martedì 21 ottobre 2014

Le parole della sera.Da Puente la Reina a Estella.20 settembre.

Mi alzo con i tempi giusti, anche se durante la notte mi sono svegliato un paio di volte.Poca roba, sono quei risvegli che durano il tempo di un pensiero, e nello stesso tempo svaniscono.
Vedo che Federica ha quasi finito di prepararsi, io sono ancora a carissimo amico.Pochi minuti e lei scende per colazione, intanto Francesca scrolla Luca ancora mischiato nel sacco a pelo.
Piuttosto, dove minchia sono Paul e João?Mi viene comunicato da Fra, in stile portinaia, che ci attendono all'aperto.D'accordo, vediamo di sbrigarci, dando uno sguardo alla finestra noto che anche oggi sarà il Sole a seguirci, quindi ammucchiare sacco a pelo e roba varia nello zaino, darsi una sciacquata e vestirsi, controllare che non ci dimentichiamo nulla, Luca compreso, e andare per uno sciacquabudella in un bar.
Detto fatto e, prima di partire, classica foto di rito per noi cinque davanti a un arco medievale.
Lasciamo il paese della peperonata spagnola traversando il Ponte della Regina, che dà il nome all'abitato, per oltrepassare l'asfalto e inoltrarci nella terra battuta.La giornata mantiene quello che prometteva la mattina, Sole Sole e Sole.Ci sono un paio di salite che ci portano oltre l'autostrada, non spesso, ma nemmeno tanto raramente, i piedi passano dove girano le gomme delle auto e, tra chi guida e chi cammina, quando ci guardiamo, non ho dubbi su chi sia più felice.Parlo di calcio con un inglese, ne parlo come si dovrebbe fare ogni giorno, nella maniera più serena e sorridente possibile, mentre il paesaggio inizia a diventare una sequenza di vigneti.
Ottima uva, davvero ottima uva quella che, a tratti, taglio dai filari per dividerla con chi cammino, anche se i proprietari non saranno contenti, ma credo lo mettano in conto per la vendemmia.
Dopo una salita ci fermiamo in un paese arroccato su una collina come un nido sopra un ramo.Scegliamo un alimentari con tavoli fuori, a noi ne tocca uno che pende come la torre di Pisa, ma la fame non fa cadere nulla mentre il mio coltellino svizzero passa di mano in mano.Grande Mike, ci servirà ancora molte volte e ogni volta è come se camminasse con noi.
Vedo Jo appoggiato alla spalla di un arco a pochi metri, gli offro mezzo panino con salame e formaggio, mi sorride dicendo che è a posto, allora torno al tavolo e, dopo i due morsi necessari, inizio a rollare una sigaretta. Ci sono Federica, Luca, João, Paul e Francesca che iniziano a sistemarsi gli zaini, io me la prendo più comoda partendo una decina di minuti dopo.Fuori da questo paese la pista diventa una strada romana che non è proprio comoda come la fecero all'epoca, tra gradoni erosi dal tempo e lastre di pietra dove la terra si cerca posto, continuo a camminare da solo, gli altri sono avanti e, a tratti, aiutato dai dislivelli e dalle curve riesco a intuire le loro figure.
C'è una sorta di tacito patto, che lascia libero ognuno di noi pur avendo legato in maniera forte, e sono solo cinque giorni che ci conosciamo. Ancora vigneti sfilano via ai miei lati, mentre altrettanti pensieri sfilano nella mia testa.Si cammina con i piedi, ma si viaggia con la mente.
Passa un'oretta prima di poter vedere Luca qualche centinaio di metri avanti a me, allungo un po' sempre fischiettando, questione di un minuto e l'aria di Malafemmena, nel silenzio stropicciato dai passi, lo fa voltare e attendermi.
Mi dice che ha dovuto rallentare, ha dolore ai piedi e, per empatia, non vuoi far risvegliare anche il mio tendine?
Fa caldo e io, stranamente, ho finito l'acqua nella bottiglia che mi porto dietro dalla partenza in Francia, un litro e mezzo andato e siamo praticamente a metà tappa.Ci saranno altre fontane, certo, ma intanto siamo senza ed affrontiamo la questione all'ombra di un viadotto che ci fa passare sotto l'autostrada. L'affrontiamo con la massima intelligenza, degna di una gallina a cui hanno fatto una lobotomia, ovvero fumando una sigaretta per accelerare la disidratazione.
Ma non è la nostra ora evidentemente, perché il silenzio si trasforma in un vociare chiassoso.Sono quarantotto spagnoli di ogni età, tutti di un paese con settecento anime totali e, ogni anno, si fanno una quarantina di km, modello scampagnata da tre giorni.
