto che gli lasciai la mattina a Zubiri, poco prima dell'inizio della terza tappa, quella verso Pamplona.
Go On Mike, Always Go On.
Continua spiegando che, quando l'ha letto, era in uno di quei momenti difficili che assalgono molti pellegrini, quelli in cui puoi pensare di lasciar stare, che forse puoi farlo in più volte e non necessariamente in una sola, poi, quelle poche parole lette in quel momento, gli han dato la voglia e la spinta di continuare.
Non riesco a trovare qualcosa da dire, riesco solo ad abbracciarlo e dire grazie a mia volta, e non so chi sto ringraziando se lui per avermi dato modo di conoscerlo, se qualcuno più in alto, se il cammino, se la mia volontà o semplicemente la carta che ha mantenuto quelle parole al sicuro.
Dopo questa botta di energia positiva dico che dobbiamo assolutamente mangiare tutti insieme a pranzo, e optiamo per un posto dove ci fanno ottimi hamburger, poi lui torna nel suo albergo, dove può riposare in una stanza privata e senza confusione, rimanendo d'accordo che la sera ci troveremo ancora, dato che sarà la mia ultima in mezzo a questo gruppo strampalato di persone che si sono trovate e accolte lungo una strada.
Il pomeriggio scorre via tra una dormita e incombenze varie, tra cui stampare la carta d'imbarco per il volo di ritorno e controllare i mezzi per raggiugere Bordeaux tra tre giorni.
Nel frattempo ci accorgiamo che i letti prenotati non sono i nostri, o almeno non tutti.Su quello dell'irlandese c'è sistemato un tizio che si porta dietro un apparecchio per aiutarlo a respirare.Una cosa grossa, tipo uno zaino, ma non indago oltre.Se fosse successo in una delle prime tappe, probabilmente avrei attaccato bottone e cercato di capire come facesse a fare il cammino in quelle condizioni, adesso non lo trovo adeguato.
Su altri due letti invece, ci sono pellegrini che non ho visto mai.La soluzione sarebbe di dormire in terra su due materassi e io mi propongo, dato che non dovrò camminare l'indomani.Gli altri due che saranno a livello suolo sono Francesca e Luca.
Quando, in stile Nick Carter, scendono le prime ombre della sera, cerchiamo di radunarci tutti per andare in un bar dove fanno una paella niente male.Troviamo, con messaggi vari, ognuno di noi che nel frattempo si era dedicato a un giro in città, a riposare oppure a leggere da qualche parte.
Tutti tranne Jo.
Dove cazzo sta l'irlandese che ha un telefono dell'epoca Cavouriana ed è nemico della tecnologia?
Non riusciamo a trovarlo per tutta la serata, benchè io, durante la cena, esca più volte a fare un giro nei dintorni, sbirciando in ogni locale che serva una birra.
Al ritorno all'albergue lo troviamo seduto nel bar sotto allo stesso, impegnato a consumare l'ennesima bionda.Dice che a un certo punto non ci ha più visto e non sapeva dove fossimo andati, non faccio vedere il dispiacere nel non aver mangiato insieme questa sera, ma gli propongo di fumare una sigaretta prima di andare a dormire.
Quando saliamo nell'albergue, le luci sono ancora accese, il trambusto leggero di chi si prepara per la notte è il rumore di sottofondo, insieme a lievissimi suoni provenienti dai cellulari di due coreani che per tutto il giorno sono stati sul letto a trafficarci sopra.
Dopo una lavata di denti mi accingo a prender posto sopra i due materassi sdraiati in terra, con Francesca nel mezzo e Luca dall'altro lato. ognuno imbozzolato nel suo sacco a pelo.C'è anche Didie, sistemato su uno stuoino e incastrato tra un tavolo e la parete, ridiamo entrambi per la sistemazione ma in questa esperienza ci si adatta a tutto.
Le luci vengono spente poco dopo il passaggio dell'hospitalero che ci augura la buonanotte e ricorda di riposare per via della camminata dell'indomani.Nel silenzio interrotto dalla ricerca della miglior posizione per dormire, io chiedo a Didie di suonare qualcosa con l'ukulele.
"Ma sarà il caso Fà?"
"Suona Didie, nessuno romperà le palle, fidati"
Francesca si accoccola sulla mia spalla, mentre io rimango a fissare il soffitto striato dal bagliore esterno che filtra dalle finestre socchiuse e Didie inizia a suonare.
Una di quelle melodie dal peso di una farfalla, note che sfiorano pianissimo l'udito, sonorità dai colori pastello, questa è la musica che quel piccolo strumento manda in giro per questa camerata da sedici letti.
Prima di addormentarmi penso che, dopo quella di mia madre, questa sia stata la miglior ninnananna della mia vita.

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