venerdì 24 ottobre 2014

In principio furono i Celti.Da Estella a Los Arcos.21 settembre.

Lungo questo percorso, negli albergue dedicati ai pellegrini dove, ricordo, non si può dormire se non si ha la credencial, ci sono chiaramente delle regole.
Una di queste è che, ove possibile, bisogna lasciare le scarpe fuori dalle camerate, per ovvi motivi olfattivi.
Detto questo, la mattina si presenta umida della notte precedente e, quando usciamo dalla camerata per recuperare le scarpe, Luca si accorge che di acqua ne ha fatta tanta.
Le ha lasciate fuori dalla tettoia, io no e lo guardo come si guarda qualcuno che sta iniziando un business sui pesci rossi, tanto son zuppe.
Ok, qualcuno avrà un asciugacapelli? No Luca, non ci si porta un peso superfluo del genere nello zaino, mi sembra chiaro.
Bene, molto bene, è tardi come per un condannato a morte e gli altri sono già andati.Dopo varie ricerche l'hospitalera ne trova uno nei meandri nell'albergue e Luca inizia l'opera.Io e Francesca facciamo i tipici italiani, ovvero due guardano e uno lavora.
Finalmente partiamo, sono le nove passate e ci lasciamo Estella alle spalle dirigendoci verso il monastero di Irache.
Già, quello dove c'è la famosa fonte del vino, difatti Luca dimentica presto lo sguish sguish che proviene dalle sue scarpe umide e, con un sorriso degno dello squalo di Nemo, inizia a togliersi lo zaino 20 metri prima della fontana.
D'accordo, pausa gambe e inizio lavoro di fegato, il vino è buono e nella sosta parliamo anche con due simpatiche signore di non ricordo quale posto.
Luca riempie la sua bottiglietta di plastica un paio si volte, poi, dato l'andazzo, pensiamo sia meglio andare prima che si faccia notte.
Visita breve al museo del vino e gambe in spalla verso Ovest.
In questa tappa lasciamo la Navarra per entrare nella Roja, la regione spagnola dedicata proprio alla spremuta d'uva.Dopo qualche km arriviamo ad Azqueta dove ritroviamo Gilberto addossato, in stile geco al sole, alla parete di una piccola casa.Ci diamo giù di un buon panino e poi andiamo a cercare Pablito dei bordoni.Un tizio che abita in questa manciata di abitazioni e, dal 1986, lavora dei bastoni di nocciolo per donarli ai pellegrini che lo vanno a trovare.
Ma siamo fortunati come un ratto in un magazzino di grano,vuoto però.
Pablito è a messa, oggi è domenica e non ce ne siamo resi conto. Qua il tempo non ha nome, allora con mestizia continuiamo lasciando Gilberto in un'attesa che risulterà vana.
Dopo due km passiamo la Fuente del Moro, una cisterna del tredicesimo secolo dove i gradini scendono direttamente nell'acqua, stagnante aggiungo.
Quindi niente rinfrescata ai piedi malgrado un Sole a temperatura piastra per bistecche e continuare, dopo un paio di foto, verso l'ultimo paese prima di Los Arcos, Villamayor di Monjardin.Tra i due punti di vita ci saranno 10 km di solitudine e un'unica fonte d'acqua.
Un caffè e un gelato, un timbro sulla credencial e proseguiamo lungo il silenzio dei vigneti e delle nostre parole.
Di João e Paul nemmeno l'ombra, io rallento un po' fino a restare da solo, le colline sembrano fatte di cuoio per il colore intenso che hanno e il sudore mi fa desiderare una doccia fresca ad ogni passo.Sono km pieni di me stesso e campi coltivati, le ore se ne vanno con un senso, pur non facendo altro che camminare e bere.
A un certo punto, sulla mia destra, scavallando una linea calva di collina, appare un furgoncino, sempre tipo porchetta in Italia, ma solo con roba da bere e qualche frutta da mangiare.
E chi c'è seduto sotto un gazebo da quattro euro ma la cui ombra non ha prezzo?
Luca e Francesca, mi hanno atteso in compagnia di una birra (strano eh) e con altre quattro persone.
Due sono una coppia di spagnoli di una certa età, poi ci sono due ragazze, anche loro spagnole, che abbiamo già incrociato nei giorni scorsi, ma senza averci mai parlato. Non è che cambi la cosa, anche perché parlano solo spagnolo e io, oltre a "dimienticame" non ricordo molto.Sono due sorelle, molto carine tra l'altro, e una di loro nota il ciondolo che porto al collo, ovvero un pesos spagnolo dell'era pre-euro.
Comunque, dopo una sosta di venti minuti, riprendiamo il cammino dando uno sguardo alla guida. Forza, manca qualche km e con Luca azzardiamo un'orario d'arrivo mantenendo questo ritmo.Tanto, come sempre, i letti saranno prenotati da João e Paul.
Le nuvole,nella direzione dove stiamo andando, sembrano prepararsi per un'altra notte piovosa, ma questo non elimina il caldo durante il giorno.
Quando arriviamo a Los Arcos io sono leggermente più avanti e, Luca e Francesca mi trovano seduto nella piccola piazza principale con João, Paul e altre persone, intento a bere una birra.Al loro arrivo mi alzo e faccio un giro nella chiesa antistante, passando davanti a un tipo di cui invidio il piccolo portatile che sta usando per scrivere.Ci guardiamo un attimo e noto che non è vestito da pellegrino, presumo sarà un turista, prima di inoltrarmi nel luogo consacrato.
All'uscita trovo al tavolo anche George, si proprio lui, l'Alaskiano che si ferma come al solito in un hotel del posto, non senza aver bevuto con noi.