Salutiamo e iniziamo a parlare con un tizio sopra la sessantina e due baffi bianchi di vita.Si chiama Féliz e ha da bere.
Già, ha da bere.
Vino chiaramente, e gli altri quarantasette non hanno mai sentito la parola acqua.
Beh, come si dice, di necessità virtù, e allora via con le fiasche in pelle tipiche, tra bianco, rosso e Luca che pare Verdone, tirando sempre in ballo sua nonna, di origine spagnola però.
Morale della favola, usciamo dal viadotto intonando "ma che ce frega, ma che c'emporta", quarantotto spagnoli con resto di due italiani.
Quando, dopo un paio di chilometri, incrociamo un altro paese, Luca decide di fermarsi sulla riva di un fiumiciattolo a dar sollievo a piedi e tendini.Io continuo e, oltre un piccolo ponte, raggiungo gli altri in una piazzetta dove una fontana regala ottima acqua.Mi rinfresco e passo dieci minuti in compagnia di Federica su una panchina, mentre João, Francesca e Paul ripartono verso Ovest.
La tedesca mi dice che, dalla sera prima, le ho suscitato una positiva impressione.Ma va?La cosa si fa interessante però, anche se il mio lato più materiale si fa dei kolossal stile Ben Hur, l'altra parte, quella che mi ha richiamato qui, si gode la cosa senza secondi fini.Ascolto quest'ultima, Federica è anche simpatica oltre che carina, e non ostenta affatto la sua bellezza, ma affrontiamo discorsi che hanno un peso e mi daranno una bella immagine di lei.
Piccolo inciso.
Che gran culo però.
Fine dell'inciso.
Insomma parla tu che parlo io, non raggiungiamo George from Alaska? Ma dove minchia è passato mi chiedo, l'avevo lasciato a Pamplona e ora me lo ritrovo qui.Faccio le presentazioni del caso, poi, in un giardino nel paesino di Villatuerta, non vedo accampati i quarantotto spagnoli?
E che fai, non rispondi all'invito di Féliz che seduto su una panca e davanti a un tavolo pieno di cibarie ti chiama a gran voce?
No Fa, non rispondere, dì che devi continuare.
Ok, due minuti dopo, sono senza zaino, stravaccato a terra, con panino e carne in una mano e nell'altra peperoni.
Qualcuno mi salvi, penso dopo dieci minuti ma, quando mi giro verso la direzione da cui son venuto, vedo Luca arrivare.
Ho detto qualcuno mi salvi, non qualcuno ci salvi.
Passeremo altra mezz'ora a mangiare e bere.Vino ovviamente.
Credo che mia madre abbia un fratello spagnolo e non lo sappia, visto che prima di andare Féliz vuole farmi,al sacco, pranzo e cena per i prossimi due giorni.Stavolta devo rifiutare garbamente, poi un abbraccio sincero prima di lasciarli,infine ci muoviamo anche io e Luca.
Cammina cammina e ritrovo George a sostare un po', Federica è andata avanti e ora siamo un Alaskiano ( si dirà così?) e due italiani.
Piccolo stop per riempire ancora la bottiglia ad una fontana la cui iscrizione ci fa sapere che, nella prossima tappa, da un'altra fontana sgorgherà vino.Gratis, che è l'altra parola, insieme a vino, a render felice Luca come un'ape il primo giorno di primavera.
Prima di arrivare ad Estella, c'è una piccola deviazione che porta all'ermita di san Miguel. Loro due non vengono, io invece devio per un centinaio di metri in mezzo a una buona manciata d'ulivi.
Trovo l'ingresso nel lato sud ed entro.
Pace, non trovo altre parole per la sensazione che ti gira intorno prima di scendere dentro.
Un luogo completamente vuoto tranne un altare in marmo e un crocifisso in legno. Nulla, niente panche, nessun altro ambiente che non sia questo rettangolo di muri coperto da un soffitto con travi a vista e centinaia di sassi e pensieri lasciati da altri pellegrini sopra l'altare.
Ha più di mille anni questo monastero, dove passo i seguenti venti minuti in un silenzio surreale e in un fresco riposante che mantiene fuori il caldo del Sole.
Eviterei di respirare, se potessi, per non incrinare questo vuoto di suoni dove sono immerso.
Quando riprendo la via, scorgo a un centinaio di metri indietro la carovana di spagnoli.
Aumenta il passo Fà, che sennò ti tocca il cenone di capodanno stasera.
Ci siamo, entro in Estella dopo aver passato un altro ponte, lascio alla mia destra una bella chiesa e arrivo, guidato da una gentile signora, all'albergue.
Nell'ordine: prendere possesso del letto, fare doccia e lavare le due cose per domani, cazzeggiare sul letto mentre Francesca massaggia i piedi di Luca e Federica legge un po'(anche qui sono cubi da quattro posti con divisorio dagli altri), fare un video e proporre di uscire.
