giovedì 23 luglio 2015

Passo a passo con l'inquietudine.Da Hontanas a Itero de la Vega.18 maggio.

I taiwanesi se ne sono andati già da un pezzo quando io e Giacomo facciamo colazione al bar dell'albergue.Il solito caffè che non mi soddisfa ha per compagnia un croissant che non è male.Mi preparo una sigaretta e poi esco per fare due tiri di preparazione alla camminata che ci attende oggi.L'aria è fredda come una banchisa del polo e io ho avuto la bella idea, vedendo il sole entrare dalla finestra mentre ero ancora nel letto, di trasformare i pantaloni in pantaloncini e indossare la maglietta senza nemmeno una felpa sopra.Reintegro il vestiario necessario prima che il fumo mi geli nei polmoni e poi faccio segno a Giacomo che siamo pronti a partire.
Usciamo dal paese notando alcune facce già viste il giorno prima, è una delle sensazioni del Cammino, riconoscere persone che non conosci, associare zaini a visi, e lingue alle varie nazioni del mondo.Il paesaggio mantiene alcuni tratti collinari dove i papaveri pitturano di rosso i fianchi della terra.La strada, per il primo tratto su asfalto, si trasforma poi in un sentiero campestre delimitato dallo stesso rosso.Praticamente camminiamo in un corridoio di papaveri e silenzio, sorpassando un giapponese che sembra uscito da un bunker di Iwo Jima.Io sono irrequieto anche se non lo mostro, sento che mancano degli ingranaggi al meccanismo a cui mi ero abituato lo scorso anno e, tra me, penso che per fortuna tra quattro giorni incontrerò di nuovo Joao.Ho già anticipato a Giacomo che devo arrivare a Sahagun entro il 21 di maggio, quindi abbiamo 4 giorni con oggi per fare i km che mancano, all'incirca una novantina.
Passiamo sotto le rovine di un vecchio convento, quello di San Anton, del decimo secolo.Pare che ci sia anche un albergue per pellegrini oggi, messo su alla bene e meglio.Anche lo scorso anno, ho pensato, dopo pochi giorni, che il Cammino andrebbe fatto più volte, per non perdere dei rifugi o albergue che sono, generalmente, in mezzo alle tappe che le guide propongono.Questo è uno di quelli.
Continuiamo per la strada che è tornata asfaltata e che ci conduce, sotto un sole ormai alto, a Castrojeritz dove ci fermiamo per una pausa, facendo due chiacchiere con un tedesco che non rivedrò più, almeno fino a Santiago.
Il paese finisce con una discesa che porta ad attraversare l'asfalto, per poi divenire tratto piano in perfetto stile bucolico.Pecore, campi, canali d'irrigazione e una inquietante meseta da salire.Durante la salita, lascio Giacomo indietro e seguo il mio ritmo.Lo seguo a fatica, ad esser sinceri, tanto che il mio respiro assomiglia al mantice di un fabbro del medioevo e il sudore che mi cola dalla fronte mi fa credere di essere proprio quel fabbro.Il sole picchia in maniera clamorosa, al punto che inizio a percepire la mia metà sinistra della faccia come un uovo alla coque.
Intelligentemente non uso nessuna crema e non tiro fuori nemmeno il cappello, tutto questo grazie alla mia indomita pigrizia.Nei giorni seguenti mi pentirò di questa scelta.
Arriviamo in cima alla meseta e ci fermiamo a riposare sotto la tettoia apposita da pellegrino.Mille scritte di mille e più passaggi diversi, storie diverse, emozioni diverse, sono la testimonianza di chi è passato prima di me.Cerco anche qualcosa che possa farmi ritrovare il passaggio degli altri lo scorso anno.Trovo solo una frase che non appartiene a Luca, Joey e gli altri, ma potrebbe esser stata benissimo scritta da loro."Porcaputtana e di questa salita di merda".
Chiaro, coinciso, che dà il senso della fatica, indubbiamente.Riprendiamo gli zaini e muoviamo i passi sulla meseta che prima o poi andrà in discesa.Non è distante il punto in cui la terra si mette a scendere con una pendenza del 18 per cento ma, prima di dare le ginocchia in pasto alla pendenza, ci fermiamo ancora ad ammirare il paesaggio davanti a noi.Mi viene voglia di tirare gli occhi al di là dell'orizzonte, se solo si potesse fare.Ci sono dei posti, nel mondo, che ti rimettono in linea con quello che veramente sei, dandoti l'esatta misura di come appari su questa terra.Davanti alla distesa di campi segnati da una linea bianca che dovrò seguire, mi sento niente.La sensazione più bella che si può avere davanti alla natura, sapere di non esser nulla eppure farne parte.
Finita la discesa segue una pianura senza alberi che conduce a una fonte dove mettiamo i nostri piedi a mollo e facciamo un piccolo spuntino.Oggi avrei voluto arrivare a Boadilla del Camino, dove c'è un albergue consigliatomi da Francesca e dagli altri.Mi ha chiesto anche di portare i loro saluti a Serafin l'hospitalero ma non credo di farcela e comunico a Giacomo che probabilmente mi fermerò qualche km prima.Lui annuisce poi mi fa cenno di ripartire, almeno ovunque sia che arriviamo, ci arriviamo presto.
Nel tragitto passiamo di fronte all'albergue di San Nicolas, gestito da italiani.Poco prima di arrivarci Giacomo mi fa notare che c'è un'auto con targa italiana, nel silenzio le sue parole arrivano alle orecchie di due signori seduti fuori all'ingresso."Novara" dice uno.Io sarei tentato di rispondergli che poteva essere anche Canicattì, tanto sempre Italia sarebbe stata, ma rimango zitto.Quando ci troviamo davanti all'ingresso, ci viene spiegato che è gestita dalla Confraternita di Perugia e che non c'è acqua corrente nè tantomeno elettricità.Non sarebbe un problema, penso tra me, ma c'è qualcosa nella persona che gestisce il tutto che non mi fa venir voglia di fermarmi, anche se una parte di me vorrebbe.
"Non vi fermate a casa vostra?", ci domanda l'hospitalero, con un tono di voce burbero, quasi fosse una domanda retorica.
No, non ci fermiamo, e andiamo avanti.Se avessi avuto ancora qualche dubbio, quel tono me lo ha eliminato del tutto.Magari sarò fatto male io ma non mi pento nemmeno per un passo della scelta fatta.Salutiamo e proseguiamo per la strada che attraversa il Ponte Fitero, ancora qualche km e arriviamo a Itero de la Vega, dove decidiamo di porre fine alle fatiche della giornata.
Nell'albergue troviamo gli irlandesi della sera prima, ma nessuna traccia dei taiwanesi, dei quali mi arriverà una mail dove dicono che sono a Boadilla.Passiamo il resto della giornata bevendo birra, whiskey e chiacchierando.La sera ceniamo in un bar del paese dove beviamo una birra insieme a due tedeschi incontrati durante la giornata, poi ci dirigiamo di nuovo verso l'albergue.La calura del giorno ha lasciato posto a un vento freddo e fastidioso che ci fa accelerare il passo.Quando entriamo sono quasi tutti già nei letti.
Io, dopo essermi lavato i denti e infilato nel sacco a pelo, fisso lo sguardo sul soffitto, continuando a chiedermi, finchè non mi addormento, cos'è che non va questa volta.

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