È tempo di raggiungere l'albergue e farsi una doccia, quindi zaino in mano e fare un cento metri prima di dare il documento d'identità e la credencial all'hospitalero che ci accoglie.
Riecco il gruppo con l'italiano idiota, il giapponese e Antonio lo spagnolo, da  un paio di giorni l'idiota cerca di prendere informazioni su Francesca, praticamente chiede a me e Luca se ha una tresca con uno di noi, ma non per lui, lo chiede per Antonio.
Rispondo a mezza bocca, mi si legge in faccia quando qualcuno non mi sta simpatico, ma comunque, alla fine, lo spagnolo e l'italiana cammineranno insieme visto che, mentre noi siamo fuori all'aperto a cantare con un tizio francese e la sua chitarra, lei si gode un bel massaggio ai piedi e gambe offerto dalla Spagna.
Non condivido, ma rispetto le scelte.
Ad ogni modo, sto tizio francese ha un tablet con le canzoni di tutto il mondo, anche in coreano, così, tanto per non sbagliare se incontra qualcuno di quelle parti che vuol cantare, lui suona e basta.
A me tocca una cosa romantica, l'inno del corpo sciolto, e riscuoto un successo internazionale con annesso filmato da parte proprio di due coreane che non capiscono una minchia di quel che dico.
Nel frattempo Federica e João si cimentano in cucina, intanto conosco un romano che non vedrò mai più e un siciliano che ci farà assaggiare un riso buonissimo.
Ma c'è un altro incontro stasera, me lo propone Luca, durante una pausa delle mie esibizioni, dicendomi che c'è un tizio che devo assolutamente conoscere.
Lo seguo, fino all'estremità di questa lunga e strampalata tavolinata di almeno otto lingue diverse, per stringere la mano di Arterio.
Si, lo so, non è un nome comune, difatti si chiama Marco, ma questo è il suo alter ego editoriale e digitale.
Quando lo guardo meglio nell'oscurità rischiarata da lampadine appese qua e là, riconosco il tizio che era seduto fuori la chiesa con il portatile a scrivere.
Mi ha notato anche lui e iniziamo a parlare di questa esperienza,
Non sta facendo il Cammino, l'ha già fatto tre volte e stasera è qui con la sua due cavalli charleston parcheggiata fuori, è venuto a salure gli hospitaleri di questo paese, conosciuti durante i suoi cammini.
La prima volta l'ha fatto in vespa, le altre due a piedi e, in una di quest' ultime ha avuto un infarto, un'angina per la precisione, cadendo a terra senza fiato, poi si è rialzato e l'ha terminato.
Lo guardo come se vedessi un sopravvissuto del D-Day, ha la mia età e mi racconta altro.
Mi dice che ci sono quattro categorie di persone che si muovono su questa via: i corrigrini, quelli che arrivano prima di mezzogiorno alla tappa, per i quali il tempo sembra correre come nella vita di tutti i giorni e qui, decisamente, non è così.
I turigrini, coloro i quali, per via di una moda crescente del Cammino, si spostano in autobus o altro quando non vogliono camminare oppure la tappa è troppo impegnativa, e arrivano a Santiago per avere la Compostela da mostrare come trofeo.
I pellegrini, e qui la definizione assume un connotato religioso di ovvia discendenza.
Poi c'è la quarta categoria, i camminanti, alla quale lui sente di far parte e, quando me ne parla, riconosco in me quel modo di vivere questa esperienza.
Parliamo anche della vita in generale, delle donne e degli amori e anche delle mie motivazioni.
Confida a me e Luca che due volte gli è capitato di fare l'amore lungo i suoi cammini, che erano angeli di una notte, ma era amore e non una scopata.
Gli rispondo che il problema degli angeli è che ti lasciano piume sulle spalle difficili da scrollare, la sua espressione conferma la mia tesi.
Infine, mi fa vedere il Cammino sotto un'altra ottica accennando al fatto che nasca prima di Santiago.
Porta la mia attenzione al concetto che si segua il sole durante il giorno, si va da est ad ovest e il punto d'arrivo non è la città di San Giacomo, ma l'Oceano.
Come facevano i celti millenni fa, venerando il culto più antico, quello del Sole appunto e arrivando all'acqua, fonte primordiale di vita.
Prosegue dicendomi che il simbolo originario non è la conchiglia o la freccia gialla, ma un uomo stilizzato, in piedi e con le braccia aperte tra cui un semicerchio va da una mano all'altra. Il cammino del Sole.
Conclude invitandomi a farne un pezzo al contrario, per sentire che l'energia accumulata in millenni nel verso giusto ti opporrà una sorta di resistenza.Quando, il giorno dopo ci proverò, o per suggestione o per verità, constaterò che aveva ragione lui.È l'ovest che ti richiama, è il mare ad attenderti.
Stanotte dormirà nella sua tenda accampato nel giardino, perché non sta camminando e i letti son fatti per chi fa i km a piedi.
Ci salutiamo abbracciandoci e gli dico che è stata una bella conoscenza, lui annuisce confermando.Inizia a piovere quando entro nel dormitorio e il plicchettio dell'acqua non mi dà tempo di fare altri pensieri se non quello di dormire.
Anche se, come accade molte volte, intorno a me ho il rumore di una squadra di boscaioli finlandesi.

PS: www.myspleen.tv
Questo è il sito di Arterio, se volete dateci uno sguardo.


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