Dovremo pur fare la spesa no?
Prima ci dirigiamo verso un bar per bere una birra, poi incontriamo di nuovo George, lo invitiamo a cena anche se lui sta in albergo, quindi al supermercato io e João abbiamo una divergenza d'opinioni su cosa preparare che finirà con il lasciare a lui la scelta della cena, stasera si mangia portoghese.
In tutto questo incontriamo un altro gruppo misto che dorme dove siamo noi.
Prevalenza spagnoli, tra cui Antonio da Barcellona, un giapponese che è in effetti un manga e c'è anche un italiano che, a dirla tutta, mi sta un po' sui coglioni data la sua evidente stupidità.
Oh, non è che perché si fanno gli stessi km uno debba essere per forza simpatico a tutti.
Si torna nella struttura poco prima che inizi a piovigginare, peccato per il fatto che non si mangi all'esterno ma abbiamo tempo per un'aperitivo all'aria aperta del giardino.
Lascio gli altri per una ventina di minuti dove ne approfitto per stare un po' sul letto e svegliare Francesca che, sul letto, ci è svenuta da prima che uscissimo.
Quando viene Luca, a chiamarci per la cena, ha gli occhi lucidi e mi spiega quello che non avevo capito di George la prima volta che l'ho incontrato nella seconda tappa.
Ha perso il figlio in un incidente e la figlia ha affrontato un tumore un paio d'anni fa.
Uscendo in giardino lo trovo seduto e con lo sguardo provato, lo abbraccio per un istante a questo Alaskiano che è tre volte me, poi trasformiamo le lacrime in sorrisi, brindando al Cammino e a quello che ci sta facendo vivere.
Oh, João, ma sta cena è pronta si o no?
Mangiamo bene, abbondante e invecchiando, in quell'ora a tavola, nella maniera migliore per farlo.Parlando, ridendo, bevendo e non pensando al tempo che passa.
Ecco, siamo liberi dal tempo e dall'ignoto che c'è oltre ogni istante, viviamo il momento, tutto qui, che non è affatto poco.
A fine cena George ci saluta, per tornare in albergo, dicendo che non saprà dove arriverà domani, poi passiamo il tempo facendo due chiacchiere insieme al gruppo dell'italiano simpatico come un gatto appeso alle palle mentre Federica scambia messaggi con il suo lui in Germania.
Già, ha un lui, maremma cane, però lo sapevo, me me ha parlato durante le ore di cammino insieme, e comunque, alla fine del vino e delle parole in comune, rimaniamo fuori io e João seduti in giardino.
Ha appena finito di piovere, l'aria è fresca e, in lontananza, qualche auto provoca il brusio delle ruote sull'asfalto bagnato. Mi faccio una sigaretta e parlo con il portoghese.
Quando aveva quattordici anni ha perso la madre in un incidente d'auto dove lui ha avuto la frattura delle gambe.Si conosce con Luca da circa sei anni, per il genovese è il suo miglior amico.Vive ad Amsterdam con la sua ragazza, dove lavora nel campo delle biciclette.Suona la chitarra in un gruppo suo dove è anche cantante, autore e frontman, ci delizierà ogni volta che troveremo uno strumento.Io gli racconto di me, delle mie motivazioni e di quello che sto avendo da questa esperienza.Mi accorgo che le parole non bastano per certe cose e facciamo tardi nel nostro parlare misto tra italiano inglese e portoghese.
Alla fine mi fa uno dei complimenti migliori che una persona può avere, mi dice che se gli chiedessero come vorrebbe essere, passati i 40, risponderebbe che sarebbe contento di essere una persona come me.
E che rispondi a una cosa cosi? Niente, anche perché io vorrei cambiare qualcosa di me, ma evidentemente non è così importante agli occhi degli altri.Questo mondo ci rende spesso paranoici e pensiamo di avere sempre qualcosa in meno degli altri, invece siamo come siamo, l'unico punto è accettare, come ho già scritto.
Non c'è nulla da fare, questo Cammino ha qualcosa che non sai spiegare eppure la percepisci, perché ti senti pieno e la stanchezza, immancabile alla sera, è solo un dettaglio di poco conto rispetto a quello che ottieni senza chiedere nulla.Mai.
Ricomincia a piovere quando stiamo per andare a dormire, nel silenzio qualcuno russa e qualcun'altro mugugna nel sonno.Io, dopo aver dato una buona craniata al letto di Francesca che è sopra il mio, riesco ad infilarmi nel sacco a pelo e, prima di dormire, riesco a sentire João che ridacchia per il bonk inequivocabile. Stavolta tocca a lui.

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